Il senso dei Partiti politici

I Partiti in Parlamento non sono quelli che composero l’Assemblea Costituente; non sono quelli che, fino alla fine degli anni ’70 formavano l’Arco Costituzionale. DC e PSI si sono dissolti nel 1994 dopo lo tsunami di Mani Pulite, così come il PLI. Il Partito Repubblicano è (ma il forse rimane d’obbligo) l’unico partito fondato nell’ottocento che ancora sopravvive ma con una presenza praticamente ridotta a zero e un peso politico irrilevante. Delle formazioni presenti nelle prime legislature sono in vita solo il Partito Radicale, i suoi distinguo interni, e il Südtiroler Volkspartei che non ha una base nazionale e tutela interessi di una minoranza locale. Storia a parte il vecchio PCI il quale, oggi più che mai, non si riesce a capire se nella sua ennesima forma abbia ancora un senso e riesca a svolgere quella funzione sociale, oltre che politica, che un partito dovrebbe avere come scopo e ragione della propria esistenza.

Il nostro sistema non ha, e per il momento non sembra poter permettere, le condizioni per un sistema bipartitico come nel Regno Unito o negli Stati Uniti, dove due partiti principali si alternano al governo del paese e le elezioni si svolgono sulla base di un sistema fortemente maggioritario, nel quale piccoli partiti minori sono presenze quasi sempre irrilevanti. E’ ipotesi eccezionale che uno di questi partiti possa essere chiamato a collaborare per la formazione di un governo come, ad esempio, nel Regno Unito dove, per poter formare il suo esecutivo Tory, Theresa May si è dovuta avvalere del supporto del Partito Unionista Democratico.

Negli Stati Uniti mai si è verificato che un partito non tra i due principali, abbia partecipato ad un governo. Caso unico e ritengo irripetibile quando nel 1992 Ross Perot, con il Partito della Riforma tolse a George W. Bush la possibilità di essere rieletto a favore di Bill Clinton.

Peraltro sia in Gran Bretagna che negli Stati Uniti, i partiti principali non sono sempre gli stessi e, nella storia, l’affermarsi di un nuovo partito ha portato allo scioglimento o estinzione di chi lo aveva preceduto. Sono scomparsi oltremanica i Liberali, soppiantati dai laburisti, che avevano espresso come Premier personalità quali Gladstone e Lloyd George. In America non abbiamo più il Partito Federalista del Presidente John Adams e gli Whig di Zachary Tailor. Quello della proliferazione dei partiti non è fenomeno che appartiene al mondo anglosassone nel quale il sistema consente la possibilità di avere partiti che sono non solo figure di costante riferimento per l’elettorato e gli interlocutori esteri. Inoltre questo sistema offre ai partiti la possibilità di non estinguersi ma quella di adeguarsi alle nuove istanze e necessità del momento in una società che non rimane quella cui dovevano dare risposte al momento della loro nascita. Ogni formazione nata in tempi più recenti, non ha avuto grande fortuna in sede di elezioni.

Anche in altre realtà, dove non esiste un sistema bipartitico, si osserva la presenza di partiti maggiori che accentrano su di loro ampie fasce dell’elettorato come, ad esempio, in Germania dove PSD e CDU dominano, salvo doversi alleare con altre formazioni minori per governare. Anche in  Spagna Popolari e Socialisti hanno un peso maggiore. Diverso il caso della Francia dove, dopo l’epoca di De Gaulle, si è assistito alla nascita di nuovi partiti che ne hanno sostituiti molti del passato, ma senza che nessuno abbia avuto ruoli di rilievo fino alla nascita di En Marche, partito dell’attuale presidente Macron che, probabilmente, rappresenta un’eccezione sullo scenario politico mondiale: un movimento che si muove su basi pragmatiche e transpartitiche. Probabilmente la prova più evidente di come, in politica, sia oggi più importante non essere ancorati a ideologie e dogmi o, peggio ancora, fondarsi sulle difese estremistiche di particolarismi. Un partito deve portare avanti le istanze di una collettività ampia.  Opportuno ricordare che il partito di Macron è stato definito sincretico e l’origine del termine risale alla “coalizione cretese” che, messi da parte gli interessi personali si coalizzarono per difendersi dai pericoli esterni. Il termine fu poi ripreso da Erasmo da Rotterdam quando lo utilizzò per indicare le tendenze eclettiche e conciliatrici tra scuole di pensiero diverse. Vedremo se saprà sopravvivere alle proteste dei Gilet Gialli ma anche, dopo, da chi potrà essere eventualmente sostituito.

