Cronache dai Palazzi

Il governo mira a sostanziali modifiche a proposito di voucher e appalti per evitare il referendum. Per quanto riguarda i voucher si tratta del primo quesito tra quelli proposti dalla Cgil e che ha avuto il via libera della Consulta.

L’esecutivo mira al divieto di ricorrere ai voucher in edilizia, nella Pubblica amministrazione, per lavoratori già assunti nella stessa azienda in quanto potrebbero essere utilizzati per versare parte dello stipendio. Tra le modifiche messe in campo dal governo c’è anche la riduzione della durata da un anno a 6 mesi, portare il valore totale da 7 a 5 mila euro l’anno e da 2 a 1.500 la somma ricevuta da una stessa azienda.  Il quesito riguardante i voucher, ritenuto ammissibile dai giudici della Corte costituzionale, propone di cancellare del tutto i buoni lavoro istituiti dalla legge Biagi nel 2003.

Fino ad un massimo di 5 mila euro di compensi l’anno, all’inizio i voucher dovevano servire a regolarizzare piccoli lavoretti occasionali (ad esempio giardinaggio, pulizie, faccende domestiche, ripetizioni scolastiche) svolti da casalinghe, studenti e pensionati. Nel tempo sono stati invece liberalizzati e nello stato attuale possono essere utilizzati per ogni tipo di attività fino ad un massimo di 7 mila euro annui a lavoratore. “È necessario intervenire per limitare e ridurre gli elementi di utilizzo improprio”, ha ribadito Palazzo Chigi a proposito dei voucher, che nel 2015 hanno interessato 1,4 milioni di persone. Sul tavolo c’è anche una proposta un po’ restrittiva, il ddl Damiano firmato da 93 deputati del Pd, che riporterebbe i voucher alla condizione del 2003, quando venivano utilizzati esclusivamente per lavoretti saltuari. Provvedimento, però, che il governo considera forse troppo rigido.

Il secondo quesito ammesso dalla Consulta si riferisce alla responsabilità negli appalti. Si propone di abrogare l’articolo 29 della legge Biagi, modificato in seguito dalla legge Fornero. In pratica l’azienda che prende la commessa e quella che ha in carico il subappalto avrebbero uguale responsabilità in materia di contratti, in sostanza diritti contributivi e retributivi. Nello stato attuale la responsabilità oggettiva in capo all’azienda madre risulta di minore entità rispetto all’azienda cui l’opera viene subappaltata. In pratica si mira ad un’uguale responsabilità, in tutto e per tutto, tra appaltatore e appaltante.

Il terzo quesito, non ammesso dalla Corte Costituzionale, proponeva invece di abrogare l’articolo 18 sui licenziamenti così come prodotto dal Jobs Act del governo Renzi. Secondo il Jobs Act, per i nuovi assunti dal 7 marzo 2015, in caso di licenziamento giudicato illegittimo viene applicato un indennizzo economico che aumenta in relazione all’anzianità di servizio, fino ad un massimo di 24 mensilità. Se fosse stato accolto il quesito avrebbe potuto cancellare la suddetta norma, oltre a ripristinare il diritto al reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa, anche per i dipendenti delle imprese con più di 5 dipendenti. L’articolo 18 della legge 300 del 1970 prevedeva invece il reintegro solo per i dipendenti di aziende con più di 15 dipendenti.

Per quanto riguarda la bocciatura del quesito ritenuto forse il più importante, quello appunto sull’articolo 18, il sindacato “valuta un ricorso alla Corte europea” per ripristinare i diritti contro i licenziamenti. Per il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, la battaglia continua, e ha attaccato il governo per aver coinvolto l’avvocatura dello Stato che si è così espressa a sostegno dell’inammissibilità. “Per noi non era un atto dovuto, è stata una scelta politica”, ha ammonito Susanna Camusso che ha inoltre chiesto di “fissare la data del voto”, possibilmente tra il 15 aprile e il 15 giugno.

