Goldrake e la generazione Cristina D’Avena

Si celebra in questi giorni i quaranta anni dalla prima uscita sugli schermi italiani di Goldrake; il primo, l’apripista dei cartoni giapponesi, in Italia (e forse in Europa) l’antenato di manga e anime. Comunque il precursore di tutti quelli arrivati successivamente. Jeeg robot d’acciaio, Mazinga e Daitarn, solo per citare i più noti in materia di mostri e robot spaziali combattuti da eroi terrestri. Più o meno nello stesso periodo arrivò Heidi, forse più adatto a un pubblico addirittura più giovane o alle bambine. Dopo, fino ai giorni nostri, passando per Puffi e Pokemon, abbiamo avuto Lady Oscar e incredibili storie di calcio in cui si poteva avere la cognizione della curvatura terrestre di un campo percorso nei tempi di una maratona o scene di pallavolo in cui, durante il tempo dell’elevazione per una schiacciata della protagonista, noi avevamo quello di uscire di casa per comprare la merenda, magari mangiarla e assistere allo smash finale.

Corollario di questi nuovi cartoni e di un genere che si affermava sempre più, le sigle che diventavano le hit del momento. Da quella di Goldrake, scritta da uno dei migliori musicisti italiani, Vince Tempera, fino all’apoteosi di Cristina D’Avena, autentica protagonista e icona dell’epoca. Per carità, assolutamente niente contro la cantante, che credo l’unica tra i protagonisti dello Zecchino d’Oro ad avere avuto successo nello spettacolo. Ma solo per porre in evidenza come lei possa considerarsi il simbolo di una generazione cresciuta a merendine, cartoni giapponesi e con le sue sigle. Abbiamo assistito addirittura ai remake, molto poco attinenti ai testi originali, di Cuore e Senza famiglia.

Prima non c’era tutto ciò. Avevamo la TV dei Ragazzi che iniziava alle cinque del pomeriggio, dopo che per le tre ore trascorse dall’ultimo telegiornale si poteva vedere sullo schermo solo una pioggia di puntini bianchi e neri e, quando finalmente iniziava la programmazione, magari far fuori una fetta di pane e prosciutto o con il pomodoro.

Niente esplosioni spaziali, ma le battaglie tra il Coyote e il Bee Bip o quelle tra Paperino e Cip e Ciop. Charlie Brown e Snoopy facevano sognare di giocare a baseball o combattere contro il Barone Rosso. Mafalda ci portava con delicatezza nel mondo della sua contestazione, Duffy Duck faceva sorridere.

L’arrivo dei cartoni giapponesi fu probabilmente per molti un trauma, senza anestesia. Cambiò forse in un solo giorno un modo di vivere e da cartoni ancorati alla vita quotidiana, e pur realistici nella loro fantasia, si passò a qualcosa di irreale e sconnesso dalla realtà. Non sono mancati personaggi accompagnati da animali parlanti o figure antropomorfe con sembianze umane. La violenza era vera, e non quella quasi rispettosa e da cavalieri di Yoghi che rubava le merende nel parco di Yellowstone.

Prendiamo atto del cambio, del passaggio dei tempi e dell’anacronismo a voler restare fedeli a Bugs Bunny e Speedy Gonzales quando imperversavano le storie lacrimevoli di Candy Candy, i successi da Hit Parade di Kiss me Licia, i futuri impossibili di Doraemon (un gatto robot che cambia il futuro!) e le lotte contro il male di Capitan Harlock. Silvestro, gatto maldestro si mette semplicemente da parte e, magari, si consolerà parlando con il canarino Titti dei bei tempi andati, magari rivedendo le vecchie puntate di Gulp e Supergulp che, sempre in epoca non sospetta, portarono in TV addirittura l’arte del fumetto: Bruno Bozzetto, Pratt, Bonvi, Magnus e Max Bunker e scusate se è poco.

Anche i cartoni animati sono, del resto, il simbolo di una televisione che cambia insieme all’epoca. Del resto almeno fino a metà degli anni settanta esistevano solo due canali Rai, il primo e il secondo, per avere Rai Tre si dovette attendere il 1979. Ma arrivarono pian piano le TV private, e la necessità di riempire i palinsesti era forse urgente. Da qui l’invasione dei prodotti del nuovo mercato. Purtroppo tutti uguali, con storie ripetute e ripetitive, senza fantasia e condite dalle stesse esplosioni di robot, da partite di calcio o tennis lunghe come una novella e che potevano durare anche più di una puntata da occhioni lacrimevoli dove, però, la lacrima però ballonzola più di mezz’ora, in una non ben definita onda o cascata, prima di decidere se cadere o meno, magari in attesa di un televoto da casa.

Ma ci si doveva muovere al passo con i tempi, ecco quindi che qualche canale inframezzava la pubblicità di cui viveva con spezzoni di cartoni. Vita difficile per i vecchi nostalgici di Mister Magoo, di Braccobaldo e dell’Orso Yoghi che, purtroppo se ne sono fatti una ragione.

Un’ultima nota, per sottolineare in che modo possono cambiare i tempi. Esisteva un programma, dal significativo titolo Gli eroi di cartone, in cui, oltre a vedere i cartoni, veniva spiegato come venivano realizzati. La sigla la cantava Lucio Dalla.

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