Al-Sissi e la Siria

Sfidando apertamente i suoi partner arabi, prima fra tutti l’Arabia Saudita, il Presidente egiziano Abdel Fattah al-Sissi ha recentemente ufficializzato  il suo appoggio al regime di Bachar al-Assad e fatto entrare il suo Paese nel “cerchio magico” della Russia.

Dopo aver consolidato il suo potere all’interno del Paese e avviato una solida intesa con la Russia di Vladimir Putin, l’Egitto del presidente al-Sissi si sta adoperando per riprendere il suo posto sullo scacchiere regionale. La volontà di arrivare a questo obbiettivo è tale da fargli rivedere i rapporti di “convenienza” diplomatici e ad allontanarsi dai suoi partner sunniti sulla questione della crisi siriana, in nome della guerra contro il terrorismo islamista. Abdel Fattah al-Sissi sfida così le monarchie del Golfo, obnubilate dalla loro rivalità politico-religiosa con l’Iran sciita, da diversi anni fonte di destabilizzazione in Medio Oriente, in Yemen, in Irak e in Siria. Alla fine di Novembre, il Presidente egiziano ha in effetti dichiarato totale sostegno all’esercito del suo omologo siriano Bachar al-Assad, già sponsorizzato da Mosca e Teheran, contro i gruppi di ribelli, appoggiati da Riyad e dai suoi alleati del Golfo. “La nostra priorità è dare una mano agli eserciti nazionali, per esempio in Libia, per rafforzare il controllo dell’esercito sul territorio e monitorare le componenti estremiste. Stessa cosa in Siria ed Irak”, aveva dichiarato in un’intervista alla televisione pubblica portoghese RTP. Per rendere ancora più incisivo questo messaggio, ha adottato la retorica del Cremlino affermando che la posizione del suo Paese era quella “di rispettare la volontà del popolo siriano, e che una soluzione politica alla crisi siriana [fosse] il miglior modo di procedere”.

Inoltre, da qualche settimana, soprattutto in seguito della visita al Cairo del responsabile dei servizi di sicurezza siriani, il generale Ali Mamlouk, le informazioni riguardanti la presenza di “consiglieri militari egiziani” accanto alle forze di Damasco sono diventate sempre più numerose sui media arabi. Lo scorso 7 Dicembre, Al-Akhbar, un giornale libanese vicino all’Hezbollah filo iraniano, ha rivelato che un certo numero di esperti militari e securitari egiziani erano presenti in Siria nell’ambito di una operazione di cooperazione tra  Paesi che miravano a “combattere la minaccia terrorista”. Il quotidiano afferma che il loro numero arriverà a 200 entro la fine dell’anno. Il 24 Novembre, il quotidiano libanese filo siriano As-Safir  sottolineava che un’unità di 18 piloti dell’esercito egiziano era stata posta di stanza in una base militare nel centro della Siria. Notizia che è stata ufficialmente smentita dal Cairo, ma non da Damasco.

Questi sviluppi arrivano in un momento di già forti tensioni  tra egiziani e sauditi, tensioni iniziate lo scorso  Ottobre quando il Cairo ha appoggiato alle Nazioni Unite una risoluzione russa sulla Siria. Episodio che ha sensibilmente deteriorato le relazioni privilegiate tra le due potenze regionali, visto che per tutta risposta il Regno wahabita ha sospeso la consegna de prodotti petroliferi al Cairo. Il potere egiziano, aiutato finanziariamente dai sauditi dalla ripresa in mano del Paese nel 2013 da parte dei militari, a detrimento dei Fratelli Musulmani e del Presidente Mohamed Morsi, cerca da tempo di liberarsi da questo giogo economico riavvicinandosi ai russi. E tutto questo avviene nello stesso momento in cui Mosca cerca, a sua volta, di estendere la sua influenza in Medio oriente, approfittando dei rapporti sempre più distanti tra le potenze della Regione e gli Occidentali. La Russia era stata la prima a manifestare il suo appoggio al nuovo potere risorto dall’esercito nel 2013, mentre lo storico alleato americano prendeva le  distanze dai militari egiziani e che l’Amministrazione Obama distoglieva sempre più l’attenzione dalla Regione. In attesa delle ripercussioni economiche, questo riavvicinamento si è concretizzato dal punto di vista militare con esercitazioni congiunte tra i due eserciti e delle consegne di materiale militare all’Egitto. Un appoggio vitale per il potere egiziano, che deve far fronte non solo alla minaccia insurrezionale jihadista nel Sinai, ma anche all’instabilità cronica del suo vicino libico.

Uomo pragmatico, il presidente al-Sissi inoltre conta profittare delle conseguenze sulla congiuntura internazionale dovute al risultato delle Presidenziali americane, che hanno visto l’arrivo di un “putinofilo” alla Casa Bianca, anche lui partigiano della stessa linea dura nei confronti dei movimenti radicali. E il Rais egiziano ha tutte le ragioni del mondo di sperare di trarre dei benefici dal cambio di Amministrazione a Washington – che percepiremo dal prossimo Gennaio -, avendo avuto il raro privilegio di essersi intrattenuto, lo scorso 19 Settembre a New York, con il presidente eletto, quando quest’ultimo non era che un semplice candidato. In un comunicato pubblicato dopo l’incontro dall’ufficio stampa del miliardario americano, il Presidente egiziano era stato citato come “esempio di quello che dovrebbe essere una lleato esemplare” nel quadro della lotta contro “il terrorismo islamista radicale”. Donald Trump aveva anche assicurato che se fosse stato eletto Presidente, “gli Stati Uniti d’America [sarebbero stati] un amico fedele ma anche un alleato, sul quale l’Egitto avrebbe potuto contare, nei giorni ed anni a venire”. Gli aveva anche pormesso di recarsi in Egitto in visita ufficiale e di invitarlo a sua volta a Washington. Di che aprire nuove grandiose prospettive per il potere dell’ex Maresciallo.

Rimane ora da vedere se al-Sissi avrà la forza di portare avanti questo pericoloso gioco tattico e se i suoi nuovi “alleati” saranno fedeli fino in fondo.

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