Kirghistan, terza edizione dei Giochi mondiali dei nomadi

Ogni due anni dal 2014, il Kirghistan organizza il World Nomad Games, una competizione che vede coinvolte le discipline sportive quale parte della tradizione e della cultura dei popoli nomadi dell’Asia Centrale. Questo anno, 80 Stati hanno inviato più di 2300 “atleti”, che si sono affrontati per una intera settimana di gare.

Dopo 72 anni di dominazione sovietica e vent’anni dopo la sua caduta, i popoli dell’Asia Centrale ancora cercano una loro identità, che il Kirghistan cerca di consolidare da parte sua con l’organizzazione di questa kermesse, non solo sportiva. Il giorno dell’inaugurazione, intorno all’ippodromo di Tcholpon-Ata, sul lago Issyk-Koul, decine di delegazioni formano un incredibile mescolanza di lingue e abiti tradizionali. Sono 80 i Paesi partecipanti e 2300 gli atleti  che si sono affrontati in gare di lotta, tiro con l’arco e, ovviamente, numerose prove a cavallo, animale simbolo della regione. Tra i Paesi presenti, oltre ai Paesi dell’Asia Centrale facenti parte dell’ex Unione Sovietica, hanno partecipato Germania, Stati Uniti, Francia, Pakistan, Cina,Estonia, Iran, Turchia, Repubblica Ceca… Per quanto riguarda gli ospiti “eccellenti”, se nel 2014 aveva fatto grande clamore la presenza dell’attore hollywoodiano George Seagal, quest’anno le guest star sono state Orban ed Erdogan. Il peso dei giochi cresce, non solo grazie al Brand Kirgistan.

Ma quali sono queste discipline tradizionali che incuriosiscono il pubblico occidentale tanto da portare la famosa guida Loneley Planet a dare indicazioni su come organizzarsi per arrivare sul sito dei Giochi? Una delle gare più spettacolari è quella del kok-borou. Due squadre a cavallo tentano di raccogliere la carcassa di una pecora di più di 30 chili e portarla a meta dall’altra parte del campo. Il gioco richiede forza – per sollevare la carcassa – e abilità – per rimanere in sella ad un cavallo lanciato al triplo galoppo, continuamente spintonati in mezzo a nuvole di sabbia. Un mix che crea partite molto scenografiche. L’antichissima disciplina è tra le più popolari dell’Asia centrale. In questa regione, ogni Paese ha la sua lega di kok-borou, e lo sport è praticato ad ogni età. Tra i partecipanti occidentali si sono cimentati in questa strana competizione sei giocatori francesi di horse-ball (disciplina un po’ diversa dal polo nata in Francia negli anni ’30). Quando hanno incontrato la Repubblica russa di Bashkiria, è la prima volta in assoluto che giocano a questo sport. Come ammette un membro della delegazione francese, “l’obbiettivo è quello di intraprendere più scambi possibili con il Kirghistan e gli eventi sportivi permettono questo. Inoltre l’atmosfera e la location danno a questi incontri sicuramente un qualcosa in più”. Viceversa, per i giovani locali, il contatto con delle squadre occidentali permette di far scoprire al mondo discipline dal sapore antico. Dice una giovane kirghiza: “quest’anno la Francia ha vinto la Coppa del Mondo di calcio, e noi quella di kok-bourou…chissà, magari tra 10 anni l’ordine si invertirà!”. Molto meno convinti dell’espansione di queste gare sono gli animalisti che non hanno mancato di far sentire le loro proteste. Gli animali sono presenti in  queste gare, spesso in modo discutibile.

Oltre all’aspetto sportivo, i Giochi cono anche una buona occasione per far scoprire ai più, la cultura dei popoli nomadi dell’Asia Centrale. Ad una quarantina di chilometri dall’ippodromo, nella valle del Kyrchyn, sono state montate un centinaio di yurte. Il villaggio mette in risalto la cultura nomade con canti, balli e degustazioni gastronomiche. Anche se il numero di nomadi  è drasticamente diminuito nella regione, soprattutto in cambio di uno stile di vita semi-nomade (yurte posizionate sui pascoli d’estate, e discesa nei villaggi in inverno), gli usi e costumi ancestrali sono ancora molto presenti nella vita quotidiana dei kirghisi. Quasi 700 volontari, per lo più giovani che studiano nelle grandi città del paese, sono stati reclutati e formati per questi Giochi, che gli permettono di mettere in luce le tradizioni nomadi e far scoprire uno stile di vita che costituisce l’identità kirghiza. Tra le yurte passeggiano  partecipanti e spettatori a che non hanno nulla a che vedere con la cultura nomade, come una giovane tiratrice con l’arco di Singapore, arrivata con cinque compagni di squadra per partecipare alle gare di tiro con l’arco. “I Giochi permettono di incontrare gente proveniente da tutte le parti del mondo, ma soprattutto dall’Asia Centrale. E’ molto interessante per noi che arriviamo da un Paese dove la cultura nomade è totalmente assente”. Abituati alla perfezione organizzativa di Singapore, la squadra di arcieri deve arrendersi “all’assenza di una qualsiasi traccia di programma. Non si sa mai chi incontrerà chi, quando, dove. Questo da noi non succederebbe mai. Ma alla fine qui riescono a far funzionare tutto, comunque!”.

Uno degli obbiettivi principali dei Giochi mondiali nomadi è quello di far crescere il numero di turisti, che in effetti è triplicato negli ultimi dieci anni. Il Governo conta sulle sue ricchezze naturali e culturali e i Giochi sono una vetrina internazionale. Ma la loro organizzazione, che costa intorno ai 4,5 milioni di dollari, ha creato non pochi malumori: il Kirghistan, con un tasso di povertà del 33% è uno degli Stati più poveri dell’Asia Centrale. Corre voce che la prossima edizione si terrà in Turchia nel 2020. Ufficialmente perché i Giochi sono “cresciuti” dal punto di vista organizzativo e visto che nessuna delle discipline presentate potrà mai diventare “olimpica” è giusto che questi superino le frontiere kirghize. Ma allora tutta la storia del Brand Kirghistan e dell’espansione turistica? Sono regioni dagli strani equilibri si sa, prendiamola  “sportivamente” e speriamo che riescano comunque nel loro intento.

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