Russia e Medio Oriente

Non si possono negare a Putin fermezza di volontà e capacità di andare avanti senza scrupoli. Le operazioni militari condotte in Siria contro i nemici di Assad ne sono una prova evidente. E recentemente la Russia ha mostrato di flettere i muscoli, esibendo i suoi formidabili mezzi militari convenzionali. È stato inoltre ripetuto che i bombardamenti ad Aleppo, malgrado le tragedie umane che provocano, specie per i piú piccoli, chiusi ormai in una trappola mortale,  continueranno finché resteranno in città jihadisti e guerriglieri dell’ISIS (pare siano piú di un migliaio) e gli Stati Uniti sono stati messi in guardia da attacchi aerei contro l’esercito regolare siriano. In cambio, direi che Mosca sta lasciando mano relativamente libera agli occidentali in un altro fuoco di presenza islamista, la Libia.

È dunque chiaro: in quella parte del mondo Putin sta giocando una partita pesante e fondamentale: mostrare con tutti mezzi che è in grado di sostenere l’amico e alleato Assad contro tutto e tutti e affermarvisi come la potenza determinante, sia nei confronti della Turchia che dell’insieme della NATO. Tutto questo è reso più agevole dalla debolezza di un Presidente americano a fine mandato e comunque estremamente riluttante a impegnare forze USA sul terreno. Questa prudenza di Obama forse a breve termine è un bene, perché evita scoppi di crisi incontrollabili e violente, ma sul medio e lungo termine pone ovviamente problemi gravi.

C’è un aspetto dell’azione russa che naturalmente coincide col nostro interesse immediato: la distruzione dell’ISIS nel Medio Oriente, alla quale la Russia si è dedicata, assieme agli amici iraniani di Assad, con maggiore sistematicità ed efficacia di ogni altro attore in questa vicenda. Ma la situazione così creata è in grande misura irreversibile. La Russia è in Siria per restarci, le sue basi navali mediterranee sulla costa siriana resteranno e l’equilibrio strategico nel nostro mare, un tempo in mano alla NATO, non sarà più lo stesso. Insomma, può darsi che, una volta debellato l’islamismo estremista dell’ISIS (speriamolo) ci ritroviamo al suo posto l’orso russo: non piú sovietico, non piú comunista, ma pur sempre pericoloso se riprende le antiche vie del nazionalismo espansivo.

Che fare? Obama può fare ormai pochissimo, o nulla, e l’impasse durerà almeno fino all’insediamento del nuovo Presidente, il 20 gennaio prossimo. Cosa farebbe Trump se fosse eletto? Ha detto tante cose contraddittorie che è impossibile prevederlo. Da una parte vuol “rifare grande l’America”, dall’altra parla bene di Putin. Se il suo programma è una sorta di “disengagement” da certe zone del mondo, di limitazione degli impegni diretti degli USA,  per concentrarsi sulla “Fortezza America”, cercherà forse un accordo di condominio con Putin? A spese di chi? E cosa farebbe Hillary Clinton? Non vedo risposte univoche, salvo quella, catastrofica, di una guerra per scacciare i russi da Mediterraneo e Medio Oriente, che non credo possa volere una Presidentessa democratica erede e a suo tempo interprete della politica estera di Obama.

Probabilmente la sola soluzione è imparare a convivere con una situazione complessa, in cui varie forze si spartiscono il controllo di un’area ipersensibile. Una situazione volatile, che richiede da tutte le parti una formidabile capacità di autocontrollo perché la miscela tutto ad un tratto non esploda.

©Futuro Europa®

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