Fuocoammare (Film, 2016)

Fuocoammare di Gianfranco Rosi è stato scelto per rappresentare l’Italia alla Notte degli Oscar, dopo aver vinto l’Orso d’Oro al Festival di Berlino, scelta non molto condivisibile, anche se il tema trattato potrebbe far prestare attenzione al documentario. Inoltre i concorrenti alla nomination non erano il massimo, soprattutto Pericle il nero (ci siamo risparmiati un Mordini candidato Oscar, il regista del terribile Acciaio), Indivisibili, Gli ultimi saranno ultimi e il sopravvalutato Perfetti sconosciuti. Restavano Suburra e Lo chiamavano Jeeg Robot, forse i più adatti perché vero cinema d’azione, ma ritenuti troppo americani per partecipare a una kermesse dove l’Italia doveva presentare un prodotto europeo.

Fuocoammare mette il dito sulla piaga, racconta il dramma dei migranti e le loro esistenze sofferenti, inoltre cerca di narrare il quotidiani dei pescatori di Lampuda, ma lo fa con una freddezza e una tale mancanza di patos da sconcertare anche lo spettatore meglio disposto. Gianfranco Rosi è ottimo documentarista, grande direttore della fotografia – la cosa migliore del film – che ricordiamo in precedenti lavori, Sacro GRA (2013) su tutti, ma in questa occasione non centra l’obiettivo. Ottimo l’incipit, lento e compassato come genere vuole, con la macchina da presa che insiste sui colori della Sicilia e sulle scogliere affacciate sul Mediterraneo della fantastica Lampedusa.

Rosi dice le cose migliori quando indaga il quotidiano e tenta di imbastire una sorta di fiction sui giochi dei bambini dell’isola, riprendendo due piccoli che giocano con la fionda, tirano sassi a uccellini e intagliano fichi d’india. Non solo, racconta la vita dei pescatori, i viaggi per mare, il tempo segnato dagli umori delle onde, le povere mense imbandite con i frutti della pesca, i bambini che devono imparare a remare, i giorni di solitudine scanditi da una radio locale che passa dediche e musica popolare. Il dramma dei migranti è raccontato per immagini e grazie ai ricordi del medico Pietro Bartolo che deve assistere al dramma dei bambini che muoiono, praticando ispezioni cadaveriche (la sola parte drammatica del film è il suo ricordo umano). Rosi ritrae i momenti di preghiera dei migranti cristiani e musulmani, unendoli in un unico abbraccio, i momenti di gioia vitale durante improvvisate partite a calcio e i canti con cui raccontano la loro tragedia. Docufiction che come fotografia ricorda L’avventura di Antonioni, anche per stile di regia, tempi dilatati e ambientazione insulare. Il titolo è spiegato da una vecchia lampedusana: “In tempo di guerra pareva che ci fosse il fuoco a mare e io portavo da mangiare a tuo padre che doveva uscire con la barca”. Musica anonima di Stefano Grosso, a parte alcuni brani di canzoni siciliane che passa lo speaker della radio privata. Montaggio lento, eccessivamente macchinoso, con sequenze interminabili che spesso sembrano inutili: la nonna che mette in ordine la camera da letto, il pranzo a base di spaghetti, il racconto dei tempi in cui il padre viaggiava per mare, la visita oculistica del bambino.

In definitiva Rosi realizza un mix poco uniforme di due storie. La fiction è il racconto del quotidiano di una famiglia di pescatori dove vive un bambino con un occhio pigro che si diletta a costruire fionde dai rami di pino e prova ad apprendere il mestiere  del marinaio. Il documentario riprende il dramma dei migranti, i loro sbarchi, la vita grama e le avventure che sono costretti a passare per salvarsi da guerra e carestia, la sfida che compiono lanciandosi in un mare infido, spesso portatore di morte. Fuocoammare è un documento di denuncia che fotografa una determinata situazione, ma prende troppo alla lettera l’insegnamento del cinema realistico. Quel che manca è il cuore, la partecipazione del regista, l’afflato morale che unisce l’autore al dramma umano. Resta un prodotto freddo e persino piatto, privo di sussulti drammatici, che non si eleva mai da uno standard di ordinaria mediocrità. Il solo premio al quale può ambire è quello per la miglior fotografia, anche se gran parte del merito è dei paesaggi selvaggi e pietrosi di Lampedusa più che del regista. Deludente.

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Regia: Gianfranco Rosi. Soggetto: Carla Cattani. Sceneggiatura: Gianfranco Rosi. Fotografia: Gianfranco Rosi. Montaggio: Jacopo Quadri. Musiche: Stefano Grosso. Produttore: Gianfranco Rosi, Paolo Del Brocco, Donatella Palermo. Genere: Documentario. Durata: 106’. Produzione: Italia/Francia. Interpreti: Pietro Bartolo, Samuele Caruana, Maria Costa, Mattias Cucina, Giuseppe Fragapane, Francesco Mannino, Francesca Paterna, Samuele Pucillo, Maria Signorello.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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