Gentile (Unindustria): il coraggio di fare impresa

In occasione di FARETE 2016, abbiamo intervistato Enrica Gentile, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Unindustria Bologna, e quindi una delle creatrici dell’evento assieme alla Direttrice Generale di Unindustria Tiziana Ferrari. Imprenditrice classe ’76, Enrica Gentile è co-fondatrice e amministratore delegato di Areté e Alimenta, due società di consulenza e servizi per il mondo alimentare e agroindustriale. Laureata in agraria ed economia aziendale, PhD in economia, a 25 anni ha fondato Areté, oggi tra i leader nelle analisi economiche e nel forecast di prezzi sui mercati agroindustriali e del food, e l’anno dopo ha dato vita ad Alimenta, società specializzata in servizi per la food safety e la sustainability dei prodotti alimentari. In chiusura della manifestazione Enrica Gentile ha tenuto un discorso molto ‘forte’ e pregnante sul coraggio, da quello necessario a fare impresa al giorno d’oggi a molteplici altri ambiti in cui sono intervenuti anche gli illustri ospiti presenti nel panel.

La ‘qualità’ della classe imprenditrice italiana è stata spesso oggetto di critiche, che ho riscontrato anche in miei precedenti interviste ad illustri economisti, cosa ne pensa Lei che ha creato un’azienda ex-novo?

Io sono una imprenditrice di prima generazione come si dice in gergo,la nostra azienda è stata fondata da noi oramai 15 anni fa, e quando crei una impresa partendo da zero come in questo caso è sempre durissima. Da tre soci poi rimasti due di cui nessuno del territorio, quindi con pochi legami e pochissimi aiuti se vogliamo, e quando inizi una attività tutto è di aiuto. Il discorso che impostammo fu che l’unico modo di riuscire era di essere più bravi o di fare qualcosa che prima non c’era,se volevamo emergere. I primi anni di una azienda sono sempre durissimi perché si fa veramente di tutto. In un capitalismo spesso famigliare come quello italiano, a volte l’imprenditore non ha la forza od il coraggio di lasciare andare il suo ‘bambino’, il momento in cui la sua azienda per crescere deve lasciare entrare qualcuno o cedere il passo a qualcun altro.

Mi risulta che vi siete appoggiati alla UE per impiantare la vostra azienda, in che modo?

Non si tratta propriamente di finanziamenti, una delle nostre attività è di consulenza alle istituzioni comunitarie, si tratta di studi che la Comunità Europea bandisce all’esterno per valutare l’efficienza delle politiche comunitarie in alcuni settori. Noi abbiamo cominciato da lì, lavorando su un bando della Commissione, ed abbiamo vinto, con grande sorpresa e soddisfazione in quanto l’azienda era nata da appena 3 mesi e quindi non ce lo aspettavamo. Abbiamo avuto l’impressione che in Europa si potesse agire e competere tutti alla pari, è molto difficile perché i nostri concorrenti sono tutti in Europa, direi almeno una quindicina di aziende sparse in Europa e spesso più grandi di noi.

L’Europa è al centro di tensioni e polemiche, vista quasi come un danno, dalla Brexit alle elezioni in Meclemburgo, lei ha usufruito proprio della UE per sviluppare la sua attività. C’è tanto di buono in Europa che poi viene usato male a livello nazionale mi pare.

La nostra esperienza è senz’altro positiva, se non altro sicuramente dal punto di vista della concorrenza, la mia sensazione è stata che ce la giochiamo tutti alla pari, se siamo più bravi vinciamo altrimenti perdiamo. Per cui è un bel modo di competere, poi è innegabile che ci sono molti ambiti in cui l’Europa è debole e si ha la sensazione che molte normative che partono da Bruxelles sembra molto leggere, tipo la gestione migranti. Questa è chiaro che dovrebbe essere un problema comunitario e non solo italiano. Potrei aggiungere che l’Europa deve decidere cosa vuol fare da grande e fare un passo in avanti se vuole veramente avere l’importanza che merita. Quello che è successo in Gran Bretagna è sintomatico, stare nel mezzo non serve a niente, o si torna indietro o ci si  lancia in avanti con decisione.

La sua attività si esplicita nel settore agricolo, gli ultimi dati danno il manifatturiero in sensibile calo e l’agricoltura in netta salita.

Anche durante i momenti peggiori della crisi l’agro-alimentare si è comportata meglio. Poi anche dentro questo settore convivono differenze, alcune aziende che già prima della grande crisi avevano iniziato a guardare all’estero ed a innovarsi sono riuscite a crescere molto bene. Quelle che erano rimastre concentrate sul mercato italiano e non erano già particolarmente competitive hanno sicuramente sofferto.