Nel Parlamento Italiano sono presenti formazioni di cui quella che può vantare l’origine meno remota è la Lega. Nata ufficialmente nel 1989 trova la sua origine in particolarismi locali volti alla tutela solo di un determinato territorio e dei suoi abitanti. Non aveva certo le basi politiche, ideologiche e sociali che caratterizzavano la nascita dei partiti tradizionali. Muoveva addirittura verso una prospettiva indipendentista che nulla aveva a che vedere con altre realtà geografiche cui voleva trarre ispirazione quali la Scozia e i Paesi Baschi.

In ogni caso nessuno dei partiti in Parlamento sembra avere basi ideologiche o presupposti che, sulla scia di britannici e americani, possano portare ad una loro evoluzione insieme ad istanze sociali ed economiche che sono in costante evoluzione e necessitano soggetti in grado di affrontarle senza arroccarsi su posizioni estremistiche o anacronistiche.

I nostri politici, con poco timore di essere smentiti, si sono mossi, già dalla fine della prima Repubblica, non nella direzione di adeguare le strutture alle nuove situazioni, bensì a voler applicare passate ideologie e soluzioni, oltre agli stessi protagonisti, ai nuovi scenari. Solo in Italia troviamo politici sopravvissuti oltre quarant’anni, attraverso più partiti e cariche, che ci portano ad avere sindaci di ottant’anni, in passato Presidenti del Consiglio, o di oltre settanta che, dopo avere guidato vari ministeri, hanno fondato perlomeno cinque partiti e militato in più coalizioni diverse tra loro.

Non solo in America e Gran Bretagna, ma anche in altre nazioni, un candidato alla guida della nazione che esce sconfitto dalle urne, raramente si è ripresentato al giudizio dell’elettorato; mai un ex primo ministro inglese o presidente americano ha concorso ad altre cariche. Unica eccezione, ma che deriva dall’altezza e della caratura poco compresa del personaggio, è stato Richard Nixon.

In Italia non abbiamo figure costanti e omnipresenti, non di ritorno che possano paragonarsi a un Jimmy Carter, non certo il miglior presidente americano, ma che ha avuto una seconda vita politica, aiutato dall’autorevolezza della passata carica, dove ha svolto ruoli di mediatore internazionale con il riconoscimento del Nobel per la Pace.

È mancato un Tony Blair che ha modificato le politiche del proprio partito in direzione opposta a quelle che ne erano alla sua base, dalla creazione fino agli anni in cui Margareth Thatcher dimostrò che erano necessarie nuove politiche per poter governare i nuovi scenari globali. Non dimentichiamo che, quando le fu chiesto il suo più grande successo, la Lady di Ferro rispose “Tony Blair e il nuovo Partito Laburista”. Negli Stati Uniti Clinton si è mosso nella stessa direzione, pur non raggiungendo i livelli di Blair. Non possiamo oggi affermare che i Democratici americani e i Laburisti britannici siano lo stesso partito di venti anni prima.

In sintesi, al termine del proprio percorso, un partito politico e i leader che ne hanno caratterizzato un periodo, in buona parte del mondo, si mettono da parte. Esattamente quello che non avviene in Italia dove, oltre agli esempi citati di politici che resistono per decenni cambiando bandiera, anche i partiti resistono, oltre ogni logica, a cercare di tirare a campare in contesti dove, in realtà, non hanno alcuna ragione di sopravvivere.

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