La UE in campo per ricerca, innovazione e sviluppo

Da sempre in Italia il governo in carica declama con forza che intende puntare su formazione, ricerca ed innovazione tecnologica, tutti fattori che in questo XXI secolo dominato dalla scienza sono sicuramente fondamentali nello svolgimento delle attività economiche e sociali. In questo ambito l’Europa ha messo a punto Horizon 2020 è il nuovo programma quadro dell’Unione europea per la ricerca e l’innovazione per il periodo 2014-2020, agisce sotto l’egida del portoghese Carlos Moedas quale Commissario europeo per la ricerca, la scienza e l’innovazione. Abbiamo già avuto modo di parlare di questo Fondo UE, basato su tre pilastri principali intende attrarre gli investimenti privati, creare nuove opportunità occupazionali e garantire la crescita e competitività a lungo termine per l’Europa.

Con una dotazione globale di 80 miliardi di euro, ala primo pilastro, quello che  è denominato Eccellenza Scientifica, sono destinati 17 miliardi con l’obiettivo di consolidare lo spazio europeo della ricerca per migliorarne la competitività su scala mondiale. Punta inoltre a rafforzare la ricerca mediante le attività del Consiglio Europeo della Ricerca (ERC), potenziamento della ricerca nel settore delle Tecnologie Future ed Emergenti (FET), rafforzare le competenze, della formazione e dello sviluppo della carriera, mediante le iniziative Marie Sklodowska-Curie (“Azioni Marie Curie”), rafforzare delle Infrastrutture di Ricerca europee.

Al vertice di Lisbona nel marzo 2000, i capi di Stato e di governo dell’UE concordarono l’ambizioso obbiettivo strategico per trasformare entro il 2010 l’economia UE in quella più competitiva del mondo. Gli ambizioni target che ci si era proposti tendevano al raggiungimento di un tasso medio di crescita economica del 3% circa, di portare il tasso di occupazione al 70% e quello dell’occupazione femminile al 60%, entro il 2010. Il 3% era anche la quota del PiL che si sarebbe dovuta destinare a ricerca ed innovazione, in realtà le cose sono andate in maniera decisamente diversa, anche per l’improvviso esplodere della crisi.

L’austerità necessaria a riportare in equilibrio i conti pubblici ha portato a scelte totalmente sbagliate, come già evidenziato tempo fa nell’articolo sulla Mezzogiornificazione dell’Europa riprendendo vecchi studi di Paul Krugman, invece di puntare sull’eccellenza si è inciso con pesanti tagli proprio su questo versante allargando il divario tecnologico e scientifico tra i paesi dell’Europa meridionale e quelli che del nord. Mentre gli investimenti medi nella UE salivano dal 2,2% al 2,4% (comunque lontani dal 3% ideale), l’Italia è scesa al 1,25% con un misero 0,1% nel campo sociosanitario e medico. In particolare l’Italia è terzultima nella percentuale della spesa in ricerca e sviluppo delle imprese (BERD) sul PIL davanti a Grecia e Spagna, penultima come numero di ricercatori su mille addetti nell’industria davanti alla Grecia.

Nell’ottica di ottimizzare la materia è stato ideato l’obiettivo di creare Lo Spazio Europeo della Ricerca, un mercato interno della scienza e della tecnologia che incentiva l’eccellenza scientifica, la competitività e l’innovazione attraverso la promozione di una cooperazione ed un coordinamento migliore tra gli operatori della ricerca. L’Europa produce un terzo delle conoscenze scientifiche sviluppate a livello mondiale ed occupa una posizione di primo piano in ambiti quali la ricerca medica e la chimica. Questo dovrebbe risolvere il cosiddetto “Paradosso Europeo”, l’Europa pur essendo prima nella produzione di pubblicazioni scientifiche rispetto agli USA e al Giappone, è all’ultimo posto per numero di brevetti depositati. La vera debolezza europea risiede, quindi, nell’insufficiente capacità di trasformare la conoscenza tecnologica e scientifica in effettive opportunità imprenditoriali.

In Italia, il MIUR guidato dall’allora ministro Maria Chiara Carrozza, istituì l’ambizioso SIR (Scientific independence of young researchers)  ispirandosi addirittura ai prestigiosi Starting Grants dell’European research council (Erc). Il SiR prevede il finanziamento di progetti di ricerca svolti da gruppi di ricerca indipendenti e di elevata qualità scientifica, sotto il coordinamento scientifico di un Principal Investigator (PI), italiano o straniero, residente in Italia o proveniente dall’estero, che abbia conseguito il dottorato di ricerca (o la specializzazione di area medica, in assenza di dottorato) da non più di sei anni. Purtroppo come spesso capita in questi casi, agli annunci trionfalistici sono seguiti risultati pessimi, una desolante serie di ritardi, errori, inadeguatezze, ha fatto sì che si siano verificati una serie di ritardi e polemiche feroci conditi da tweet e minacce di abbandono da parte dei richiedenti. Chiuso il 13 marzo 2014 con la presentazione di 5.250 progetti miranti ad ottenere i 47 milioni di euro stanziati, pare che la triste vicenda abbia trovato sbocco solo lo scorso 25 giugno con un decreto ministeriale che ha stabilito i progetti ammessi portando contestualmente la dotazione del contributo ministeriale a € 53.520.612.

©Futuro Europa®

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