Conferenza di Parigi, appello per una soluzione a due Stati

La Conferenza, alla quale né gli Israeliani né i Palestinesi erano invitati, ha reiterato il suo impegno nei confronti di una soluzione a due Stati.

I settanta Paesi presenti a Parigi hanno solennemente rinnovato il loro impegno nei confronti dei due Stati israeliano e palestinese, sottolineando che non avrebbero riconosciuto alcuna azione unilaterale che andrebbe a minare la possibilità di una soluzione negoziata, soprattutto sulla questione delle frontiere o dello statuto di Gerusalemme. In un comunicato negoziato con fatica, i partecipanti alla Conferenza di Parigi hanno esortato Israeliani e Palestinesi a “dimostrare il loro impegno per una soluzione a due Stati e ad astenersi dal compiere azioni unilaterali che andrebbero a pregiudicare qualsiasi risultato frutto di un negoziato, soprattutto per questioni che riguardano le frontiere, Gerusalemme e i rifugiati”. Il testo precisa che se fossero compiute tali azioni, “non sarebbero state da loro riconosciute”.

I Palestinesi si sono immediatamente complimentati per le conclusioni della Conferenza, ritenendo il numero due dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) Saeb Erakat che questa aveva “evidenziato la necessità di mettere fine all’occupazione israeliana”.Di senso contrario la reazione di Israele convinto che la Conferenza “allontani” la Pace. La riunione di Parigi si è tenuta appena cinque giorni prima dell’investitura ufficiale del Presidente americano eletto  Donald Trump e dell’entrata in servizio di una Amministrazione che ha preso apertamente una posizione filo-israeliana. Trump in campagna elettorale ha inoltre più volte detto che avrebbe riconosciuto Gerusalemme  come capitale di Israele. Il comunicato si astiene nel fare riferimento al controverso progetto del nuovo Presidente americano di trasferire l’Ambasciata americana da Tel-Aviv a Gerusalemme.

Tale misura spezzerebbe la politica storica degli Stati Uniti e andrebbe incontro alla posizione dell’ONU, per la quale lo statuto di Gerusalemme, la cui parte Est palestinese è stata occupata nel 1967 poi annessa nel 1980 da Israele, deve essere definito attraverso un negoziato. I Palestinesi, che vogliono anch’essi fare di Gerusalemme la capitale del loro futuro Stato, hanno reagito con forza, minacciando il Presidente Mahmoud Abbas di ritornare sul riconoscimento di Israele se tale decisione fosse resa effettiva. Il capo della diplomazia francese Jean Marc Ayrault, ospite della Conferenza, ha affermato che lo spostamento dell’Ambasciata risulterebbe come una “provocazione”, avendo poco prima allertato i Ministri degli Esteri presenti della “pesanti conseguenze” che tale progetto avrebbe scatenato. Ha anche sottolineato che “le fondamenta” della soluzione del conflitto erano “le frontiere del 1967 e le grandi risoluzione delle nazioni Unite”, facendo riferimento ai testi che chiedevano a Israele di ritirarsi dai territori occupati dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967.

Da parte sua, il Segretario di Stato americano John Kerry si è complimentato per il testo “equilibrato”, che denuncia gli atti e le incitazioni alla violenza del campo palestinese. Ha anche confermato che a margine della Conferenza aveva avuto un colloquio telefonico con il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu per “rassicurarlo”. Netanyahu non ha però evitato di  denunciare l’iniziativa francese, definita un’ “inganno” e “futile”. Ma la Gran Bretagna, favorevole a dei negoziati bilaterali israelo-palestinesi, ha espresso delle riserve nei confronti della Conferenza di Parigi e non ha firmato il comunicato finale, un rifiuto interpretato come riflesso della volontà di Londra di rimanere vicina alla prossima Amministrazione americana. Gli Israeliani e i Palestinesi, i cui negoziati sono congelati da ormai tre anni, non erano presenti a Parigi. Se i Palestinesi sono favorevoli all’internazionalizzazione del conflitto, gli Israeliani sono violentemente opposti a qualsiasi approccio multilaterale del dossier, Il Governo Netanyahu non ha nascosto contare molto sul nuovo corso fatto intravedere da Donald Trump.

In tale contesto, a 70 anni dalla nascita di Israele e dall’inizio del conflitto, la riunione di Parigi ha avuto soprattutto valore simbolico, in un momento dove la prospettiva di due Stati sembra evaporare, con, sul terreno, il proseguimento della colonizzazione israeliana e i continui attacchi e attentati palestinesi. E’ stata anche l’ultimo atto di una serie di gesti sulla questione israelo-palestinese che non sono passati inosservati , il più importante dei quali è quello avvenuto all’ONU lo scorso 23 Dicembre. Un mese prima della sua partenza dalla Casa Bianca, l’Amministrazione del Presidente uscente Barack Obama si è astenuta nel votare una risoluzione che condannava la colonizzazione israeliana. Non avveniva dal 1979. Il tutto soprattutto a scapito del Presidente eletto Donald Trump che aveva esortato Washington a porre il suo veto. Nel comunicato finale si legge anche che un’altra  Conferenza internazionale, che vedrà la partecipazione “di tutti coloro che lo vorranno”, si terrà da qui alla fine dell’anno per fare il punto sui progressi del processo. Una formula un po’ troppo vuota per far intravedere un qualche briciolo di speranza nell’avanzamento (risolutivo) dei negoziati.

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