Il nome della rosa (Serie Tv, 2019)

Abbiamo visto con una certa riluttanza la prima puntata della serie televisiva basata sul romanzo di Umberto Eco e al termine della programmazione restava senza risposta la domanda che ci tormentava prima di cominciare a seguire le gesta del frate indagatore: cui prodest? Certo, non a chi ha letto il romanzo (1980) – ben altra cosa di un thriller fantastico con venature horror – e neppure a chi ha apprezzato il grande film di Jean-Jacques Annaud (1986), interpretato da un immenso Sean Connery nei panni di Guglielmo da Baskerville, detective francescano.

Giacomo Battiato dispone di mezzi superiori rispetto ad Annaud (trentatré anni non sono passati invano), usa un po’ a sproposito la computer grafica, anche per realizzare luoghi inesistenti, persino per dare un tocco di antico al paesaggio. Il regista può contare su un cast eccellente, ma il risultato manca di cuore, risulta freddo, si mostra per quel che è: un mero prodotto commerciale, pensato per essere distribuito e venduto in tutto il mondo. Ecco, abbiamo capito forse cui prodest. Ben otto puntate: non è dato sapere come sarà allungato il brodo. Quattrocento minuti di visione. Autori: Giacomo Battiato, Andrea Porporati, Nigel Williams. Interprete principale John Turturro, nel ruolo che fu di Connery, ma ci sono anche Roberto Herlitzka, Rupert Everett, Fabrizio Bentivoglio, Stefano Fresi (un Salvatore, truccatissimo), Alessio Boni.

Fotografia di John Conroy che non condivido e non apprezzo, così come non amo un eccesso di effetti speciali. Jean-Jacques Annaud raccontò identica storia in soli 126 minuti, trasformando un capolavoro della letteratura del Novecento in un thriller storico. Battiato diluisce molto la trama, risicata nonostante la mole del libro, il cui fulcro sono le disquisizioni filosofiche e letterarie: Umberto Eco era un semiologo, non un giallista. Il film di Annaud era tratto liberamente dal romanzo di Eco, ma fu realizzato con il suo consenso, girato in luoghi veri, realistici, tra Germania, Puglia e Abruzzo. Battiato opta per costruzioni computerizzate che fanno perdere fascino al racconto, per non parlare della fotografia, che nel nuovo prodotto non è curata da un grande come Tonino Delli Colli.

Il nome della rosa sarà comunque un successo, forse gioverà a chi non ha mai letto il romanzo, forse servirà a far avvicinare a un concetto base della filosofia di Eco: “Esiste solo un modo per combattere ignoranza e odio: usare la conoscenza per aiutare la razza umana”. Per il resto, il nuovo film perde alla grande il confronto con il vecchio capolavoro; il consiglio resta quello di andare a ricercare il film di Annaud per apprezzare la cura artigianale dei particolari e il clima sospeso tra grottesco e thriller che il regista francese aveva saputo creare. Forse perché conosco troppo bene la storia, forse sarò stato stanco, forse poco interessato, confesso di essermi assopito più di una volta durante la visione del film di Battiato. Non sono sicuro di continuare a seguirlo.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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