Harragas, i migranti algerini

Li chiamano Harragas. Si tratta di migranti algerini, che tentano a migliaia, ogni anno, la traversata clandestina del Mediterraneo verso l’Unione Europea. Un caso conosciuto da pochi.

È stata la caccia ai migranti sub sahariani che transitano sul territorio algerino, lanciata da Algeri lo scorso Dicembre, a focalizzare l’attenzione dei media locali e internazionali  e ricondurre l’Algeria sullo scacchiere della crisi migratoria. Ma questa caccia nasconde parte di un altro fenomeno che prende sempre più spessore: la fuga dei propri cittadini. Secondo un Rapporto dell’ONG “Algeria Watch”, l’Algeria nel 2015 ha occupato il nono posto nella classifica dei Paesi d’origine dei migranti clandestini arrivati alle frontiere esterne dell’Unione Europea (UE). In Algeria questi migranti vengono chiamati gli Harragas, i arabo i “bruciatori”. In questo caso coloro che “incendiano” le frontiere. Alla ricerca di un futuro migliore e per sprovvisti di visto, migliaia di algerini decidono ogni anno di lasciare clandestinamente il Paese su imbarcazioni di fortuna, e di attraversare il Mediterraneo in direzione dell’Italia e della Spagna, spesso mettendo in pericolo la propria vita.

Secondo il quotidiano El Watan (4/1/2017, 85 harraga intercéptés au large de Oran e de Bouzedjar), il fenomeno degli Harragas, che ha cominciato a prendere forma all’inizio degli anni 2000, negli ultimi mesi ha cominciato a “crescere in modo esponenziale e apre molti interrogativi ai servizi competenti”. Da parte  sua, la Lega Algerina per la Difesa dei Diritti Umani (LADDH), stima che questa tendenza non tenderà a diminuire perché si sono riscontrate partenze da tratti di costa algerina fino ad ora relativamente poco toccata dal fenomeno. Ma l’assenza di statistiche ufficiali, che tengono conto solo degli arresti di Harragas, senza prendere in considerazione tutti quelli la cui strada si è brutalmente interrotta in mare aperto, non permette di analizzare in modo efficace questa tendenza. Così, nel 2016, secondo il conteggio pubblicato dalla LADDH, a più di 1200 Harragas  è stato impedito di lasciare il Paese dai guardiacoste algerini. Il 2017 sembra seguire la stessa strada, con l’arresto di 85 Harragas, nella sola notte del 3 Gennaio, soprattutto nella città di Orano. Dal 2005, più di 10.000 Harragas sono stati “soccorsi” dalla marina algerina.

“Questo dramma esiste da diversi anni e le sue cause , che vanno cercate nell’assenza di prospettive, nella crisi economica, nell’insoddisfazione della quotidianità e nell’aspirazione ad una vita migliore, non sono state per nulla affrontate dalle autorità competenti” spiega a France24 Abdelmomen Khelil, Segretario Generale della LADDH. Ma gli Harragas algerini sono tutti giovani senza istruzione e provenienti dalle classi più disagiate? Sembrerebbe di no. Tra di loro si trovano anche molti giovani diplomati e laureati e appartenenti alla classe media. E questo da una nuova immagine ad una parte dell’immigrazione clandestina, quella dei diplomati e dei lavoratori qualificati, tra i 18 e i 30 anni con una predominanza di uomini della classe media che hanno avuto a che fare per troppo tempo con un mercato del lavoro precario e che, in un impeto di autonomia, tentano l’avventura. Un fenomeno che preoccupa il Paese che vede così perdere le sue forze più competitive e dinamiche. Per Rim Otmani, studiosa dell’Ecole des Hautes études et sciences sociales di Parigi, la “harga” è diventato il “progetto di vita” di una categoria sociale che rappresenta la vera linfa vitale del Paese . Nel tentativo di ricerca di una vita migliore, non sono comunque escluse le donne, i poveri, i mendicanti, i minori e i vecchi.

Se scampano alla morte durante la traversata, gli Harraga si trovano a dover superare gli stessi ostacoli dei migranti partiti dal Marocco, dalla Tunisia o dalla Libia. Nel 2014, almeno 13.000 migranti algerini sono stati fermati alle frontiere europee. Se viene recuperato dalla marina algerina prima di intraprendere la traversata del Mediterraneo, l’harraga viene sistematicamente  perseguito dalla giustizia del suo Paese, e spesso condannato a pagare una multa per “tentata emigrazione clandestina”. A volte subisce punizioni più dure, come il carcere. “Condanniamo la legge del 2009 che criminalizza la “harga”, perché controproducente, denuncia il Segretario Generale della LADDH. “Non risolve la problematica di base e che spinge queste persone a rischiare la loro vita in mare”, puntualizza Abdelmoumen Khelil. Secondo lui, invece di punire, lo Stato dovrebbe adottare delle politiche efficaci che trattengano questi giovani permettendo loro di godere di reali opportunità economiche sul posto, il tutto negoziando degli accordi che permettano di ottenere più facilmente il visto agli algerini che desiderano tentare la loro fortuna all’estero”.

Le parole del Segretario della LADDH sembrano frutto di un ragionamento lapalissiano, ma è questa la direzione nella quale andare per arginare un fenomeno ormai fuori controllo. Il problema algerino sembra nulla se confrontato al fenomeno dia ormai amplissimo spettro che coinvolge la coste solo pochi chilometri più a est, ma proprio per la sua maggiore gestibilità potrebbe servire da “nave scuola” da adattare alle altre realtà.

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