Un anno di elezioni nel Mondo

Nel 2018 ci saranno elezioni presidenziali in Egitto, Russia e Venezuela, mentre gli iracheni, gli ungheresi e i libanesi voteranno per le politiche. Negli Stati Uniti, le “mid-terms” si preannunciano come un test molto importante per Donald Trump. Se il 2017 potrà essere ricordato come l’anno della sorprendente elezione del Presidente francese Emmanuel Macron, della rielezione meno sorprendente del Presidente iraniano Rohani e della Cancelliera tedesca Angela Merkel, così come l’anno dei referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno e della Catalogna, quali elezioni lasceranno il loro segno nel 2018?

Chi oserà sfidare Abdel Fattah al-Sissi alle presidenziali che dovranno tenersi tra Febbraio e Maggio 2018? Candidato alla sua propria successione, il generale che ha decretato la caduta di Mohammed Morsi nel 2013 poco prima di farsi eleggere con il 96% dei consensi, non fa alcun mistero della sua intenzione di correre per un secondo mandato. E il regime egiziano non rende la vita facile a coloro che si dicono essere pronti ad affrontare il Presidente dalla popolarità scemante. Ahmed Chafik? Quando l’ex Primo Ministro di Hosni Mubarak ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali dagli Emirati Arabi Uniti, è stato immediatamente rispedito nella capitale egiziana dove ha poi dichiarato che avrebbe ritirato la sua candidatura. Khaled Ali? L’avvocato difensore dei Diritti Umani, anche lui candidato dichiarato, è stato condannato a tre mesi di prigione per un ipotetico gestaccio fatto in occasione della  vittoria di una causa giudiziaria promossa contro al Sissi. Una condanna che potrebbe invalidare la sua candidatura. “Se avessimo elezioni eque chiunque potrebbe battere Sissi”, sottolineava Khaled Ali in un’intervista rilasciata lo scorso Giugno alla Reuters.

Il 18 Marzo prossimo, 110 milioni di cittadini russi sono chiamati a partecipare ad uno scrutinio che sembra essere verosimilmente scontato. Se più di 20 candidati dicono voler affrontare Vladimir Putin, al potere da ben 18 anni, il principale ostacolo alla rielezione del Presidente uscente è stato eliminato con il rifiuto, avvenuto lo scorso 25 Dicembre, della candidatura del principale oppositore di Vladimir Putin, Alexei Navalny. Dopo la decisione della Commissione elettorale, Navalny ha chiesto ai suoi concittadini di aderire ad  uno “sciopero del voto”. Ora, un’astensione elevata indebolirebbe la legittimità del risultato. Gli esperti ritengono pertanto che l’obbiettivo del Cremlino sia quello di mobilitare gli elettori e limitare le frodi per evitare manifestazioni dell’ampiezza di quelle del 2011-2012 così come le critiche degli occidentali e dell’opposizione. L’Unione Europea ha già denunciato il rigetto della candidatura di Alexei Navalny, decisione che fa dubitare seriamente Bruxelles “sul pluralismo politico in Russia e sulla prospettiva di elezioni democratiche”. Ma per il Cremlino, “la non partecipazione di una delle persone che volevano candidarsi e che non possono farlo per motivi legati alla legge, non può in alcun modo colpire la questione della legittimità dell’elezione”.

“Nel 2018 avremo, grazie a Dio e al popolo, la rielezione del nostro fratello Nicolas Maduro come presidente della Repubblica”. Se Nicolas Maduro, eletto nel 2013 non ha ancora resa ufficiale la sua partecipazione alle presidenziali che dovrebbero tenersi entro la fine del 2018, la dichiarazione del suo vice-Presidente, Tareck El Aissami, non lascia spazio al dubbio. Dopo la violentissima repressione delle manifestazioni antigovernative della scorsa primavera, gli oppositori di colui che viene definito da Washington  “dittatore”, sono ormai divisi.  Sono soprattutto i suoi più pericolosi potenziali avversari ad essere stati messi fuori dalla corsa presidenziale: il capo di Volontà popolare, Leopoldo Lopez, è agli arresti domiciliari e quello di Innanzitutto Giustizia , Henrique Capriles, è stato interdetto per qualsiasi attività politica. L’Assemblea Nazionale costituente del Venezuela ha, inoltre, approvato lo scorso Dicembre un decreto che priva di statuto politico i partiti che hanno boicottato le elezioni comunali del 10 Dicembre e questo potrebbe rappresentare un ostacolo insormontabile nella partecipazione alle presidenziali per le principali formazioni politiche.

