Anonimo veneziano (Film, 1970)

Anonimo veneziano è il primo film da regista di un ottimo attore comico-drammatico come Enrico Maria Salerno (Milano, 1926 – Roma, 1994), che scrive il soggetto e si fa aiutare da un narratore di razza come Giuseppe Berto per costruire una solida sceneggiatura e imbastire dialoghi molto letterari. Unico successo commerciale che Salerno tenta di bissare – senza riuscirci – prima con Cari genitori (1972), quindi con Eutanasia di un amore (1978) – dal romanzo di Giorgio Saviane – e infine con l’originale televisivo Disperatamente Giulia (1990).

Anonimo veneziano vede due protagonisti assoluti: Tony Musante (Enrico) e Florinda Bolkan (Valeria), senza dimenticare una Venezia fotografata da Marcello Gatti senza alcuna tentazione calligrafica e la stupenda colonna sonora di Stelvio Cipriani. Un uomo e una donna in procinto di separarsi si ritrovano in una Venezia invernale e decadente per ricordare i giorni felici d’un grande amore, quando la città sembrava solare e luminosa. La coppia rivive il passato nei luoghi che prendono vita sotto i loro sguardi: la casa del primo rapporto, il ristorante del pranzo di nozze, la prima abitazione, il Canal Grande, i prati in riva alla Laguna. Tra litigi, sogni perduti e recriminazioni arriva improvvisa la rivelazione di Enrico: sta morendo per un tumore al cervello.

Il regista è bravissimo a compenetrare il senso di morte che alberga nel cuore del personaggio con la città in disfacimento, una Venezia livida e triste, “destinata a colare a picco, come una nave in fondo al mare”. La musica è la sola salvezza di Enrico, illumina di speranza gli ultimi giorni, anche se dirigere un gruppo di giovani nel suo concerto terminale è poca cosa rispetto alle illusioni del passato. Ma rivedere Valeria, sapere che il figlio di otto anni sta bene e si ricorderà di lui, dedicargli l’ultima sinfonia mentre la saluta in lacrime, è il suo ultimo sogno. Vuole soffrire insieme a lei, dopo averla amata un’ultima volta, comunicare il grande dolore, il senso di impotenza, per poi lasciarsi morire nella sua Venezia. “Perché non dovrei aver paura? Ma in fondo non vorrei morire in un altro luogo che questo, non perché ci sono nato, ma perché intorno a me tutto parla di morte”, dirà Enrico.

Anonimo veneziano è grande cinema, molto più intenso e drammatico di Love story (1970), anche se dal soggetto di Hiller e Segal prende il tema della malattia e lo declina al maschile, oltre a mettere in primo piano un’intensa e struggente colonna sonora. Il flashback è usato alla Bergman, con i protagonisti immersi nelle scene del ricordo, proprio come ne Il posto delle fragole (1957). La scuola prende vita, le voci del pranzo di nozze riecheggiano tra i tavoli del cadente ristorante frequentato soltanto da una coppia di innamorati, la stanza della prima notte d’amore spalanca le finestre sul loro presente. Un film molto teatrale, interpretato magistralmente da due attori ispirati, sostenuto da un testo di grande spessore e da una fotografia veneziana difficilmente eguagliabile. La città prende vita e accompagna i sentimenti dei personaggi, tra la tristezza di una Laguna solitaria, il vento sferzante che si fa largo tra le stradine tortuose, i panni stesi ad asciugare dei quartieri popolari e le panoramiche decadenti per immortalare il senso del tempo perduto.

Un film proustiano, se si vuole, che cita direttamente il più grande autore del Novecento durante la sequenza della prova dei vestiti in un negozio di Burano. Persino Flaubert e la sua Madame Bovary sono presenti con un pizzico d’ironia quando il marito afferma che le donne soffrono di bovarismo: sognano di mettere le corna all’amante con l’ex marito. Salerno e Berto non dimenticano di inserire un riferimento politico alla contrastata legge sul divorzio, prima approvata e subito dopo oggetto di referendum popolare. Non solo, illustrano con dovizia di particolari le difficoltà di un rapporto coniugale e le mille sfaccettatura dell’amore, facendo assurgere a figure simbolo i due protagonisti. Ma la cosa più riuscita del film è la contrapposizione tra un luminoso passato e un decadente presente, tra la felicità che caratterizzava i giorni d’un amore intenso e la tristezza di un lugubre quotidiano.

Anonimo veneziano è il titolo della sinfonia che Enrico sta portando in scena con un gruppo di giovani allievi, un lavoro che vorrebbe far sentire al figlio quando lui non ci sarà più. Non si tratta di un’invenzione del regista, né di una creazione di Cipriani, ma di un vero “concerto in do minore per oboe e orchestra” composto da Alessandro Marcello (non dal fratello Benedetto, come scrivono alcuni), trascritto e diretto da Giorgio Gaslini. Un altro inserto musicale arrangiato da Gaslini è la Quinta Sinfonia di Beethoven che Enrico finge di interpretare in un teatro vuoto. Tutto il resto è una grande colonna sonora sinfonica di Stelvio Cipriani, musica immortale che resiste persino a una denuncia per plagio perché le battute iniziali sono moto simili a quelle di Love story.

Ottima la regia, caratterizzata da un moderato uso dello zoom, molti primi piani, intensi primissimi piani, particolari degli occhi come in un western di Sergio Leone, alcuni piani sequenza, stupende panoramiche e carrellate. Fotografia magistrale. Un film premiato dalla critica meno miope, oltre che un successo di pubblico: David di Donatello (1971) a Florinda Bolkan (Miglior attrice) e David Speciale e Enrico Maria Salerno. Nastro d’argento (1971) a Marcello Gatti (Fotografia), Stelvio Cipriani (Colonna Sonora), Enrico Maria Salerno (Regia, Soggetto e Sceneggiatura) e Giuseppe Berto (Sceneggiatura). Titoli di altre edizioni per il mercato estero: Adieu Venise (Francia), Des Lebens Herrlichkeit (Germania)

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Regia: Enrico Maria Salerno. Soggetto: Enrico Maria Salerno. Sceneggiatura: Giuseppe Berto, Enrico Maria Salerno. Fotografia: Marcello Gatti. Montaggio: Mario Morra. Musiche: Stelvio Cipriani (dirette dall’autore). Edizioni Musicali: C.A.M.. Altre Musiche: La 5° Sinfonia di Beethoven è diretta da Giorgio Gaslini; il Concerto in do minore per oboe e orchestra di Alessandro Marcello è trascritto e diretto da Giorgio Gaslini. Architetto Scenografo: Luigi Scaccianoce. Aiuto Regista: Vittorio Salerno. Mixage: Alberto Bartolomei. Operatore alla Macchina: Otello Spila, Silvano Mancini. Fotografo di Scena: G. B. Poletto. Costumi e Arredamento: Danda Ortona. Effetti Ottici/ Negativi/ Positivi: S.P.E.S. direttore E. Catalucci. Pellicola: Eastmancolor. Registrazione Sonora: Westrex Recording System. Studi Sincronizzazione: C.D.S. con la collaborazione della C.D. srl. Produttore: Turi Vasile per Ultra Film. Direttore di Produzione: Michele Marsala. Organizzazione Generale: Danilo Marciani. Distribuzione: Interfilm. Durata: 94’.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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