Il condominio dei cuori infranti (Film, 2016)

La sola cosa sbagliata del film è il titolo italiano, ché uno va al cinema e si attende un feuilleton, al limite una commedia strappalacrime, una storia d’amore a episodi. Niente di tutto questo. Il condominio dei cuori infranti di Samuel Benchetrit – titolo originale Asphalte – è dramma grottesco dei sentimenti, narrazione partecipe della solitudine umana, a tratti commedia surreale che tenta di scavare nel senso più profondo dell’esistenza.

Tutto deriva da Cronache dell’asfalto, autobiografia del regista in cinque volumi, adattata per il grande schermo grazie allo schema della narrazione a episodi concatenati. Unità di tempo e di luogo un condominio con l’ascensore rotto dove alcuni personaggi marginali vivono un presente difficile nel ricordo di quel che è stato e non potrà più essere. Un malato di cuore che ha perduto la madre (Kervern) finisce in sedia a rotelle dopo un infarto e s’innamora per solitudine di un’infermiera depressa (Tedeschi). Un’attrice in crisi (Huppert), un tempo famosa nel cinema intellettuale, ma ormai dimenticata da tutti, consolata da un ragazzino (Benchetrit, figlio del regista) che la convince a fare un provino per la parte di Agrippina in Nerone. Un assurdo astronauta (Pitt) precipita sul tetto del palazzo e viene accudito da una signora algerina (Mandi) come se fosse suo figlio, visto che il suo ragazzo è finito in galera. Tre storie sulle quali aleggia un grido sinistro nella sera, un cigolio del quale ognuno fornisce la sua interpretazione: grido di bambino, tigre scappata dal circo, fantasma… soltanto alla fine scopriremo una molto ordinaria verità.

Il condominio dei cuori infranti è un film sceneggiato benissimo, girato con stile freddo e personale, inquadrature fisse, fotografia livida e spettrale, riuscita ambientazione in un condominio degradato della periferia. Parte della critica ha parlato in maniera superficiale di commedia. Non c’è niente di più drammatico di questo film nel quale a ogni fotogramma aleggia un senso di solitudine, di fallimento, di vita sbagliata e di rimpianto per troppe occasioni perdute.

Tre storie e sei personaggi giocoforza solitari, in preda alle loro angosce, ben interpretati da un cast in gran forma, diretto da uno straordinario regista che guida attori e muove la macchina da presa con sicurezza e decisione. Un pezzetto di cinema italiano nel cast: Valeria Bruni Tedeschi, ormai naturalizzata francese, che si doppia da sola ed è molto convincente nella caratterizzazione di un’infermiera solitaria che ben le si addice.

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Regia: Samuel Benchetrit. Produzione:Julien Madon. Fotografia: Pierre Aim. Montaggio: Thomas Fernandez. Scenografia: Jean Moulin. Costumi: Mimi Lempicka. Interpreti: Insabelle Huppert (Jeanne Meyer), Gustav Kervern (Sterkowitz), Valeria Bruni Tedeschi (l’infermiera), Tassadit Mandi (signora Hamida), Jules Benchetrit (Charly), Michael Pitt (John McKenzie), Mickael Graehling (Dedé), Larouci Didi (Mouloud). Durata: 100’. Genere: Grottesco, surreale. Titolo originale: Asphalte.

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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