India, social network oscurati

Per sedare le proteste del popolo per la brutale repressione militare subita in Cachemire, le autorità indiane hanno tagliato l’accesso ai social network.

Sui social network i messaggi di addio degli abitanti del Cachemire indiano hanno cominciato a diffondersi in modo esponenziale immediatamente dopo l’annuncio fatto lo scorso 26 Aprile dalle autorità, decise a bloccare per un mese una ventina di siti e di app. Il giorno seguente, gli utenti hanno potuto usufruire ancora di qualche ora di libertà nell’ attesa di essere privati, da un momento all’altro, dell’accesso a Facebook, WatsApp, Twitter, Skype e molti altri. La misura è inedita, anche se la rete è già stata bloccata da una settimana sui cellulari, secondo un’usanza ormai diventata consuetudine nei periodi di disordini. Questo perché il Cachemire è ancora una volta in preda alla violenza. La situazione  continua a deteriorarsi da diverse estati ormai, in alternanza con le tregue forzate, dovute ai rigidi inverni che paralizzano la valle imalaiana di Sirinagar.

In nome dell’”interesse del mantenimento dell’ordine pubblico”, il Governo del Cachemire ha giustificato la sua decisione evidenziando il potenziale pericolo che costituivano i servizi di messaggistica qualora fosse utilizzato “da elementi antinazionali e asociali”. Per Asem Mohiuiddin, redattore capo del giornale The Legitimate di Sirinagar, “questo divieto sembra meno destinato a riportare la pace che ad occultare le critiche che prendono di mira le forze di sicurezza”. I social network sono diventati un punto di ritrovo per chi contesta in Cachemire, dove da tempo la popolazione cerca di denunciare le atrocità commesse dall’esercito indiano. E’ stato lo scrutinio locale che si è tenuto lo scorso 9 Aprile ad accendere la miccia. Sono scoppiati disordini tra i gruppi di protesta e le forze dell’ordine, disordini che hanno provocato la morte di 8 civili e aperto la strada alle manifestazioni degli studenti. Da allora sono circolati in rete molti video girati con i telefonini  che riprendevano gli scontri. Uno di questi ha provocato sdegno anche fuori dal Cachemire: legato sul davanti di una Jeep dell’esercito, un contadino viene utilizzato come scudo umano, chiaramente per dissuadere i manifestanti a lanciare pietre sul veicolo. Altri filmati mostravano alcuni soldati mentre colpivano ragazzi e adolescenti. Tutte immagini che rafforzano il sentimento anti-indiano in seno alla gioventù locale, frustrata e furiosa dopo decenni di repressione brutale perpetrata dall’esercito.

I social network sono diventati un potente mezzo per accendere i riflettori su un conflitto poco mediatizzato, un po’ per tedio del mondo esterno ma anche per via della presa di posizione di New Delhi, ferma sul principio della sua sovranità. Dall’indipendenza, avvenuta nel 1947, i due fratelli nemici hanno rivendicato la loro legittimità sul Cachemire. India e Pakistan hanno tentato più volte di riconquistare la provincia a maggioranza musulmana, dividendola in due territori con una frontiera de facto dopo aver combattuto due guerre in suo nome. La situazione si è nuovamente avvelenata dopo il 1989, quando si è accesa nella vallata un’insurrezione anti-indiana condotta da combattenti addestrati in Pakistan. L’India imputa molti attacchi a questi gruppi separatisti armati, tra questi quello perpetrato a Bombay nel Novembre del 2008 (166 morti). Lo scorso 28 Aprile, l’esercito indiano è stato coinvolto in un altro attacco che ha causato la morte di tre soldati si stanza in una base militare in Cachemire. Di fronte a queste minacce, la valle di Srinagar, con i suoi 8 milioni di abitanti, rimane una delle zone più militarizzate del mondo, con mezzo milione di forze dell’ordine che perlustrano nervosamente lo Stato di Jammu-et-Cachemire. Il conflitto è costato la vita a più di 70.000 persone. Ma in India, l’argomento è tabù e coloro che osano criticare la strategia indiana vengono accusati di antipatriottismo. Una tendenza che si accentua ancor più nell’era del Primo Ministro Narendra Modi, fervente promotore del nazionalismo Indù.

Sul posto la situazione peggiora dall’estate 2010, data che segna la morte di più di un centinaio di contestatori. La scorsa estate, gli abitanti dei villaggi della regione hanno apertamente commemorato come eroe Burhan Wani, un giovane leader dell’insurrezione ucciso dai soldati. Negli scontri che sono seguiti, 84 civili sono stati uccisi e 12.000 feriti, facendo sprofondare così la vallata nel caos. L’accesso a internet dai cellulari era stato allora interrotto per cinque mesi. “Oggi, con il nuovo divieto posto sui social network, il Governo si allontana ancor più dai giovani”, afferma Mohiuiddin. La situazione così non si normalizzerà di certo e la gente dovrà prepararsi a disordini sempre più violenti.

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