Cronache dai Palazzi

Evitata la procedura d’infrazione sui conti pubblici, il procedimento regolato dall’articolo 126 del Trattato per il funzionamento dell’Ue, secondo il quale i Paesi membri devono rispettare due condizioni necessarie: il disavanzo di bilancio non deve superare il 3% del Pil e il debito pubblico non deve superare il 60% del Pil. In caso contrario vengono applicate azioni correttive.

Per l’ennesima volta la Commissione europea risparmia all’Italia l’apertura di una procedura d’infrazione che questa volta sarebbe stata piuttosto pesante in quanto riguardante l’eccesso di debito anziché di deficit, un caso che non avrebbe avuto precedenti e che avrebbe comportato anche il rischio di sanzioni, oltre che esporre il nostro Paese all’onda anomala dei mercati. Per ora invece Milano ha chiuso a +2,4%, lo spread è sceso a 199,4 punti e i rendimenti dei Btp sono scesi ai minimi dal 2016.

Ma gli impegni per il 2020 dovranno essere rispettati, come ha ribadito il commissario europeo agli Affari economici Pierre Moscovici. “L’apertura di una procedura non sarebbe stata un bene né per l’Italia né per l’Europa – ha spiegato il commissario francese -. E non è mai stato questo l’obiettivo della Commissione. Noi dobbiamo far rispettare delle regole e l’Italia ha preso delle misure sostanziali tali da rendere, in questa fase, la procedura non più necessaria”.

Rimane però la preoccupazione per l’anno prossimo, il 2020, nonostante il governo di Roma sembra aver preso formali impegni con la lettera inviata a Bruxelles dal premier Conte e condivisa con il ministro dell’Economia Giovanni Tria.

Le valutazioni saranno comunque fatte seguendo un “estremo rigore”, come ha sottolineato Moscovici, e entro il 15 ottobre Palazzo Chigi dovrà inviare a Bruxelles la manovra per il 2020. Il commissario europeo ha inoltre escluso uno scambio tra la partita delle nomine, all’interno del Consiglio europeo, e la possibilità di risparmiare all’Italia la procedura. È stata adottata una valutazione esclusivamente tecnica fondata su “regole chiare”.

Il nostro Paese sarebbe riuscito ad evitare la famigerata procedura in virtù di una serie di azioni intraprese: l’assestamento di bilancio, un decreto legge per l’accantonamento dei risparmi sul welfare e per finire la lettera di impegni firmata da Conte e da Tria.

Il cosiddetto assestamento di bilancio dovrebbe comportare un consistente miglioramento dei conti pubblici per il 2019 di circa 6 miliardi, grazie a entrate contributive e tributarie maggiorate per 3,5 miliardi e dividendi straordinari pari a 2,7 miliardi. Con il decreto legge il governo di Roma ha infine messo da parte altri 1,5 miliardi su Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Questo tesoretto di oltre 7 miliardi comporterebbe comunque un miglioramento del deficit strutturale per il 2019 di appena 0,42 punti percentuali, come ha sottolineato Pierre Moscovici. Il disavanzo in rapporto al Pil scenderà invece al 2,04% anche se la crescita sembra essersi arrestata.

Nella lettera il presidente del Consiglio Conte e il ministro Tria rassicurano però che l’operazione di risanamento continuerà anche l’anno venturo, nel 2020, in virtù di un certo “trascinamento”. I risparmi dovuto ad esempio a Reddito di cittadinanza e Quota cento, che quest’anno sono stati realizzati in 9 mesi, nel 2020, nell’arco di 12 mesi, potrebbero arrivare a 5-6 miliardi. Anche l’imponibile Iva a carattere strutturale potrebbe inoltre contribuire ad incrementare le risorse dello Stato. Tutto dovrà però essere messo nero su bianco nella prossima legge di Bilancio per il 2020. In pratica la storia non finisce qui, come ha affermato il commissario Moscovici.

L’Italia si impegna a garantire leggi “compatibili sul piano finanziario” con le regole della Commissione, e  Conte appare soddisfatto di quanto è riuscito a ottenere in Europa. “Poteva andare ben peggio”, ha dichiarato il premier, sottolineando che ha vinto “il dialogo costruttivo e la disponibilità al confronto” dimostrata anche dalle istituzioni europee, a partire dal presidente Jean-Claude Juncker ringraziato dal nostro presidente del Consiglio.

“Siamo entrati nella trattativa con una prospettiva di apertura della procedura – afferma Conte – che molti sembravano dare per scontata”. Ma rispetto a dicembre del 2018, stavolta il negoziato è avvenuto su basi diverse. In pratica, secondo quanto espone il presidente del Consiglio al Corriere della Sera, “non si trattava di convincere la Commissione sull’efficacia e sulla sostenibilità della nostra manovra. Bisognava far capire che maggiori entrate e risparmi di spesa prefiguravano dati contabili diversi da quelli da loro elaborati”. Per evitare la procedura il governo di Roma ha certificato “ottimi risultati su entrate fiscali, lotta all’evasione e risparmi fiscali”.

Una delle priorità della prossima manovra, assicura Conte, è la riforma fiscale: “A Palazzo Chigi partirà nei prossimi giorni un tavolo di lavoro”. Il governo sta lavorando su una riforma che sia “efficace e incisiva. E ovviamente sostenibile sul piano finanziario”.

Su un altro fronte attendono ancora delle risposte le Regioni che vorrebbero vedere approvata l’autonomia. Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia sono in attesa del via libera. “Il Parlamento potrà modificare il testo” delle intese tra il governo e le tre Regioni capofila, ha dichiarato il premier Conte. All’interno della maggioranza è stato trovato un primo accordo parziale sulle risorse ma è atteso un altro vertice lunedì.

A causa della distanza di vedute tra Lega e M5S sembra ci sia ancora da discutere. In sostanza i leghisti difendono la trattativa diretta del governo con le Regioni che chiedono una maggiore autonomia, i Cinque Stelle, invece, avanzano la possibilità del Parlamento di poter modificare le intese con le Regioni e riaffermano alcune prerogative dello Stato centrale come Infrastrutture, Beni Culturali, Ambiente e Sanità. In definitiva le parole del ministro Matteo Salvini, leader del Carroccio, fanno presagire un’apertura destinata a trasformarsi in un accordo: “Il Consiglio dei ministri dovrà approvare un’intesa che poi dovrà essere sottoposta alle Regioni, e poi il Parlamento dovrà discutere”. Si potranno quindi fare delle “correzioni in Aula”, e tutto ciò è di certo un passo in avanti rispetto alle liti dei giorni scorsi.

Ospite speciale dei Palazzi, infine, è stato Vladimir Putin, il quale ha raggiunto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella al Quirinale. Per il presidente del Consiglio Conte il dialogo con Mosca è “essenziale nella ricerca di soluzioni stabili e durature alle principali crisi regionali e internazionali e alle più importanti sfide globali”. Ci sono in ballo interscambi commerciali, forniture energetiche ma anche grandi progetti reciproci di investimenti. Mentre Sergio Mattarella ha rimarcato la “preoccupazione comune per la guerra civile in Libia e il conseguente ritorno del terrorismo islamico battuto in Siria”. Il tutto all’interno di una cornice speciale che individua l’Italia come fulcro di un rapporto speciale con l’interlocutore russo all’interno dell’Ue, un ruolo che è già emerso all’interno di diversi Consigli europei in cui il nostro Paese ha frenato l’avanzamento di varie sanzioni contro Mosca.

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