Berlusconi spiato dagli USA, ordinaria amministrazione?

WikiLeaks torna a deliziarci il palato con nuove indiscrezioni sulle attività di monitoraggio statunitensi. Nel mirino, Silvio Berlusconi, oggetto d’intercettazioni da parte della National Security Agency durante il periodo della sua ultima premiership, tra il 2008 e il 2011. A riportare sulla carta stampata il file proveniente dall’organizzazione di Julian Assange, ci hanno pensato le testate giornalistiche Repubblica e L’Espresso. E veniamo ai fatti. Nel succitato quadriennio, la NSA, mediante un’unità speciale denominata Special Collection Service, sotto copertura diplomatica all’interno di ambasciate e consolati americani nel mondo, avrebbe attuato una vera e propria “campagna spionistica” fondata su intercettazioni di cellulari e telefoni fissi all’indirizzo dell’allora Presidente del Consiglio italiano Berlusconi e di alcuni suoi stretti collaboratori, come Bruno Archi, consigliere per la sicurezza nazionale, Valentino Valentini, consigliere personale per le relazioni internazionali, e Stefano Stefanini, rappresentante italiano presso la NATO.

L’incrocio di conversazioni su temi d’importanza strategica intrattenute anche con leader stranieri, come l’israeliano Netanyahu, ha consentito agli analisti americani di elaborare un profilo dettagliato sulla condotta in politica estera che l’Italia, all’epoca, aveva in animo di seguire. Degno di nota, il report sull’incontro del 22 ottobre del 2011 tra Berlusconi, Sarkozy e Merkel, nel corso del quale il Presidente francese richiedeva al Primo Ministro italiano interventi urgenti sul fronte delle nostre istituzioni finanziarie, giudicate instabili e a rischio di “saltare come un tappo di champagne”. L’episodio non è da trascurare, poiché nella successiva conferenza stampa, al pronunciamento del nome dell’assente premier italiano, tra Nicolas e Angela vi fu il famoso incrocio di sguardi accompagnato da sorrisetti di divertita complicità; un tenero quadretto familiare, che tutti noi ben ricordiamo. La pressione esercitata dall’asse franco-tedesco, configurabile come un’antipatica ingerenza negli affari interni di una democrazia sovrana (per lo meno sulla carta), è poi divenuta il preludio alla defenestrazione del Cavaliere di Arcore, schiacciato – nell’arco di tre settimane – da un nuovo mostro sconosciuto, fino a quel momento, a tutti gli italiani: lo Spread. Diabolico differenziale tra i nostri scalcagnati Btp e il Bund tedesco – benchmark di riferimento UE, con cui tutti i Paesi membri fanno i conti per misurare lo stato di salute dei propri titoli obbligazionari – il famigerato spread, impennatosi nel 2011 alla stregua di un gigantesco e infuriato Polifemo, inoculò nei nostri pensieri l’incubo dell’irreversibile default italico e scalzò dalla cadrega l’inviso Berlusconi. Laddove non erano – per anni – riuscite le opposizioni e una certa parte di magistratura, poté lo spread, srotolando il tappetino rosso e spalancando le porte di Palazzo Chigi alla rigida austerità del governo tecnico di Mario Monti.

Come convincersi, dunque, che in un clima di tale fibrillazione politica, non fossero infiltrati anche gli amorevoli “sensi” dello Zio Sam? Che razza di gendarme del mondo sarebbe se non utilizzasse occhi e orecchi per svolgere il ruolo riconosciutogli da tutto l’Occidente, soprattutto dopo gli attentati alle Torri Gemelle? Non possiamo fingere d’ignorare che, nell’intelligence, tutti spiino tutti e che gli Stati Uniti, con interessi in ogni angolo del globo e ingente disponibilità di tecnologie e denari, occupino – nel settore – il gradino più alto del podio. Le scottanti rivelazioni dell’ex agente NSA, Edward Snowden, condensate nello scandalo ribattezzato dai media come “Datagate”, hanno messo a parte l’opinione pubblica delle intercettazioni americane effettuate, nel medesimo periodo in esame, nei confronti della Cancelliera tedesca e dello stesso Sarkozy, definito “imperatore nudo”; siamo stati informati dell’esistenza di programmi clandestini di sorveglianza elettronica come PRISM, in grado di consentire l’accesso in tempo reale a posta elettronica, ricerche in rete e traffico Internet generati dal bersaglio scelto.

