UE, Direttiva Bolkestein contro i rinnovi automatici

Violazione del diritto dell’UE. È il macigno scaricato dalla UE sul nostro Paese, che non per niente è caratterizzato da una selva di privilegi e monopoli, di diritto o di fatto. La questione è nata da una diatriba sulle concessioni balneari, siamo stati abituati da sempre a vedere gli stessi bagnini sulle nostre spiagge, canoni demaniali irrisori a fronte di pingui ricavi. La Corte di Giustizia Europea con sentenza dello scorso 14 luglio è intervenuta, non sulla questione del demanio italiano che non rende, ma sul rinnovo automatico delle concessioni e quindi sulla mancanza di concorrenza.

Conosciuta come Direttiva Bolkestein (da Frits Bolkestein, commissario europeo per il mercato interno della Commissione Prodi), si tratta più precisamente della normativa dell’Unione Europea 2006/123/CE. Presentata dalla Commissione europea nel febbraio del 2004 ed emanata nel 2006, è stata recepita dalla legislazione italiana con l’approvazione del decreto legislativo numero 59 del 26 marzo 2010 pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 23 aprile 2010. La norma è incentrata sui servizi all’interno dell’Unione Europea, in questo caso per l’appunto si parla della concessione delle spiagge italiane.

La legislazione italiana prevede che le concessione per lo sfruttamento turistico di beni demaniali marittimi e lacustri vengano automaticamente rinnovate fino al 2020. Alcuni privati in Sardegna e sul lago di Garda, cui questa possibilità di rinnovo quadriennale è stata negata, si sono rivolti al TAR che ha investito della questione la Corte di Giustizia UE. Nella sentenza la Corte ha stabilito che è potere del giudice nazionale stabilire se la direttiva Bolkestein è applicabile o meno; in caso affermativo si deve fare riferimento all’art. 12 il cui dettato norma il caso di scarsità di risorse naturali e quindi della necessità conseguente di limitare il numero di autorizzazioni disponibili. In questa tipologia la concessione deve comunque essere pubblica, trasparente, pubblicizzata e non prevedere assolutamente il rinnovo automatico della stessa. Su questo punto il contrasto tra la norma europea e la legislazione italiana è più che evidente.

Nel  caso invece che la Direttiva non sia applicabile, si è di fronte ad un interesse sovranazionale, ne consegue che anche in questo caso le concessioni non possono essere automaticamente rinnovate.  La Corte ha chiarito che si creerebbe una situazione di palese violazione della libera concorrenza e ciò contrasta con il principio di la parità di trattamento tra imprese nazionali e straniere.

Le associazioni di categoria sono in rivolta, in  Liguria il Presidente della Regione Toti e l’assessore al Demanio stanno cercando di tranquillizzare i sindaci, gli stabilimenti balneari hanno esposto l’Union Jack in segno di approvazione della Brexit. Viene paventato il pericolo che le nostre spiagge, o meglio gli stabilimenti ivi presenti, finiscano in mano alle grandi multinazionali estere. Resta il fatto che i dati riportano un canone pagato allo Stato oscillante tra i 6.000 ed i 9.000 euro annuali a fronte di incassi per i gestori tra i 150.000 ed i 300.000. Numeri che come sempre in Italia sono soggetti a contestazioni ed interpretazioni, ma i dati ufficiali del 2005 riportano che, complessivamente, gli stabilimenti in concessione (per zone demaniali marittime e lacustri) a fronte di un pagamento del canone annuo pari a 40.128.521 euro, hanno vantato un fatturato annuo di ben 1.967.539.602 euro (Dati aggiornati al 2005. Fonte: elaborazione Patrimonio dello Stato S.p.A. su dati S.I.B. e FIPE srl).

Le modifiche di legge seguenti non hanno portato particolari differenze se è vero che ancora nel 2014 lo Stato ha incassato dai canoni del demanio marittimo una cifra in calo rispetto ai 102,6 milioni del 2012 e ai 102,1 milioni del 2013, contro un giro d’affari stimato prudenzialmente in 2 miliardi di euro annui. Inoltre, per il secondo anno consecutivo, il governo ha inserito nel decreto sull’Irpef, quello degli 80 euro in busta paga, una norma che consente ai 32 mila imprenditori del settore di versare l’affitto a fine stagione (15 settembre), anziché all’inizio.

©Futuro Europa®

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