Rassegna stampa estera

L’ultimo dramma dell’immigrazione nel Mediterraneo è stato l’argomento che ha posto più domande sulla stampa estera questa settimana. Al centro della tragedia ci siamo noi e la nostra lotta quotidiana nel gestire con i pochissimi mezzi che abbiamo un’operazione Triton senza senso. Ci sono voluti 800 morti per far si che l’Unione Europea cominciasse a porsi seriamente delle domande sul “cosa fare e farlo”, per riprendere le parole di Maurizio Crippa de Il Foglio. Non c’è stata solo amarezza sui media internazionali. Philippe Ridet ci ha resi ironicamente partecipi dei sui “dubbi” sulle dimissioni di Enrico Letta dal Parlamento e sulla straordinarietà della parola mantenuta dal “politico” Pisapia, e l’editorialista Fred Hiatt racconta la sua chiacchierata con Renzi avuta durante la  visita del Premier al Washington Post.

L’ultimo naufragio ha aperto aspre polemiche tra gli italiani. Marcelle Padovani su L’Obs, le analizza con la sua sempre grande sensibilità miscelata a un pizzico di sarcasmo tutto francese.  Il fatto che siamo in prima linea nei salvataggi in Mediterraneo non è una breaking news, afferma la giornalista. In effetti sono 20 anni che il nostro Paese affronta i flussi migratori e le catastrofi umanitarie. Il primo naufragio nel canale di Sicilia risale al Natale del’96. Ma è l’ultima, catastrofica, tragedia che “pone maggiori domande oggi all’italiano medio”, scrive la Padovani. Il problema nasce dai “maledetti accordi di Dublino, che fanno di tutto per bloccare la circolazione nel resto dell’Europa”, perché per molti profughi l’Italia è vista come un Paese di transito, mentre “in virtù di questi accordi il Paese nel quale il migrante approda deve essere anche quello nel quale risiederà. Inutile dire che questi diktat europei facciano drizzare i capelli anche agli italiani più indulgenti”. Da qui, spiega la giornalista, nascono 3 Italie che affrontano il problema “migranti”. C’è l’Italia xenofoba che invoca il blocco navale e si lamenta perché oltre ai “suoi poveri” deve sacrificarsi per nutrire gli immigrati, deplora i “quartieri abitati da soli stranieri” e temono che tra quelle donne e quegli uomini si nascondano dei “terroristi” che aggrediranno i cattolici. Questa, spiega la Padovani, è l’Italia di Matteo Salvini, “che ha visto arrivare le proiezioni dei voti a lui favorevoli al 15%”. Le prossime elezioni regionali “rendono questo tipo di propositi ancora più incendiari”. C’è poi l’Italia pragmatica, quella dei “buonisti”, “di coloro che sono convinti che il mondo è buono e che si riconoscono negli appelli alla solidarietà di Papa Francesco,molti dei quali provengono dai Partiti di sinistra. Applaudono i propositi iconoclastici di un Martin Schulz”, ossia riformare l’Operazione Triton che è stata solo “un grave errore”. Infine c’è l’Italia umanista, incarnata dal deputato Mario Marazziti, “uno dei fondatori della Comunità di Sant’Egidio, che ha presentato un piano semplice e razionale in tre punti, destinato a convincere l’Europa a prendersi in carico il problema dei migranti”. Ma, l’Italia di Marazziti  è un’Italia minoritaria ed elitaria, che parla di “migranti” e non di “clandestini”, puntualizza Marcelle Padovani, le prime due Italie si dividono l’(0% dell’opinione pubblica. La triste conclusione di questo articolo è che sempre più italiani percepiscono lo straniero come un pericolo, non riescono a convincersi che queste persone scappano dal terrore, non per motivi economici, ma per riflesso di sopravvivenza.

Cosa Fare? Dominique Dunglas sulla Tribune de Genève analizza i dieci punti presentati dai Governi europei anche se “la ricetta miracolosa deve ancora essere trovata”. I dieci punti vengono minuziosamente spiegati, ma anche la nostra stampa ne ha parlato, e continua a parlarne,  approfonditamente. Il giornalista riprende anche un altro punto importante. “Oltre a questo piano, Matteo Renzi, il Primo Ministro europeo in prima linea di fronte al dramma dei naufragi di immigrati, ha messo in risalto la priorità della stabilizzazione della Libia”. Non si tratta di mandare contingenti sul terreno, “la priorità è quella di appoggiare la mediazione del delegato delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, per la formazione a Tripoli di un Governo di Unità Nazionale. Solo dopo aver raggiunto questo obbiettivo  un contingente internazionale potrà assumere una missione di peace keeping.” Ma, come precisaDunglas, “il tempo preme e la diplomazia non avanza”. Hundreds of migrant deaths at sea: What is Europe going to do?  E’ quello che si chiedono anche Jethro Mullen e Ashley Fantz su CNN. “Il ribaltamento della nave partita dalla Libia ha segnato il peggior disastro avvenuto fino ad oggi (…) Mentre il naufragio è stato un incidente, Muscat si scaglia sui trafficanti di esseri umani che accusa mettere continuamente a rischio la vita delle persone caricandole su navi fatiscenti fatte navigare in acque imprevedibili”. Muscat, riprende la CNN, lo ha definito un “vero genocidio”. Riportano anche le parole di Gozi che lancia l’accusa più grande all’Europa: “l’assenza totale di una politica comune”. Accusa lanciata anche dalle maggiori ONG internazionali. Anche il giamaicano Gleaner ha raccontato questa tragedia del mare e rilanciato l’appello delle Nazioni Unite, per voce di Zeid Raad al-Hussein, capo dell’UNHR, all’UE: “adottare un nuovo e meno insensibile approccio all’ondata di migranti che attraversa il Mediterraneo (…) i recenti decessi sono il risultato di un continuo fallimento della governante accompagnato da un monumentale fallimento della compassione.” Troppa indecisione e temporeggiare da parte dell’UE, affermano ancora sul Gleaner.