Il  TTIP pare naufragato, quale è il suo parere su questo accordo? Fermo restando la difesa delle specificità e della qualità pensa che comunque si dovranno fare accordi in tal senso?

Anche qui la discussione è ampia e secondo me c’è stato un effetto propaganda, gli Stati Uniti sono un mercato enorme e quando si apre è chiaro che accede anche ad una competizione molto forte. Dall’altra parte dell’Atlantico ci troveremmo a competere con aziende e prodotti da cui eravamo in qualche maniera protetti, da questo punto di vista il mio giudizio sul TTIP non è così negativo.

Il discorso infrastrutture è sempre molto presente, Lei ha parlato di questo argomento in particolare su Bologna, mettendo il dito nella piaga.

La richiesta che avevamo fatto in quella occasione al Sindaco Merola era di dare una mano agli imprenditori per snellire e facilitare gli imprenditori , come velocizzare il traffico ed azioni del genere. Avere investitori stranieri che vengono ad investire qui è molto positivo, dovremmo poi fare in modo che siano contenti di questo.

Il peso sistemico della burocrazia è sempre presente, ultimo caso il PRA che da anni dovrebbe sparire e pare invece andrà ancora avanti per almeno altri 3 anni.

Sentire imprenditori che ci mettono anni per costruire un capannone o anche solo per sbloccare un passo carrabile fa arrabbiare, abbiamo istituzioni mediamente buone ed è per questo che continuiamo a chiedere di più.

Un altro punto dolente nelle analisi economiche si concentra sul nanismo dell’industria italiana.

Ci sono alcuni aspetti che sono da valutare, quando ci si va a confrontare con le aziende degli Stati Uniti o del Canada vediamo come possiamo essere anche poco competitivi, se abbiamo aziende piccole e con costi di produzione più alti. Dipende poi dai settori in cui ci si muove, dove è necessario avere bassi costi di produzione la dimensione aziendale fa la differenza, altresì ci sono settori  dove aziende piccole o medio-piccole trovano l’eccellenza e possono competere efficacemente in mercati internazionali ed in questi casi la dimensione non fa la differenza.

Credito da parte della banche?

Io parlo tanto con gli imprenditore e l’atteggiamento verso le banche continua ad essere abbastanza ostile, questo penso discenda dal fatto che in questi anni le banche quando vedevano una situazione di difficoltà, invece di darti una mano, per tutti i rischi ed i timori di questi di fronte a tanti fallimenti e aziende che non potevano onorare i loro debiti, tendevano a fare un passo indietro mettendo imprenditori già in difficoltà ancora più in difficoltà. Ad onore del vero, con un poco di autocritica, devo dire ch e a volte mancano anche progetti veri, non ho visto imprenditori andare in banca con un progetto serio e sentirsi dire di no. Per mia esperienza di fronte a idee buone e valide le banche ci sono.

Il Quantitative Easing di draghi ha aiutato rispetto al credito alle imprese erogato dalle banche?

Certamente sì, ma di tutte le risorse messe a disposizione agli imprenditori ne è arrivata solo una parte.

La scuola è un altro punto dolente, vari grandi imprenditori mi hanno detto di avere difficoltà o impossibilità a trovare le figure professionali, tipicamente ingegneri, necessari alla loro azienda. Si dovrebbero produrre le figure che servono non trova?

Spesso manca il dialogo con le Università e gli Istituti Tecnici, su Bologna possiamo sperare che con il nuovo Rettore si possa lavorare su questo aspetto. A volte anche le famiglie stesse spingono i figli verso percorsi particolari, poi è chiaro che se uno è portato verso una facoltà umanistica non deve per forza fare matematica per poi essere infelice tutta la vita.

Come vede il futuro, cosa metterebbe in atto.

Il futuro lo vedo bene, poi per fare l’imprenditore devi essere ottimista, ma lo vedo positivo anche per altri motivi. Guardando fuori ci si accorge che la crisi c’è in Italia, ma non fuori dal nostro paese. Neanche in Europa, poi anche qui ci sono settori e aree che sono cresciuti in questi anni, dobbiamo fare in maniera di raccogliere le opportunità che ci sono intercettando le nicchie che crescono ed essere più bravi degli altri strappando quote di mercato. La nostra è una crisi italiana, non mondiale, questo deve essere chiaro.

L’anno scorso tenne un interessante discorso riguardo al ‘Capitalismo di persone’, ce lo vuole spiegare?

L’anno scorso avevamo affrontato il tema dell’imprenditoria illuminata, nel senso di riuscire come imprenditore a fare qualcosa in più oltre i semplici risultati economici. Lavorare su un capitale umano particolarmente coinvolto e riuscire a fare stare bene le persone in azienda.  Un imprenditore che ha avuto successo credo abbia anche il dovere di restituire qualcosa alla società.

©Futuro Europa®

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