La reiterata attività di controllo su Berlusconi ha restituito il profilo di un personaggio inaffidabile, contraddistinto da inefficacia politica, assoluta dedizione ai party “eleganti” e pessime frequentazioni internazionali a est, che lo trasformano – agli occhi di Washington – nell’intollerabile portavoce di Putin in Europa.

Mentre l’Onorevole Niccolò Ghedini, storico avvocato del Cavaliere, si riserva di valutare assieme al suo assistito eventuali azioni legali, la procura di Roma decide di aprire un fascicolo sulla questione dello spionaggio, senza enucleare ipotesi di reato o nomi di eventuali indagati. Si mettono dunque in moto apparati istituzionali e procedure di rito, come si conviene in simili circostanze. La Farnesina convoca d’urgenza l’ambasciatore americano John Phillips, per i debiti chiarimenti sulla vicenda. Phillips assicura di aver portato il caso all’attenzione della Casa Bianca, ma già puntella le italiche rimostranze, rammentando le nuove regole adottate in materia dall’amministrazione Obama nel 2014, come a dire che, nel frattempo, le cose sono già cambiate in favore della riservatezza sulle comunicazioni legate a figure istituzionali di Paesi alleati. Il vice portavoce del dipartimento di Stato, Mark Toner, precisa che le attività statunitensi di “sorveglianza” su capi di Stato e di governo alleati sono effettuate solo in caso di “stringenti ragioni di sicurezza nazionale”. Forza Italia sospetta, invece, un collegamento tra l’attività di spionaggio ai danni di Berlusconi e il presunto “complotto”, che lo costrinse alle dimissioni da capo dell’esecutivo, e chiede alla maggioranza l’istituzione di una commissione d’inchiesta, sollecitando l’attuale premier Renzi ad assumere una posizione d’intransigenza con gli Stati Uniti. Il presidente dei deputati FI, Renato Brunetta, e il presidente dei senatori azzurri, Paolo Romani, hanno incontrato il sottosegretario con delega ai servizi, Marco Minniti, affinché rappresenti la vicenda al Copasir (Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica), evidenziandola come un pericoloso rischio per la sovranità nazionale. Parole di condanna giungono dal Presidente della Camera, Laura Boldrini, e dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi: “Pratica inaccettabile tra Paesi alleati, doverosi i chiarimenti da parte americana”.

Per dovere di cronaca, ricordiamo che, già all’epoca del Datagate, il governo presieduto da Enrico Letta aveva dichiarato l’assenza di violazione della privacy verso i cittadini italiani, escludendo, inoltre, intrusioni esterne nella sicurezza dei vertici istituzionali. Davanti alla notizia – naturalmente tutta da verificare – divulgata dal sito web statunitense Cryptome, precursore di WikiLeaks, secondo cui la NSA diretta dal generale Keith Alexander avrebbe in Italia, nel mese a cavallo tra il 10 dicembre 2012 e l’8 gennaio 2013, raccolto e tracciato 46 milioni di metadati telefonici (identificativo del chiamante, del chiamato e durata della conversazione), verrebbe da chiedersi se davvero la realtà corrisponda alla lettura a suo tempo fatta da Letta. Premesso ciò, sui chiarimenti – infine – richiesti alla Casa Bianca, abbiamo la netta sensazione che qualsiasi risposta sarà accolta come pienamente soddisfacente.

©Futuro Europa®

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