Tutti defunti… tranne i morti (Film, 1977)

Tutti defunti… tranne i morti di Pupi Avati è una commedia horror, genere che in Italia non è stato coltivato abbastanza, ma che Avati dimostra di saper confezionare con gusto. Il film è scritto e sceneggiato dal regista con la collaborazione del fratello Antonio, Gianni Cavina e Maurizio Costanzo.

Siamo a Casalecchio sul Reno, in Emilia Romagna, negli anni Cinquanta. Dante (Delle Piane) è un piazzista di libri che si reca al castello dei Marchesi Zanotti per vendere un volume di leggende, visto che alcune riguardano anche il loro casato. Al castello Dante si rende conto che tutti sono in lutto perché è morto il vecchio marchese, ma pure lui dopo un incidente d’auto è costretto a restare insieme agli ospiti. Prende il via un meccanismo alla Dieci piccoli indiani di Agata Christie, corretto in senso comico, ai limiti della farsa. Un misterioso assassino comincia a uccidere i membri della famiglia e nessuno riesce a venire a capo del mistero. Ci provano sia Dante che il detective Martini (Cavina) – giunto sul posto per risolvere il caso – ma sono troppo imbranati per riuscire nel loro intento. Pare quasi che sia una maledizione ancestrale a eliminare familiari e servitori del marchese. In realtà l’assassino è il vecchio marchese, che non è morto, ha soltanto messo in scena la dipartita per eliminare i membri della famiglia e appropriarsi di un tesoro. La soluzione del mistero era scritta in una profetica filastrocca contenuta nel libro di leggende che Dante aveva portato al castello. Nella sequenza finale pure il marchese farà una brutta fine: lui che aveva ordito la trama con la complicità dell’infermiera resterà vittima della donna stessa. Al termine del film è proprio vero che tutti sono defunti, tranne i morti!

Avati gioca con il genere horror, smitizza convenzioni e stereotipi, ridicolizza luoghi comuni e situazioni standard, ma al tempo stesso ambienta la storia comica in un castello gotico-padano e descrive l’assassino in guanti e cappello nero secondo la lezione di Bava e Argento. Avati, per non replicare se stesso, fa seguire a un film nero di successo, una singolare e grottesca commedia horror, che ripropone alcuni interpreti e medesima ambientazione, ma in chiave parodistica. Il regista fotografa l’assassino come un uomo nero delle fiabe che si muove tra alberi scheletriti e nebbiose campagne padane, ma perfeziona il suo look secondo i dettagli del nuovo horror italiano. La campagna ferrarese è descritta con dovizia di particolari, tra casolari abbandonati e cani che abbaiano, luna piena in un cielo stellato e notti di nebbia. I personaggi sono surreali e grotteschi al punto giusto. Ricordiamo il sessuomane Donald che porta ai polsi un paio di manette per limitare la frenesia masturbatoria, il detective imbranato che pare uscito dalla penna di Luciano Secchi e da un albo di Alan Ford; la serva è una vecchia nana (un attore maschio, in realtà!), il suo collega un uomo orribile con gli occhi storti e la risata da fumetto nero, pure l’infermiera ninfomane è un personaggio da fumetto nero corretto in chiave comica. Per non parlare di Michele Mirabella, cow-boy padano che in una sequenza da cartone animato si butta dalla finestra per finire in sella al cavallo (che sprofonda nel terreno).

