Jeremy Rifkin e il sogno europeo

Wikipedia non è – e neppure credo abbia – l’ambizione di essere depositario completo di tutto lo scibile, possibilmente vero, sulle voci che contiene. E’ una libera enciclopedia online alla quale chiunque può contribuire. E’ in ogni caso un utile strumento per permettere una conoscenza di massima su molti argomenti, salvo valutare cum grano salis e svolgere ricerche più approfondite. Del resto questa è l’era dell’accesso. Si tratta di un concetto coniato da Jeremy Rifkin, economista e sociologo, la cui opera vuole dimostrare come l’economia capitalista si stia muovendo dal sistema focalizzato sulla proprietà nel senso tradizionale del termine e del concetto, in una direzione in cui si predilige, a più livelli, la possibilità di accedere alle fonti con l’uso dei sistemi di esternalizzazione. Si passa quindi da sistemi in cui la fabbrica classica viene sostituita dalle strutture esterne in il lavoro e le sue componenti, vengono acquisiti di volta in volta da chi ne detiene una frazione. Lo stesso avviene per le informazioni. Si tratta di una quasi rivoluzione copernicana che, da oltre un decennio, Rifkin propone con i suoi scritti e come attivista, unitamente ai concetti di entropia in materia di risorse energetiche e empatia come capacità degli individui ed elemento evolutivo dell’uomo. Rifkin ha anche scritto un testo sulla terza rivoluzione industriale i cui concetti sono stati accolti positivamente e hanno trovato ingresso nel tredicesimo piano quinquennale approvato dal governo cinese nel 2015.

La sua opera è in Italia, e forse anche in Europa, non valorizzata adeguatamente; prova in tal senso può essere ricavata dal fatto che la pagina in Italiano di Wikipedia a lui dedicata, è un semplice sommario di quella in inglese, a sua volta non certo esaustiva, e comunque inferiore a quella di un qualsiasi calciatore di medio livello. Probabilmente ciò deriva da una sua visione di Europa che, ben descritta nel suo libro del 2004 “Il sogno Europeo”, è rimasta solo, appunto, un sogno e una grande occasione perduta.

Con un entusiasmo e un ottimismo a dir poco disarmanti, Rifkin svolge nel suo testo un’interessante analisi storica e sociologica dello sviluppo europeo in parallelo con quello americano, auspicando non solo la creazione degli Stati Uniti d’Europa, cui a suo dire ben avrebbe potuto aderire anche il Canada. Pone in evidenza come l’Europa fosse, e potesse essere ancora di più, portatrice di istanze positive e diventare una fucina di pensiero su cui modellare il successivo sviluppo globale in una direzione decisamente ambientalista, con maggior rispetto degli interessi e delle ragioni di chiunque e verso una società interconnessa e globalizzata.  Tutto ciò in contrapposizione con l’individualismo e il sogno americano incarnato dal vecchio romantico e anacronistico cowboy che si muove da solo nei grandi spazi. Secondo Rifkin il sogno europeo, che pone l’accento sulle relazioni comunitarie e sulle diversità più che sull’autonomia individuale, era il logico e auspicato sviluppo globale. Si sarebbe addirittura finalmente giunti a rispondere alla domanda a suo tempo formulata da Henry Kissinger che si chiedeva a chi avrebbe dovuto telefonare per parlare con l’Europa.

Siamo purtroppo testimoni che tutto ciò non è accaduto e che un’importante occasione è andata persa. Mentre Rifkin stava scrivendo si parlava della possibilità di una costituzione europea che avrebbe sancito un importante passo avanti ben oltre l’Euro e una serie di normative unificatrici che, comunque, non avrebbero fatto perdere le sovranità ai singoli Stati. Il progetto di Costituzione Europea è forse definitivamente crollato davanti ai referendum in Francia e Paesi Bassi che, con il loro NO, hanno fermato il progetto di ratifica. La Brexit è stata forse un ulteriore segnale negativo (la Gran Bretagna aveva sospeso il referendum di approvazione), e l’attuale quadro politico non depone certo a favore di una ripresa del percorso di unificazione del vecchio continente.

E’ onestamente triste rileggere a distanza di anni un testo che, con entusiasmo degni dei migliori palcoscenici, poneva in evidenza come l’Europa Unita non fosse solamente una questione solo di natura burocratica e legislativa, ma una grande opportunità da portare avanti e che avrebbe avuto effetti positivi in non pochi campi e non solo sui mercati e sull’economia. Rifkin, purtroppo, oltre che peccare di ottimismo, ha riposto troppa fiducia nei cittadini europei che continuano a resistere ad un concetto che vada oltre i nazionalismi di stampo post-medioevale e preferire la cura del proprio orticello e non riescono ad essere scevri da particolarismi. I risultati elettorali degli ultimi anni sono del resto una conferma in tal senso. Rileggendo l’analisi di Rifkin, infatti, sembra di rivedere e purtroppo per alcuni aspetti rivivere, alcuni momenti della nascita degli Stati Moderni e il loro consolidamento a dispetto della dimensione globale verso cui inevitabilmente ci stiamo avviando. Purtroppo il manifesto di Ventotene sembra allo stesso modo lontano e il suo messaggio sempre meno capito.

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