Brutte storie

Brutte storie in giro per il mondo. Il Venezuela chiude le frontiere, niente aiuti tuona il tiranno, sembra una storia già vista. Non ho seguito così da vicino la faccenda per dire la mia; da lettore di buonsenso credo che come sempre gli americani prendono al balzo l’occasione di fare i cowboy e dall’altra questa loro boria è alimentata dal niente, una delle presidenze più miserabili della storia. Chi ci va di mezzo? indovinate.

Ma andiamo alle miserie di casa nostra. La Suprema Corte ha stabilito che gli insulti via WhatsApp sono lesioni della reputazione, quindi perseguibili penalmente. Insultare qualcuno su una chat di gruppo è diffamazione e non ingiuria. Lo dice la Cassazione, precisando come gli insulti via WhatsApp costituiscano, in questo modo, reato penale e non un semplice illecito civile. Secondo i giudici, le provocazioni, se lette anche da altri, sarebbero delle lesioni alla reputazione che si collocano “in una dimensione ben più ampia di quella tra offensore e offeso”.

Sono d’accordissimo; poi però va a vedere che qualcuno ti offende pesantemente, ti fa perdere il lavoro sostenendo che tu perché hai partecipato a una trasmissione televisiva in cui si parlava di sesso, sei persona di bassa moralità, trova poi un giudice che le dà ragione. Perché ci sono un sacco di difensori della morale, quelli che alzano scudi contro il deterioramento della società e poi chiudono gli occhi sui veri problemi, specie quelli derivati dai loro comportamenti. Insomma bisognerebbe stare nel mezzo; un po’ bastardi un po’ buoni, un po’ incapaci un po’ capaci, un po’ tolleranti un po’ intolleranti. Perché questa è l’epoca dei mediocri, di gente che diventa Presidente e distrugge lo Stato, oppure alza muri, oppure si fa ridere dietro dal mondo.

Non c’è bisogno di essere speciali per essere normali; farebbe bene a tutti un esame di coscienza, specie ai digitatori seriali di insulti, mai così tanti come ora. Si è dovuta scomodare la Cassazione per dirvi che gentaglia siete.

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