Gli attori principali sono un ottimo Carlo Delle Piane, nei panni di un improbabile libraio, Gianni Cavina imbranato detective, e l’emigrato di ritorno pugliese-americano Michele Mirabella. Francesca Marciano, Greta Vaillant e Flavia Giorgi sono le interpreti femminili, limitate da ruoli modesti, anche se la prima si ricorda per alcune incursioni sexy. Gli attori sembrano improvvisare le battute, come interpreti da avanspettacolo, l’umorismo macabro è pervaso da un’insolita vena goliardica. Pure la tecnica degli omicidi è fantasiosa, si comincia con la mano guantata del killer che indossa mantello nero e cappellaccio, ma raramente uccide con il coltello, preferisce metodi surreali. Una vittima viene eliminata con un fono manomesso che sembra un lanciafiamme, un’altra con una forte scossa di elettricità che la carbonizza, un’altra ancora mediante una carica di dinamite. Il nano viene addirittura ucciso, messo in scatola e spedito al castello con in bocca una fiala di cianuro che farà un’altra vittima. Michele Mirabella muore dopo la lunga scena della roulette russa che anticipa in maniera farsesca Il cacciatore (1978) di Michael Cimino.

Tutto molto fumettistico, da cinema di Mel Brooks, stile Per favore non toccate le vecchiette (1968) e Frankenstein Junior (1974), così come a tratti sembra di trovarsi in un fumetto di Alan Ford, popolare tra i ragazzini degli anni Settanta. Tutti defunti… tranne i morti è una black comedy quasi completamente girata in interni, nella casa di riposo Primo Stefanelli, dalle parti di Massa Finalese. Dieci piccoli indiani di Agatha Christie è il pretesto narrativo che sta alla base della storia, visto che abbiamo un gruppo di persone riunite in un luogo chiuso, un killer che uccide – quindi il colpevole è tra di loro – e un investigatore che indaga. Comicità slapstick e da torte in faccia che convive con umorismo inglese raffinato, tra battute che smitizzano il genere horror, tipo: Chissà perché ai funerali piove sempre?. Musica di Rachini che imita in senso comico molte produzioni horror, ma anche a La pantera Rosa e – sui titoli di coda – la sigla dei cartoni animati della Warner. Un film strampalato e divertente, persino troppo farsesco per lo stile di Avati, un unicum nella sua produzione, sulla falsariga di Bordella e della Mazurka.

Il film segna l’inizio della collaborazione artistica tra il regista e Carlo Delle Piane, prima di allora soltanto un modesto caratterista. Pupi Avati non lo voleva proprio, perché lo considerava ormai segnato da una carriera di attore dci serie C, ma il fratello Antonio intuì le grandi potenzialità di attore e dobbiamo dire che ha avuto ragione lui. La pellicola aveva un ammiratore entusiasta come Bernardino Zapponi, non può dirsi del tutto risolta, ma ancora oggi conserva un vasto pubblico di ammiratori e ha il merito di essere confezionata con un umorismo che non invecchia.

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Regia: Pupi Avati. Soggetto e Sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Maurizio Costanzo, Gianni Cavina. Montaggio: Maurizio Tedesco. Fotografia: Pasquale Rachini. Colore: Luciano Vittori. Musiche: Vincenzo Tommasi. Edizioni Musicali: Eurofilmusic. Scene e Costumi: Luciana Morosetti. Capo Reparto Trucco: Giovanni Amadei. Trucco: Giovanna Manca. Aiuto Regista: Cesare Bastelli. Operatore ala Macchina: Giorgio Urbinelli. Fonico: Raffaele De Luca. Effetti Speciali: Giovanni Corridori. Macchine da Presa: E.C.E. Roma. Esterni e Interni dal vero: Casa di Riposo Primo Stefanelli nel comune di Massa Finalese. Mixage: Venanzio Biraschi. Sincronizzazione: Cooperativa di lavoro Fono Roma, CVD. Ispettore di Produzione: Francesco Guerrieri. Produttori: Gianni Minervioni, Antonio Avati. Casa di Produzione: A.M.A. Film srl. Teatri di Posa: De Paolis Incir. Interpreti: Gianni Cavina, Carlo Delle Piane, Francesca Marciano, Greta Vajan, Michele Mirabella, Flavia Giorgi, Giulio Pizzirani, Bob Tonelli, Luciano Bianchi, Carla Astolfi, Pietro Bona, Ferdinando Orlandi, Valentino Macchi, Andrea Matteuzzi, Truxi e Klaus (allevamento Arturo Lezier).

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 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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