Obama, gli otto anni alla Casa Bianca

Un inquilino che va, un inquilino che viene. L’affermazione elettorale del ciclone anti-establishment Trump scrive la parola fine – con un retrogusto indubbiamente amaro – al doppio consecutivo mandato di Barack Obama, primo Presidente nero della storia degli Stati Uniti d’America. Hillary Clinton, la candidata “dem” vista come naturale continuatrice del lavoro di Mr. “Yes, We Can”, dovrà rinviare ad altra data l’opportunità d’ingresso, da prima quota rosa in assoluto, alla Casa Bianca.

Grande è l’attesa di nuovi scenari all’indomani del successo, più che repubblicano, strettamente personale del tycoon del Queens. Potrebbero profilarsi orizzonti preoccupanti, secondo avversari politici e osservatori internazionali, ma è, d’altronde, innegabile che, qualora si materializzino, essi discendano dalla volontà della maggioranza degli americani, come lapidaria replica al cosiddetto “sistema” tradizionale della gestione del potere, composto di partiti politici, banche e lobby varie, parti responsabili di una crisi economica e sociale che ha allargato sensibilmente la forchetta delle disuguaglianze all’interno del Paese. In tale quadro, è d’uopo una valutazione complessiva sull’operato dell’uscente Obama, in questi anni primo attore della politica mondiale, tanto per il significato progressista insito nella scelta stessa di un afroamericano alla presidenza, quanto per le aspettative di forte innovazione – maturate attorno alla sua figura – investite del placet dei leader di mezzo globo.

Premio Nobel per la Pace, conferito nel 2009 – all’inizio del primo mandato – più che altro alle intenzioni (e per tale ragione, accettato con riluttanza), motivato dall’impegno nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli, Obama si è adoperato con vigore per dare voce ai diritti della comunità omosessuale, riconoscendone la validità del matrimonio; ha voluto rendere pubblico il rapporto sulle torture effettuate dall’esercito statunitense sui prigionieri accusati di terrorismo a Guantanamo, inimicandosi i circoli militari; grazie alla mediazione di Papa Francesco, ha riaperto le relazioni con Cuba, interrotte da oltre mezzo secolo, rimuovendo l’embargo commerciale ai suoi danni e inaugurando la ripresa delle attività dell’ambasciata americana all’Avana; ha, seppur con incoerenze che hanno prestato il fianco a numerose critiche, realizzato una riforma sanitaria, giornalisticamente ribattezzata ”Obamacare”, che prevede assistenza e cure mediche obbligatorie per tutti, inclusi i cittadini più indigenti e marginalizzati; ha, alla fine, cercato di mantenere la promessa di non inviare altri soldati all’estero, pur trovandosi imbrigliato nella polveriera mediorientale, fra i turpi atti di macelleria di Al Baghdadi & Company, peraltro armati in parte – pare – anche da mano statunitense, e la sottrazione di prestigio internazionale e posizioni strategiche da parte della Russia di Putin, alla cui alleanza – nella guerra all’Isis – Washington ha dovuto ricorrere, rinunciando alla visione di un mondo unipolare a esclusiva trazione stelle e strisce.

Quest’ultimo punto deve essergli costato parecchio in termini di consenso interno, a vantaggio dei Repubblicani, storicamente appoggiati dall’apparato militare e industriale, pregiudicando – probabilmente – anche il cammino della principale aspirante alla successione alla Casa Bianca, Hillary Clinton. Tuttavia, sul piano internazionale, gli si riconosce di aver chiuso positivamente i negoziati sul nucleare con Teheran, in stagnazione da oltre un decennio, proponendo al mondo un Iran sciita – in precedenza definito Stato-canaglia – quale rinnovato interlocutore e possibile contrappeso al doppiogiochismo degli “amici” sauditi, da un lato sostenitori della lotta all’Isis e, al tempo, pericolosi esportatori del salafismo e del radicalismo islamico.

Per quanto concerne il fronte dei diritti della gente di colore, Obama avrebbe parzialmente deluso i suoi elettori. Gli scontri e le tensioni razziali che hanno caratterizzato, in epoca recente, le interazioni fra neri e forze di polizia, sono stati sempre fermamente condannati dallo Studio Ovale, senza però interventi decisivi o di natura sostanziale.

Luci e ombre, dunque, negli otto anni di permanenza alla presidenza, difficili da giudicare nell’immediato: la reale portata dell’azione di governo esercitata da Obama sarà, come sempre, misurata solo dalla storia. Nel bene e nel male.

©Futuro Europa®

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