Cronache dai Palazzi

Conti deteriorati e riforme che stentano a decollare. L’Ue boccia l’Italia ma per ora nessuna procedura d’infrazione o una manovra correttiva. Per quanto riguarda Quota 100 e Reddito di cittadinanza si temono ritorsioni negative sul bilancio pubblico e non ci si aspetta grandi risultati in termini di occupazione.

È questa, in estrema sintesi, la diagnosi della Commissione europea che nel Country Report del 2019 prefigura una prospettiva alquanto diversa rispetto a quella di Palazzo Chigi. La preoccupazione maggiore ricade sul debito pubblico che, come previsto dalle istituzioni europee, non subirà un calo sostanzioso. L’Italia è annoverata tra i Paesi con squilibri macroeconomici eccessivi, insieme a Grecia e Cipro, e per questo sottoposta all’attenzione di Bruxelles che presuppone stimoli ridotti alla crescita nel nostro Paese con le riforme messe in campo.

Per eventuali procedure a proposito di conti tutto è però rinviato a dopo il voto per le Europee di fine maggio. A proposito di squilibri eccessivi esiste una procedura di infrazione specifica ma non è stata mai sperimentata. “Siamo preoccupati perché il debito non calerà, al momento non suggeriamo di aprire una procedura, ma rivaluteremo la situazione in primavera”, ha dichiarato il vicepresidente Dombrovskis.

Di certo tra qualche mese il quadro potrà essere più limpido. Il governo italiano dovrà indicare le scelte di bilancio fino al 2020 e per gli anni successivi; si potranno leggere i dati finali del 2018 e, soprattutto, si valuterà il primo semestre della legge di Bilancio.

I racconti di Palazzo Chigi non sembrano comunque collimare con le narrazioni di Bruxelles. “Il rapporto contiene stime di crescita che sottovalutano decisamente l’impatto delle misure economiche che si dispiegherà nei mesi a venire”, ha affermato il premier Conte. Per l’Ue lo squilibrio più preoccupante è rappresentato dal debito pubblico che rappresenta “la maggiore vulnerabilità” per l’Italia, e poi una crescita della produttività troppo lenta e l’alto tasso di disoccupazione.

È in discussione la tenuta delle riforme messe in campo dal governo italiano, e il rapporto di Bruxelles rimarca soprattutto la marcia indietro sulla previdenza: “I programmi del governo comporteranno un deterioramento del surplus primario, il bilancio include misure che tornano indietro su alcuni elementi di importanti riforme precedenti, in particolare sulle pensioni, e non include misure che aumentano la crescita potenziale”. In sostanza con Quota 100 la spesa pensionistica aumenterà e ciò potrebbe peggiorare “la sostenibilità futura del debito”. La Commissione europea ipotizza “un alto rischio” nel medio termine, per quanto riguarda la sostenibilità del debito e del bilancio sono possibili delle ritorsioni all’interno della zona euro. Per questo i prossimi movimenti del governo “saranno cruciali”.

Bruxelles mette comunque in evidenza i progressi che l’Italia ha fatto a proposito della legge anticorruzione, nel settore bancario e per il riassetto dei servizi per l’impiego. Si registrano però dei ritardi per quanto riguarda il contrasto all’evasione fiscale, il miglioramento dell’accesso delle imprese al finanziamento di mercato, l’accesso delle donne al mondo del lavoro, sul fronte della ricerca e dell’educazione.

Le annotazioni allarmistiche dell’Unione europea nei confronti del Belpaese si rispecchiano nelle parole dense di preoccupazione, ma intrise anche di speranza, del capo dello Stato di nell’Aula magna dello Iulm di Milano. Il presidente Mattarella ha auspicato una doverosa progettualità per l’Italia, forse troppo concentrata sull’immediato presente, con misure volte a tamponare più che a costruire guardando “al domani o al dopodomani”.

“Non aspiro che il nostro Paese ragioni in termini di secoli…Sarebbe ampiamente sufficiente, e ne sarei soddisfatto, se ragionasse in termini di decenni. Con la capacità di essere pronti per affrontare il futuro e progettarlo”. Le parole del capo dello Stato sembrano quasi un ammonimento alla politica odierna continuamente in corsa per le elezioni, che sembrano vere e proprie gare di cavalli, alla ricerca del consenso con misure volte a conquistare l’elettorato più che a costruire le basi per il futuro. È necessaria una nuova capacità di visione e d’iniziativa per essere in grado di proiettarsi oltre il proprio tornaconto. Occorre “essere pronti e capaci di affrontare gli eventi, gli imprevisti, le nuove sponde, i nuovi traguardi, le condizioni che si creano di volta in volta sempre nuove”. Sergio Mattarella ha rimarcato la necessaria “capacità di guardare al futuro, di non essere prigionieri catturati dal presente, condizionati dal contingente”. Si tratta dell’“urgenza che tutti avvertiamo”, ha ammonito il presidente. Per quanto riguarda l’Europa, infine, Mattarella ha ricordato che “ci sono stati scontri, errori, ritardi. Però il suo tessuto culturale comune, che ha sempre superato i suoi confini, ha consentito all’Europa di andare avanti e di progredire”.

A proposito dell’immediato, all’interno della maggioranza gialloverde è in corso una trattativa sia per quanto riguarda la Tav sia per l’Autonomia delle Regioni. “Non possiamo bloccare un’opera come la Tav, ma indubbiamente la si può sottoporre ad una revisione e me ne occuperò personalmente”, ha dichiarato il premier Conte. La notizia è che l’opera si farà ma molto probabilmente assumerà dimensioni inferiori, con meno stazioni sul tratto italiano e risparmiando così più di un miliardo di euro.

Il presidente del Consiglio ha presupposto un periodo di sei mesi per ridiscutere tutti i particolari del progetto Tav all’interno del governo, con la Francia e le comunità locali, e nel frattempo avviare i bandi di gara. Questi ultimi se partissero si potrebbero comunque “annullare entro sei mesi”, ha detto il ministro dell’Infrastrutture Toninelli. La necessità di trovare un accordo sull’Alta velocità dipende anche dal fatto di voler evitare il referendum sull’opera proposto dal governatore piemontese Sergio Chiamparino, che coinciderebbe tra l’altro con le Europee. Il sentiero imboccato dall’esecutivo sembra una sorta di compromesso duplice in quanto abbraccia anche la questione dell’Autonomia delle Regioni, che con il passare dei giorni – in cui il governo sta trattando con le Regioni Veneto, Lombardia e Emilia Romagna – assume sempre più i connotati di un’Autonomia “differenziata” – come l’ha definita Luca Zaia, presidente della Regione Veneto – “finalmente e in modo ineludibile al centro dell’agenda politica”.

Il dossier è ora nella mani di Matteo Salvini e insieme a Conte e Di Maio stanno cercando di trovare “la strada giusta”. Il vicepremier Salvini si aspetta “un atto qualificato” e quindi una decisione prima delle Europee, anche se il passaggio parlamentare che dovrà approvare il provvedimento sull’Autonomia non sarà immediato. Sanità (trattamento di medici e infermieri), infrastrutture (autostrade, ferrovie, porti, aeroporti, reti), istruzione (assunzione di docenti), beni culturali (musei), politiche per il lavoro (centri per l’impiego): sono queste le voci principali dell’Autonomia differenziata. In base alla Costituzione (art. 119), i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno “autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci”. Si tratta di enti con risorse autonome che “stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.

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