Il referendum, comunque, non è stato del tutto archiviato dal sindacato che non si accontenta di eventuali ritocchi. “Non bastano modifiche per evitare il voto”, ha esplicitamente dichiarato Susanna Camusso. In pratica la data del referendum potrebbe essere semplicemente “spostata”, e agli italiani si chiederebbe se vogliono cancellare i voucher non come sono ora ma come saranno dopo eventuali modifiche che l’esecutivo sta ancora vagliando.

La Corte Costituzionale ha di fatto allungato la prospettiva del voto anticipato, che continua ad essere l’obiettivo di Matteo Renzi, segretario del Partito democratico. Nel frattempo nel “partito del non voto” sembra si stia discutendo se sia opportuno chiedere l’immediata calendarizzazione della legge elettorale a Montecitorio, in modo da sgombrare il campo sul fronte della riforma di voto, verificando quindi l’operatività del Parlamento in questa direzione. Il mandato da segretario di Renzi termina a novembre (2017) e di certo l’obiettivo dell’ex premier è andare alle urne prima di quella data, altrimenti il leader dem dovrà affrontare un eventuale Congresso, costretto ad un non semplice accordo tra le correnti interne. Dopo novembre 2017 –  quindi urne molto probabilmente a febbraio 2018 – per il Pd significherebbe anche appoggiare la legge di Stabilità in cui emergerebbero i cosiddetti “numeri della verità”, che di certo non rappresenterebbero un buon biglietto da visita prima delle urne, in piena campagna elettorale.

“Siamo alla fase del “Gentiloni stai sereno”, ha dichiarato Pier Luigi Bersani, alludendo al comportamento di Matteo Renzi nei confronti di Enrico Letta nel 2014, pochi giorni prima di condurlo alle dimissioni. In pratica si tratta di un Pd diviso tra voto e continuità di governo, con a capo un segretario che mira a non essere archiviato prima del prossimo congresso.

Sul fronte Banche i banchieri che hanno sbagliato dovranno pagare il conto. Come ha affermato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, di fronte all’Aula di Montecitorio, “In alcuni casi la crisi ha messo a nudo comportamenti di amministratori e manager che possono aver violato norme deontologiche e penali. Per tutti questi il governo auspica che la giustizia faccia rapidamente il proprio corso e che tutti quelli che hanno provocato danni alla collettività, ai creditori in generale, vengano sanzionati”. Il Tesoro provvederà a rimuovere eventuali consigli di amministrazione, come accadrà a Monte dei Paschi di Siena. Anche se sarà la magistratura ad occuparsi di eventuali illeciti, ha puntualizzato il ministro. Padoan ha inoltre chiarito che l’intervento dello Stato sul Monte dei Paschi, dopo il fallimento dell’aumento di capitale sul mercato, era l’unica strada percorribile per evitare la liquidazione, che avrebbe avuto “conseguenze gravissime sui risparmiatori, sulle imprese affidate, sui lavoratori e sulla fiducia nel sistema”.

Dopo i viaggi in Tunisia e a Malta il ministro dell’Interno Marco Minniti  punta invece alla risoluzione del caos immigrazione, entrando nel cuore del problema: il rapporto con la Libia, dalla quale partono circa il 90% dei migranti che approdano sulle coste italiane. In sostanza, la buona riuscita di un piano per contrastare l’immigrazione illegale passa attraverso il rafforzamento dell’identità statale della Libia. Il Viminale definisce la missione del ministro Minniti come “l’avvio di una nuova fase di cooperazione tra i due Paesi, soprattutto con riferimento al settore migratorio”. Nella pratica il nostro Paese assisterà la marina e la Guardia costiera libiche mettendo a disposizione 10 motovedette, mentre sulle navi che fanno parte della missione europea Eunavfor Med, guidata dall’Italia, si stanno addestrando 78 addetti libici e altri 500 si stanno formando a terra. Come auspicato anche dal ministro della Difesa, Roberta Pinotti, l’obiettivo finale è un pattugliamento congiunto in mare all’interno delle acque libiche, entro l’estate.

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