Come scrivono su L’Express “i disordini in Libia e le crisi regionali in Medio Oriente e in Africa sono all’origine di un afflusso record di migranti pronti a morire in mare pur di fuggire all’inferno della guerra. Di fronte a questo dramma, l’Italia è poco aiutata dai suoi partner europei.” Si mette in causa la Convenzione di Dublino, e sembrerebbe che il Commissario europeo per la Migrazione abbia avanzato l’idea di una sua riforma. Speriamo che tutto questo fervore non finisca come troppe volte in una bolla di sapone fino a che altre morti verranno.

Di tutt’altro tono l’articolo sul Blog di Philippe Ridet sui “falsi addii” di Enrico Letta. Ad onor del vero, il giornalista fa un grande elogio del suo gesto: “Il caso è talmente raro che vale la pena segnalarlo, totalmente contro corrente in un Paese dove i senatori rimangono al loro posto per tutta la vita. L’ex Presidente del Consiglio Enrico Letta, 48 anni, ha annunciato Domenica sera alla televisione che si sarebbe dimesso dal suo mandato di deputato alla fine dell’estate per prendere in Settembre la direzione della Scuola di Affari Internazionali di Sciences Po Paris. E provocare lo stupore dei suoi concittadini affermando che avrebbe rinunciato in anticipo alla sua ‘pensione’ di onorevole alla quale avrebbe diritto dopo 12 anni di sevizio in Parlamento”. Ma c’è un ma… Ridet, dopo aver parlato anche della parola mantenuta da Pisapia che aveva “promesso” di non correre per un secondo mandato di Sindaco di Milano ed ha mantenuto la promessa “costringendoci a costatare che anche un uomo politico manteneva a volte la parola data”, precisa che “nessuno è naif a tal punto da credere ciecamente a queste manifestazioni di disinteresse (…) D’altronde Enrico Letta, che arriva da una famiglia di servitori dello Stato e di politici (suo zio, Gianni, è ancora uno dei consiglieri più fidati di Berlusconi), ha precisato con prudenza ‘che lasciava il Parlamento, non la politica’. Nel suo libro che uscirà in Italia il 23 Aprile, Andare insieme andare lontano (Mondandori), scrive questo: ‘Per dieci mesi, a capo del Governo, ho vissuto con la sensazione di un assedio continuo, attacchi che convergevano verso un solo obbiettivo: far cadere l’esecutivo. Prima Grillo, poi Berlusconi e infine Renzi”. Tutto questo vale bene una rivincita…

Nella sua breve intervista a Renzi sul Washington Post, l’editorialista Fred Hiatt ha evidenziato come il nostro Primo Ministro “stia cercando di scuotere lo sclerotico sistema politico, senza rinvii”. Hiatt scrive anche che le parole di Renzi sono state spunto di riflessione per ciò che accade anche negli Stati Uniti. “Ma i rapporti di forza non sono più semplici di quanto lo siano per chi qui sta cercando di adattare vecchi programmi ed istituzioni al 21° secolo, siano essi le poste, i sussidi ai coltivatori di cotone, o il mantenimento della Sicurezza Sociale, i gruppi di interesse americani che traggono beneficio dello status quo sono per definizione meglio organizzati su quel specifico tema di quanto non lo siano coloro che beneficerebbero di un cambiamento, ossia  la popolazione in generale. “ Hiatt riporta in conclusione le parole di Renzi che, ricorda, continua ad andare avanti nonostante le proteste di numerosi italiani, vedi la manifestazione di Dicembre contro il Jobs Act: “Posso perdere le prossime elezioni, ma non perderò la mia dignità”. Nel complesso Renzi negli USA ha lasciato una buona impressione, ma sarà riuscito ad imprimere qualcosa di costruttivo?

Marcelle Padovani, Xenophobe, pragmatique ou humaniste: les trois visages de l’Italie, L’Obs, 21 Aprile 2015; The Gleaner, UN Righrs Chief Wants New EU Line On Migration, 21 Aprile 2015; Jethro Mullen, Ashley Fantz,  Hundreds of migrant deaths at sea: What is Europe going to do?, CNN , 21 Aprile 2015; Dominique Dunglas, Comment mettre fin aux naufrages? L’Europe lance un plan en dix points, Tribune de Genève, 20 Aprile 2015; L’Express, Naufrage de migrants en Méditerranée: l’Italie aux avant-postes, 19 Aprile 2015; Philippe Ridet, Les faux adieux d’Enrico Letta, les vrais de Giuliano Pisapia, Le Monde, 20 Aprile 2015; Fred Hiatt, No kicking the can down the road in Italy, The Washington Post, 18 Aprile 2015.

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