Italia delle Regioni

Via libera delle Regioni a “un pacchetto di accordi e provvedimenti per il rafforzamento dei centri per l’impiego con nuove 1.600 unità, dal 2018, al livello nazionale”, ovvero dipendenti a tempo determinato. Questa la dichiarazione della coordinatrice della Commissione Scuola e Lavoro della Conferenza delle Regioni, Cristina Grieco (assessore della Regione Toscana), al termine della riunione del 21 dicembre, ricordando che nella legge di bilancio è stato inserito il passaggio del personale dei centri per l’impiego dalle province (circa 7mila persone) e dalle città metropolitane alle Regioni.

“Finisce la fase transitoria in cui le Regioni avevano la responsabilità dei centri per l’impiego ma non il personale che era rimasto in capo alle Province – ha continuato – Ora il quadro di competenze è chiaro. E’ stato fatto un grande lavoro, sia tecnico che politico che istituzionale, e siamo certi che i centri per l’impiego possano partire in un quadro delineato diventando centrali per le politiche attive per il lavoro”.

Dunque accordo raggiunto tra il Governo e le Regioni sul pacchetto di provvedimenti che riguardano i servizi per l’impiego e le politiche attive per il lavoro. “Dopo una lunga fase transitoria, durata per un triennio e regolata da due importanti accordi quadro in materia di politiche attive che hanno dato continuità professionale e operativa ai servizi per l’impiego, finalmente si gettano le basi per la riforma a regime del sistema e per la sua implementazione”, spiega l’assessore al lavoro e alla formazione Cristina Grieco.

Una giornata di grande soddisfazione. Siamo di fronte ad un momento che si può definire storico – aggiunge l’assessore – in quanto sul piano normativo si completa la cassetta degli attrezzi per l’operatività dei nuovi servizi per il lavoro. L’impegno è infatti complementare rispetto al processo di riorganizzazione dei servizi, con il passaggio alle Regioni del personale dei centri per l’impiego, previsto dal bilancio regionale con lo stanziamento, a decorrere dal 2018, di risorse nazionali per la copertura dei costi del personale a tempo indeterminato e determinato”. Tre i decreti ministeriali alla base dell’intesa odierna: il decreto sui criteri dei sistemi di accreditamento dei servizi per il lavoro; il decreto in materia di requisiti giuridici per l’iscrizione all’albo delle agenzie per il lavoro; il decreto con gli indirizzi in materia di politiche attive e la definizione dei Lep (Livelli essenziali di prestazione) dei servizi per il lavoro. Inoltre, in sede di Conferenza unificata è stato anche raggiunto l’accordo per l’approvazione di un piano di rafforzamento dei servizi e delle misure di politica attiva del lavoro. L’approvazione di questi provvedimenti e l’adozione del piano per il potenziamento dei servizi per il lavoro giungono dopo un lungo percorso di lavoro politico e tecnico e di confronto interistituzionale, in cui le Regioni hanno svolto un ruolo determinante per arrivare ad una stesura condivisa di un pacchetto di riforma del mercato del lavoro, che completa la cornice operativa delineata dal Jobs Act. Con i provvedimenti in materia di accreditamento, da una parte, si determinano le regole per l’efficace funzionamento del sistema e la proficua sinergia tra operatori pubblici e privati del mercato del lavoro, in una chiave nazionale ma rispettosa dei regimi di accreditamento territoriali.

Con il decreto in materia di politiche attive, d’altra parte, si procede all’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni che i servizi per il lavoro devono erogare in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale alle persone disoccupate e ai datori di lavoro, fermo restando la competenza regionale in materia di standard di servizio. Si tratta di un provvedimento importante che ha impegnato a lungo le Regioni, con la finalità di pervenire alla costruzione di un sistema di servizi più omogeneo e qualificato. Infine, con il piano di rafforzamento si dotano i servizi per l’impiego degli strumenti e delle risorse umane necessarie per poter avviare effettivamente un processo di miglioramento e crescita, con l’obiettivo di superare le difficoltà esistenti e renderli in grado di erogare agli utenti le fondamentali funzioni assegnate dalla norma nazionale e maggiormente vicini al raggiungimento dagli obiettivi europei.

I comuni italiani esprimono soddisfazione per l’approvazione della Legge per la mobilità ciclistica. Il presidente Anci Decaro ha commentato:   “E’ una grande emozione per me che, con convinzione, avevo preso l’impegno di proporla candidandomi in parlamento. Oggi posso dire di aver mantenuto quell’impegno”. Antonio Decaro, presidente dell’Anci e sindaco di Bari, è stato, da deputato, primo firmatario della legge approvata recentemente in Senato.

“Voglio ringraziare i tanti parlamentari dell’intergruppo – continua Decaro – che, indipendentemente dal loro schieramento politico, insieme alla Fiab onlus e a tante associazioni, mi hanno aiutato a scrivere la legge. Un grazie lo devo al mio amico Paolo Gandolfi che, quando ho lasciato il parlamento per diventare sindaco di Bari, ha seguito passo dopo passo l’iter di approvazione. E un altro convinto e sentito grazie va al ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, che ci ha sostenuto”.

Decaro, un mese fa, aveva “celebrato” con le associazioni la prima tappa raggiunta, l’approvazione della legge alla Camera, con una corsa in bici per consegnare il provvedimento ai senatori. “Questa legge è una svolta epocale per un Paese in cui il 65 per cento delle persone si sposta in auto su percorsi inferiori ai cinque chilometri: tutti automobilisti che potrebbero facilmente trasformarsi in ciclisti. Il testo – aggiunge Decaro – promuove l’uso delle bici attraverso l’obbligo di realizzazione di biciplan comunali, provinciali e regionali, con appositi incentivi, con la realizzazione di stazioni di bike sharing presso le stazioni ferroviarie e dei bus extraurbani, con l’obbligo di introdurre nel regolamento comunale spazi e parcheggi per le biciclette, con la possibilità di utilizzare case cantoniere e stazioni ferroviarie abbandonate come punti di scambio per chi usa le due ruote o fa cicloturismo, con la conversione in piste ciclabili dei sedimi ferroviari o di corsie che fiancheggiano gli acquedotti, non più usate per i loro scopi originari. Insomma, un mix di regole e incentivi che possono davvero rendere le città e il territorio extraurbano a misura di bici. Nell’interesse dell’ambiente e della salute”.

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