Cento anni fa Fiume d’Italia

È passato poco più di qualche giorno dal centenario dell’avventura fiumana di D’Annunzio. Fiume d’Italia, oggi croata, fu un porto franco, fin dai tempi degli Asburgo, ma diciamocelo: nessuno la ricorderebbe se non fosse stato per l’epopea di D’Annunzio e i suoi.

Sette Ufficiali dei Granatieri, a Ronchi, giurarono di liberare e rendere italiana la città, dopo la “vittoria mutilata” della prima guerra mondiale e scelsero il Vate quale trait d’union delle istanze irredentiste, indipendentiste  e patriottiche vissute dalla componente italofona fiumana dell’epoca. D’Annunzio accettò e, dopo poco, la barra di Cantrida fu sfondata dalla sua auto che, quasi con un movimento veloce e violento di stampo futurista, penetrò in una città festante di tricolori.

Da quel momento la città fu un tripudio di arte, uniformi di tutte le fogge, cocaina, esercitazioni militari, acrobazie ed atti di coraggio, non solo di stampo guerresco, ma anche giuridico. A Fiume era lecito il divorzio, vigeva la libertà di culto, e le arti – tra cui addirittura la danza – trovarono un posto nella costituzione. Tutte le lingue si parlavano a Fiume, anche il greco antico ed il latino, e si suonava e si cantava per le strade tutte le sere. Ci si divertiva, a prezzi popolari, ma in alta uniforme.

La Carta del Carnaro, scritta da De Ambris e dal Comandante, fu una delle prime costituzioni moderne del Vecchio continente, all’avanguardia in quanto a diritti e dignità umana, eguaglianza di genere, tutela delle liberà fondamentali, dell’espressione culturale, del commercio. Una costituzione che – quando l’annessione sembrava ormai difficile – parlava di Repubblica ai tempi della monarchia e di fedeltà ai valori ed alle armi d’Italia, ma fu scritta da disertori, per disertori, che vennero poi presi a cannonate nel “Natale di sangue”, in una delle più meschine guerre fratricide mai registrate della storia. Una costituzione progressista, scritta in un italiano d’altri tempi, in cui alle libere elezioni si affiancava la figura di un “dictator” che avrebbe retto le sorti della Città-Stato in caso di pericolo.

Fiume fu ricettacolo di pirati buoni, gli “uscocchi”, e di guerrieri, in cui alla forma militare spinta all’eccesso si accompagnavano una disobbedienza ed una libertinaggine che poco avevano a che fare con la disciplina del Regio Esercito. Fu la patria adottiva di artisti geniali come il bisessuale e cocainomane Guido Keller, che fondò anche una rivista ed un gruppo di liberi pensatori entrambi chiamati “Yoga”, e che in un volo disperato in biplano lanciò un pitale su Montecitorio. Fu la sede della Lega Internazionale dei Popoli Oppressi. Fu la patria – seppur per poco tempo – di Filippo Tommaso Marinetti, che realizzò opere futuriste teatrali, poetiche ed artistiche di grande risonanza. Fu la patria adottiva di Harukichi Shimoi, il samurai-poeta giapponese, che fu nominato ardito d’onore durante la prima guerra mondiale e seguì il Vate anche nella “Città di Vita”. E poi, lo hanno detto in molti, ma mai abbastanza: Fiume non fu una sorta di pre-fascismo.

Fu il Fascismo che, una volta al potere, si dimenticò di Fiume e del suo Comandante, depredando però da quel momento di vero eroismo italico i colori, i motti, eja eja alalà, i discorsi al balcone, le adunate oceaniche. Una becera operazione di marketing ante-litteram. Molti fiumani aderirono al Fascismo perché ritennero potesse essere un buon tentativo di ridare dignità alla Patria. Molti, però, si accorsero presto che così non sarebbe stato. Molti altri, liberali, repubblicani, ma pur sempre ex legionari fiumani, ingrossarono le file dell’antifascismo non marxista. Molti dopo la seconda guerra mondiale finirono infoibati.

Ognuno può avere la su idea personale su Fiume, per motivi storici o politici. Fiume, però, costituisce anzitutto un monito per tutti noi, oggi. Come scrissero, prima dell’impresa, i giornali austriaci dopo il volo su Vienna: “dove sono i nostri D’Annunzio”? Domanda attualissima. Questo Paese avrebbe proprio bisogno di più eroi, di sacrificio personale e di democrazia. Di integrità morale, non mescolata a false ipocrisie. Studiamo Fiume: penseremo di studiare il passato, ma ci troveremo a sognare e desiderare il futuro.

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