Reddito di Cittadinanza ed Europa

Fra i temi dominanti del 2019 vi è sicuramente il ‘Reddito di Cittadinanza’ introdotto dal nuovo governo giallo-verde e bandiera del Movimento 5 Stelle. Sono molteplici i motivi portati a favore del provvedimento dagli esponenti pentastellati, peccato che siano perlopiù notizie distorte ad arte e strumentalmente funzionali a sostenere il progetto messo in cantiere.

Iniziamo con il fare chiarezza sul fatto che secondo il M5S l’Europa è d’accordo sull’erogazione del RdC, le motivazioni affondano nel FSE-Fondo Sociale Europeo, il più antico dei Fondi Strutturali Europei, datandosi al Trattato di Roma nel 1957. Questo è un fondo destinato a sostenere le opportunità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori e favorisce l’adeguamento alle trasformazioni industriali. L’obiettivo, sicuramente condivisibile in linea di principio, di azzerare la povertà e sostenere chi ha bisogno, rientra nel FSE, ma da questo a sostenere che l’Europa sia d’accordo sul RdC ce ne passa molto. Nel bilancio 2021-2027 del FSE – che avrà una dotazione di € 120,4 miliardi – ad esempio rientra anche il programma ‘Garanzia per l’infanzia’; così come vi rientra il tema della lotta alla disoccupazione giovanile.

L’attuale FSE 2014-2020 assegna all’Italia € 44,7 miliardi, oltre il cofinanziamento nazionale, pari a € 31,5 miliardi, per un totale di € 76,2 miliardi. Al 31 dicembre 2017 i fondi destinati all’Italia sono suddivisi su 21 Programmi operativi regionali (Por), uno per ciascuna Regione e Provincia autonoma, e 8 Programmi operativi nazionali (Pon). Troviamo € 3,8 miliardi per interventi di inclusione sociale (Obiettivo tematico 9), 5,5 miliardi per interventi di formazione ed educazione (OT 10), 6,7 miliardi per interventi per l’occupazione di qualità e sostenibile (OT 8), 1 miliardo per interventi per migliorare l’efficienza della PA (OT 11), 0,6 miliardi per azioni di assistenza tecnica per l’implementazione dei programmi. L’idea di Di Maio di utilizzare l’OT9 per il RdC porterebbe a distrarre i fondi al momento in carico a regioni, ministeri e città metropolitane, oltre le prevedibili reazioni di chi vedrebbe i propri programmi azzerati dall’oggi al domani, si cancellerebbe il sostegno già in essere ai soggetti bisognosi. Stante la bassa percentuale di spesa del FSE da parte dell’Italia che assomma ad appena l’11% con il vertice in basso al sud fermandosi al 5%, l’utilizzo dei fondi FSE per il RdC aumenterebbe il tasso di impegno, ma a fronte di una centralizzazione della gestione dei Fondi Europei che non pare beneaugurante per il futuro.

Nel 2017 l’Europarlamento aveva approvato una risoluzione (con 451 voti a favore, 147 contrari e 42 astensioni) per introdurre regimi minimi di reddito adeguati in tutti i paesi UE. La traslazione attuata dai pentastellati che vorrebbero spacciare questo documento come introduzione del RdC è basata su presupposti totalmente errati. Il reddito minimo garantito in oggetto si tratta di una forma di sostegno, non solo economica, ma comprendendo alloggi, aiuto ai bambini, sovvenzioni ai disoccupati; cosa ben diversa dal RdC erogato in maniera indipendente dalla condizione del soggetto. La stessa Laura Agea, capo della delegazione M5S a Bruxelles, commentò che sarebbe stato un buon “punto di partenza” per affrontare il tema RdC.

Gettando lo sguardo in Europa gli esperimenti riportati non sono molto confortanti, fermo restando che parliamo del RdC e non di forme diverse di sostegno o integrazione. In Finlandia il progetto ALMP (Active Labor Marke Programs) ha interessato appena 2.000 persone per una spesa totale di € 20 milioni, è terminato lo scorso 31 dicembre ed il governo finlandese ha deciso di non prorogarlo. Uno dei motivi principale pare essere il fatto che la somma erogata è molto vicina al reddito minimo stipendiale, per cui spesso gli interessati erano disincentivati ad accettare un lavoro. Gli stessi estensori del provvedimento hanno precisato che non si trattava di un RdC, che in quanto tale dovrebbe avere valore universale, e non essere rivolto solo ai disoccupati.

Altri esperimenti simili sono stati condotti ad Utrecht ed in Canada, ma con la caratteristica anche in questo caso di contributi versati senza alcun vincolo, tesi ad evitare controlli e lungaggini burocratiche appesantendo la macchina pubblica, un discorso molto lontano dalla legge attuale che impone norme particolarmente rigide di comportamento. Ancora più lontane dal richiamato schema del RdC ed anche dall’esperimento scandinavo, l’Arbeitslosengeld tedesco, l’income support del Regno Unito, il RSA francese ed il kontantjaelp danese. Tutti questi interventi sono molto più simili a sussidi di disoccupazione e contributi di supporto che ad un reddito di cittadinanza inteso come tale. E’ chiaro a questo punto che il RdC, così come è stato introdotto in Italia, gode di una definizione errata e fallace, la versione varata è diretta ad una definita categoria di persone, maggiorenni e disoccupate con una situazione economica di disagio, vengono quindi a mancare le caratteristiche di universalità tipiche che dovrebbero essere il Dna di un Reddito di Cittadinanza.

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