Spose bambine, un’infanzia rubata

Oggi, 700 milioni di donne nel mondo sono state date in sposa prima dei 18 anni. Ed è sempre la povertà che spinge le famiglie a far unire in matrimonio le loro figlie a volte anche già a 10 anni. Il Sudest asiatico e l’Africa sub sahariana sono le regioni dove questa pratica è maggiormente radicata, fenomeno che ha conseguenze sociali e sanitarie disastrose.

Una figlia sposata corrisponde ad una bocca in meno da sfamare e ad una dote che migliorerà, temporaneamente, la miseria del quotidiano. Questa pratica coinvolge molti Paesi, uno di questi è il Bangladesh dove il 29 % delle bambine è già sposata prima dei 15 anni. Quando una famiglia non ha, o non ha più, i mezzi per mandare la propria figlia a scuola, il matrimonio si impone come norma sociale, come emerge dal Rapporto redatto da Heather Barr per l’Ong Human Rights Watch. Ma in Bangladesh interviene anche un altro fattore, legato alla vulnerabilità del Paese davanti alle catastrofi naturali e all’ambiente. Spesso, il collegamento con il matrimonio è indiretto, come nel caso in cui un ciclone o uno smottamento di terreno impoverisca ancor più i focolai dei più fragili, ma a volte è diretto. Le famiglie perdono la loro terra e la loro casa per via dell’erosione degli argini, vedono giorno dopo giorno concretizzarsi il dramma, sanno che perderanno la loro casa e si sbrigano a sposare la propria figlia perché sanno che sarà più difficile trovarle un marito dopo una perdita così importante.

Gli usi e costumi hanno un ruolo importante in questa triste pratica. In tutti i Paesi si percepiscono le grande disparità che esistono tra le capitali e le regioni rurali, a volte molto isolate e dove le tradizioni sono saldamente ancorate alla vita quotidiana. E’ il caso del Mali dove a volte i bambini vengono fidanzati ancora prima che nascano. Tra genitori ci si accorda prima del  parto ed è ricorrente la frase: “se è un bimba la prenoto per mio figlio”. Ricordiamo che in quelle società viene data maggiore importanza ai maschi che alle femmine, e queste possono venir considerate come un peso dal quale bisogna liberarsi rapidamente.

In Bangladesh, questa discriminazione arriva ancora più lontano: alcune famiglie sposano le loro figlie semplicemente per evitare che vengano rapite o violentate. Spesso le bambine subiscono pesanti vessazioni lungo il tragitto che le porta da casa a scuola, a volte vengono anche minacciate e le famiglie ricattate: “se non mi fate sposare vostra figlia la rapirò”, sentenziano ragazzini poco più che bambini. La cosa più sconcertante è che le famiglie sembrano totalmente perse nel chiedere aiuto alle autorità (ad onor del vero molto poco presenti in molte di queste regioni isolate) e pensano veramente che la soluzione più “sicura” per proteggere le loro bambine sia farle sposare.

Ma un matrimonio non protegge le spose bambine dalla violenza, perché non sono pronte a recitare il ruolo di sposa e donna di casa, ma cosa più triste non può dire se vuole o meno avere rapporti sessuali. Il risultato è che vengono praticamente sempre forzate e abusate dal marito. Se rifiutano, si arriva alla violenza fisica. E se non compie con accuratezza i lavori domestici, può essere picchiata. Una volta diventata moglie la sua esposizione a qualsiasi tipo di violenza, che sia sessuale, fisica o psicologica, è un “potere” insindacabile nelle mani del neo marito. Le gravidanze arrivano subito, e anche qui le spose bambine non sono pronte. Una ragazzina che partorisce prima dei 15 anni rischia cinque volte in più di morire di una giovane di 20 anni. Le complicazioni legate alla gravidanza e al parto espongono queste giovanissime a rischi di infezioni gravi, emorragie, rotture uterine. La mortalità materna e infantile sono molto alte nelle giovani date in sposa troppo presto. Inoltre, a queste ultime non viene dato nessun tipo di istruzione impedendo loro di arrivare ad ottenere una qualsiasi piccola indipendenza economica, confinandole così definitivamente dentro casa.

In Mali, l’età legale per il matrimonio è 16 anni. Sarebbe opportuno portarla a 18 afferma il Dottor  Kadiatou Keita dell’Ong Iamaneh Mali. Ma quale che sia l’età legale o il Paese coinvolto, la principale preoccupazione sta nell’applicazione delle leggi. Troppo spesso i funzionari locali chiudono un occhio sui certificati di nascita falsi, venduti dai loro colleghi compiacenti. Sono molti di più quelli che accettano tangenti per non ostacolare questa triste pratica che quelli che, armati di buona volontà (e umanità), cercano di parlare alle famiglie e spiegar loro i rischi ai quali vanno in contro le loro figlie.  La legge non serve a niente se non si decide seriamente di mettere fine a queste pratiche. I Governi hanno la possibilità di farlo, ma questo costa molto in termini di sforzo nel controllo dell’applicazione dei testi ad ogni livello amministrativo del Paese, uno sforzo del quale ancora non si capisce il ritorno in termini di utilità, né tantomeno l’urgenza.

©Futuro Europa®

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