Torna a casa, Jimi! (Film, 2018)

La commedia, un genere che sapevamo fare benissimo, serve a dire un sacco di cose vere ridendo e scherzando, come ammoniva in periodi antichi Menandro e come ribadiva in tempi recenti Pasolini. Noi non siamo più capaci di fare vera commedia, ci limitiamo alla farsa plautina (genere pur nobile e da non disprezzare, se ben fatto e privo di pretese), ma peggio ancora crediamo di fare commedie e giriamo prodotti imbarazzanti, irreali, stereotipati, fumettistici. Andiamo a lezione a Cipro, allora, da un regista come Marios Piperides che soffre sulla sua pelle cosa significa vivere in una città divisa da una frontiera surreale che segna la fine del settore greco e l’inizio del settore turco, occupato da cosiddetti coloni.

Ecco, tutto il dramma di un popolo diviso, la tragedia di vivere confinati in un’isola del Mediterraneo funestata da un insanabile conflitto interno, la difficoltà di comunicare tra culture diverse, viene stigmatizzata con la fuga di un cane dal settore greco al settore turco. Tutto il film consiste nella ricerca affannosa di Jimi Hendrix – il nome del cane deriva dalla passione musicale del padrone – che mette in contatto il protagonista con contrabbandieri, spacciatori di droga, lestofanti di ogni tipo, simpatici turchi un po’ cialtroni e ottusi militari. Non manca una storia d’amore, non a lieto fine, ma sospesa nelle ultime sequenze, tra il protagonista – bravissimo nel cacciarsi nei guai – e una bella ragazza cipriota che ha deciso di lasciarlo per una relazione più sicura, mettendo la parola fine a un rapporto incapace di normalizzarsi.

Storia di frontiera ma anche di incomunicabilità, di relazioni difficili e leggi assurde, di giovani che crescono in un mondo incomprensibile e che sono costretti ad adattarsi alle logiche d’una vita contro natura. L’odissea di un cane che per errore varca la frontiera diventa il viaggio interiore di quattro personaggi, due greci e due turchi, alla ricerca non soltanto di un animale perduto ma del senso della vita e della loro vera identità.

Piperides gira con mano ferma tra piani sequenza, soggettive, primi piani e vibrante macchina a mano capace di far vivere nello spettatore tutte le difficoltà dei personaggi. Fotografia del diligente Huck, solare e luminosa, marina e cittadina, che ritrae sobborghi cadenti e luoghi lasciati alla naturale decadenza di una capitale in abbandono, immersa nel Mar Mediterraneo.

n film da vedere, reperibile nei Cineclub e nelle sale del circuito Fice, che ancora cercano di propagandare il buon cinema indipendente. Noi lo abbiamo visto presso la Sala Tirreno del Piccolo Cineclub di Follonica, in programma per la rassegna Sconfinamenti. Prossime visioni: Bangla di Phaim Bhuiyan (25 maggio, con il regista in sala) e Tutti pazzi a Tel Aviv di Sameh Zoabi (1 giugno).

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Regia: Marios Piperides. Soggetto e Sceneggiatura: Marios Piperides. Fotografia: Christian Huck. Montaggio: Stylianos Kostantinous. Musica: Kostantis Papakostantinou. Produzione: Martin Hampel, Thanassis Karathanos, George Kiriakos, Kostas Lambropoulos, Marios Piperides, Effie Skrobolas, Janine Teerling, Matthaios Voulgaris. Paesi di Produzione: Cipro, Germania, Grecia. Interpreti: Adam Bousdoukos, Vicky Papadopoulou, Toni Dimitriou, Ozgur Karadeniz, Fatih Al, Giannis Kokkinos, Demetris Demetriou, Alexia Evirpidou, Marios Stylianou, Valentinos Kokkinos.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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