Food, negli USA piace Bio

Usa, gli hamburger di Mc Donald’s se la devono vedere col peperoncino di Chipotle Mexican Grill. Il marchio-simbolo del fast food, in crisi,  ha da poco sostituito il ‘tradizionalista’ Ceo Don Thompson con l’eclettico Steve Easterbrook, che dovrà risolvere quello che per gli hamburger standardizzati è il problema dei problemi: sempre più americani pretendono cibo locale, prodotto in maniera sostenibile e possibilmente bio, come quello di Chipotle appunto, marchio in crescita come il peperoncino dal quale prende il nome. I giovani, i ‘Millennial’, nati tra il 1980 ed il 2000, preferiscono il bio: che da anni negli Usa continua ad aumentare produzione, vendite e fatturato. Il ‘junk-food’, il cibo spazzatura, è nel mirino delle nuove tendenze, ma anche delle autorità preoccupate dell’incidenza delle malattie che ne derivano sul costo della sanità federale. E dato che l’America condiziona – ancora –  il mercato, la rivoluzione bio degli Usa è da seguire.

Per un popolo come quello americano, che mangia più di altri fuori casa o mangia cibo prodotto altrove e consegnato a domicilio, fortuna e sfortuna di marchi e catene gastronomiche sono fondamentali indicatori di tendenza. Ed i casi opposti di Mc Donald’s e di Chipotle Mexican Grill sono solo i più noti e simbolici di un mercato in chiara evoluzione. Da cosa nasce il successo di Chipotle Mexican Grill e delle altre catene emergenti che puntano sul ‘bio’? Da una attenta analisi di marketing sulle debolezze dei concorrenti. Visto quel che offrivano i fast food tradizionali, Chipotle ha promesso di tener fede ad una dichiarazione, “Food with Integrity”, e si impegna ad impiegare ingredienti biologici e a chilometri zero, e carne di animali cresciuti in maniera naturale. Una rivoluzione per la concezione tradizionale di catena gastronomica, una rivoluzione a quanto pare molto gradita dagli Americani ma non a impatto-zero sulla filosofia e l’organizzazione delle grandi catene: e infatti Mc Donald’s, pur avendo investito su Chipotle nel 1998, preferì uscirne nel 2006.

La gente in Usa comincia ad evitare il junk food. La tendenza ‘bio’ dei consumatori americani ha ovviamente un riflesso sulla produzione agroalimentare: secondo il dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti – USDA, il settore dell’alimentazione biologica negli Usa è in continua crescita ed ha fatto registrare profitti per oltre 3,53 miliardi di dollari, lo 0,9% del totale del settore agricolo ed i terreni agricoli utilizzati per le colture bio sono  1.477.000 ettari, lo 0,4% rispetto agli oltre 371 milioni di ettari delle aziende agricole americane. E nella vendita bio al dettaglio sorgono fenomeni commerciali come Sprouts Farmer Markets, che con frutta e verdura bio a prezzo contenuto sta insidiando la storica Whole Foods, che offre prodotti bio di qualità ma a prezzi più elevati.

Ma come mai i consumatori Usa si stanno scoprendo ‘bio’? Merito della globalizzazione delle idee, certo, e quindi della ‘scoperta dell’America’ da parte delle nuove tendenze alimentari provenienti dall’Europa e dal mondo. Ma merito anche, siamo in America, del dollaro. I cittadini degli Usa spendono pochissimo per riempire frigo e dispense: solo il 5.5% del reddito, contro il 14,4 degli Italiani, ma anche  l’11,4 dei Tedeschi o il 13,6 dei Francesi. Un affare? Neanche per sogno: la spesa sanitaria per contrastare gli effetti delle malattie derivanti dalla cattiva alimentazione ha raggiunto l’incredibile 21%  del totale della spesa sanitaria degli Usa. La cosa ha convinto l’USDA e l’HHS Department of Health and Human Services, a pubblicare sin dal 1980 un ‘manuale della corretta alimentazione’: le Dietary Guidelines for Americans, per contrastare le condizioni alimentari che sono premessa per  ‘l’eccesso di peso, l’obesità e le altre malattie croniche correlate alla dieta’: condizioni ‘prevalenti in tutta la popolazione degli Usa’, ma che  ‘sono più pronunciate nella popolazione a basso reddito, creando critiche disparità di salute”. Secondo le Linee Guida, le abitudini alimentari ancora presenti in media negli Stati Uniti sono fra l’altro “troppo carenti di verdure, frutta, cereali integrali e latticini a basso contenuto di grassi, e troppo ricche di cereali raffinati, grassi saturi, zuccheri aggiunti, e di sodio”.

Ce n’è abbastanza per dire che anche gli Usa stanno convertendosi al bio? Probabilmente sì, se si considera come detto il ‘peso’, sulla formazione e sulla espressione di nuove tendenze e comportamenti, tanto delle autorità sanitarie quanto delle giovani generazioni. In gioco è una cultura alimentare nata negli Usa, poi diffusa in Europa, ma che facendo oggi impennare i consumi di carne e prodotti industriali anche nei popolosissimi Paesi emergenti sta incidendo più di prima non solo sulla salute di singoli popoli e Paesi, ma anche del clima e dell’ambiente a livello mondiale. E allora è importante che proprio negli Usa stia diffondendosi una cultura alimentare moderna, salutare e sostenibile.

©Futuro Europa®

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