UE, veto croato all’adesione della Serbia

L’allargamento ad est della Comunità Europea vede ora al centro dell’attenzione la Serbia, nel processo di adesione si attraversano una serie di passaggi programmatici a tema. Lo scorso 13 dicembre sono stati aperti due nuovi capitoli negoziali tra il paese balcanico e la UE, in particolare il capitolo 5 sugli appalti pubblici ed il 25 su scienza e ricerca. E’ stato sul capitolo 26 che è successo quello che non ci si aspettava, e cioè lo stop della Croazia. Il tema dello scontro verte su cultura ed istruzione, e nasce dalla presenza di enclavi croate in territorio serbo. L’accusa della Croazia è che la Serbia non tutela in maniera adeguata questa minoranza, appuntando i propri strali proprio sulla cultura e sulla stesura dei libri di testo scolastici. Tanto maggiore è la differenza tra l’etnia croata e quella serba che la prima usa l’alfabeto latino, la seconda quello cirillico, minime le differenze nella grammatica invece.

Curioso che il tema della tutela delle minoranze sia a doppio senso, la stessa Serbia accusa la Croazia di non tutelare le minoranze serbe sul suo territorio, tema ripreso anche dall’ONU che ha allargato le accusa a rom ed omosessuali, indicando che a questi gruppi non vengono riconosciuti i diritti sanciti nella Costituzione Croata. D’altronde i problemi delle minoranze si erano già presentati nella discussione sui capitoli 23 e 24, la presenza croata che si concentra soprattutto in Vojvodina è un tema decisamente delicato da gestire nell’ambito del processo di adesione. La Russia non ha mancato l’occasione di far pesare la sua presenza alle prime avvisaglie di problemi inviando il ministro degli esteri Lavrov a Belgrado, che rimane pur sempre il primo partner balcanico di Mosca.

Può apparire assurdo che l’ultimo arrivato, ed un piccolo paese in fondo, come la Croazia, possa bloccare un intero processo di adesione alla Comunità Europea. Ma sarebbe un giudizio superficiale che non tiene conto delle valutazioni fatte in sede di stesura della normativa. I passaggi previsti devono armonizzare le leggi dello Stato richiedente con quelle della UE, ma anche evitare che l’entrata avvenga alla presenza di attriti non composti che potrebbero solo aggravarsi in sede comunitaria. Si vuole quindi che l’adesione del richiedente avvenga con l’assenso plebiscitario degli stati membri, nel caso dei paesi ex-Jugoslavia si pagano le ferite rimaste dal sanguinoso processo di disgregazione.

I problemi non mancano nemmeno all’interno stesso del governo serbo, tra l’anima filo-europea guidata dal premier Aleksandr Vučić che ha scaricato le colpe su Zagabria mantenendo intatti i rapporti con Bruxelles, e l’ala filo-russa con a capo il Ministro degli Esteri Dačić che ricorda i legami storici con Mosca.

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