Giallo malese, atto secondo

Giungono a noi – con echi relativamente distanti – nuovi sviluppi sulla vicenda dell’uccisione, in Malesia, del fratellastro del dittatore nordcoreano Kim Jong-un.  Intrigo, forse, secondario per un’Europa concentrata sui pericoli del radicalismo islamico, ma che ha conquistato la ribalta in Estremo Oriente, da dove provengono e si sovrappongono notizie contraddittorie con alcune dichiarazioni della prima ora. Nel precedente articolo dello scorso venerdì, Giallo malese, abbiamo riportato quanto trapelato dalla stampa locale nell’immediatezza del fatto. Secondo un’agenzia che citava fonti del governo giapponese, le presunte assassine di Kim Jong-nam, primogenito del defunto leader Kim Jong-il, sarebbero state ritrovate morte a poche ore dall’agguato.

Dalle immagini, reperibili in rete, riprese dalle telecamere dell’aeroporto di Kuala Lumpur, teatro dell’omicidio, due donne si avvicinano alle spalle della vittima per premergli le mani sulla faccia e poi dileguarsi con nonchalance in mezzo alla gente, procedendo ognuna in direzione opposta all’altra. E’ stata data successivamente notizia dell’arresto di tre persone: le due giovani del video – la ventottenne vietnamita Doan Thi Huong e la venticinquenne indonesiana Siri Aishah – e il fidanzato ventiseienne di quest’ultima, Muhammad Farid Bid Jalaluddin, in possesso di passaporto indonesiano. Doan Thi Huong – nel video in maglietta bianca con la scritta LOL (acronimo social che significa, ironia della sorte, Lots Of Love) – e la sua sodale sarebbero, dunque, tutt’altro che decedute. Probabile depistaggio? Dagli esami autoptici, risulterebbe che la vittima abbia inalato una sostanza tossica, distribuita sulle mani di una delle due killer o spruzzatagli sul viso con effetti simile al gas nervino, che ne ha provocato il successivo infarto nel pronto soccorso dell’aeroporto e la morte durante il trasporto in ambulanza all’ospedale. Si era parlato anche d’iniezione letale di veleno, somministrata simultaneamente alla tossina sulla faccia, ma la cosa è da confermare.

Interrogata dagli investigatori malesi, Doan Thi Huong avrebbe dichiarato di essere stata avvicinata da quattro uomini e una donna, che le hanno chiesto di partecipare a uno scherzo sul genere candid camera ai danni della vittima, senza immaginare di rimanere coinvolta in un vero omicidio. Storia che non regge. Quel che, invece, è acclarato è l’interesse mostrato dalle varie potenze orientali che si sono chiamate in causa, esprimendo direttamente considerazioni e valutazioni a mezzo stampa: Giappone, Cina, Sud Corea e Malesia.

Non va, infatti, dimenticato il quadro di riferimento in cui prende corpo il guazzabuglio malese: il nuovo test di un missile balistico orientato verso il Mar del Giappone da parte del regime di Pyongyang; uno scomodo pretendente alla leadership in Corea del Nord, caduto in disgrazia e riparato a Macao, sotto la discreta protezione di Pechino, sempre attenta a garantirsi un’opzione “amica”, in caso di caduta dell’attuale e “poco gestibile” dittatore Kim Jong-un; Seul, alleata di Washington, sempre pronta a denunciare le presunte malefatte e minacce ordite dal pericoloso vicino ed eseguite dai suoi agenti segreti, in difesa dello stile di vita e del processo di democratizzazione in atto nel Paese; la Malesia, scelta come area franca, fuori dalla giurisdizione cinese, in cui il leader nordcoreano avrebbe potuto far abbattere più facilmente un bersaglio del regime.

Il minestrone è servito. Senza tenere conto che, nelle ultime ore, qualcuno –  nel mirino delle autorità malesi, anche un diplomatico nordcoreano – ha tentato di trafugare la salma di Kim Jong-nam, oggetto d’insistenti quanto disattese richieste d’immediato rimpatrio da parte di Pyongyang.

Se Ian Fleming, celebrato padre letterario di James Bond, la super spia per antonomasia, fosse ancora tra noi, sull’affaire malese avrebbe potuto ricamarci un coup de theatre da par suo:  e, allora, spaziando naturalmente nel campo sconfinato dell’immaginazione, apprenderemmo che sono stati i Cinesi a organizzare – in un Paese terzo e davanti alle telecamere di sorveglianza di un aeroporto pieno di potenziali testimoni – la messinscena della dipartita di una loro importante e funzionale pedina, per sottrarla definitivamente alle grinfie del folle cattivone di turno.

Ipotesi fantasiosa e affascinante, ma, con i servizi segreti di mezzo, “never say never”.

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