A 84 anni, è uno dei più vecchi Capi di Stato del Mondo. Paul Biya, al potere dal 1982, si ricandiderà nel 2018? Soprannominato “la sfinge” per il suo amore per i segreti, non ha ancora detto niente sulle sue intenzioni. Ma la caduta in Zimbabwe di Robert Mugabe, al quale è stato diverse volte paragonato per via della sua longevità, potrebbe farlo riflettere. Se Paul Biya non si candiderà, difficile immaginare un successore che non venga “scelto” tra le personalità provenienti dall’Unione democratica del popolo camerunese (RDPC), il Partito al potere. L’Ungheria, diretta dal 2010 dal nazionalista Viktor Orban, viene regolarmente criticata dai suoi partner europei per aver  portato avanti riforme giudicate nocive allo Stato di Diritto e all’equilibrio dei poteri. Fermamente opposto all’accoglienza dei rifugiati in Ungheria, Orban ha riassunto con questi termini la scommessa delle politiche del prossimo Aprile: “La scommessa in qualsiasi elezione è capire se c’è un Parlamento e un Governo che difendono gli interessi del popolo ungherese o se sono al servizio di interessi stranieri”, ha dichiarato in un’intervista rilasciata all’organo di Governo Magyr Idok. Questa presa di posizione sempre più xenofoba di Viktor Orban permette paradossalmente al Partito estremista Jobbik di presentarsi come primaria alternativa.

Dopo la vittoria contro il presunto Stato Islamico, ici sarà un ritorno alla normalità democratica in Irak con le elezioni politiche del Maggio 2018? Questa è, senza dubbio, la volontà espressa dal Primo Ministro Haidar al-Abadi, che dovrebbe uscire più forte dopo questo scrutinio. L’ombra dell’alleato iraniano sulle elezioni sarà monitorata da vicino. Hadi al-Ameri e Kais al-Khazali, due dei principali capi delle milizie sciite irakene vicine a Teheran, hanno annunciato che avrebbero messo i loro uomini agli ordini di al-Abadi. Questa decisione potrebbe dar loro la possibilità di partecipare alle elezioni, forse nel quadro di un’alleanza più ampia appoggiata dall’Iran. Il Libano non ha organizzato elezioni parlamentari dal 2009 a causa della mancanza di consensi per la nuova legge elettorale. Questo dato mostra quanto siano importanti le elezioni politiche previste  il prossimo 6 Maggio e che metteranno in pratica, per la prima volta, un sistema di rappresentanza proporzionale. Dopo le dimissioni annunciate lo scorso 4 Novembre dall’Arabia Saudita, di Saad Hariri che accusava il potente movimento sciita Hezbollah, componente del duo Governo, e il suo alleato iraniano di “dominio” sul Libano e successivo ripensamento del Primo Ministro libanese, lo scrutinio sarà seguito molto da vicino nello scacchiere regionale.

Infine gli Stati Uniti, dove il 6 Novembre 2018 si terranno le elezioni di midterm. Qui in gioco c’è il rinnovo dell’intera Camera e di un terzo del Senato. Si tratterà di un primo vero test elettorale per Donald Trump. La vittoria a sorpresa dell’elezione senatoriale parziale in Alabama del democratico Doug Jones, avvenuta lo scorso 12 Dicembre, sembra essere di cattivo presagio per il Presidente americano, perché potrebbe preannunciare un’ondata di contestazioni dei democratici alle elezioni parlamentari del prossimo Novembre e far perdere ai repubblicani il controllo di una, se non di entrambe, le camere del Congresso.

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