Ancora bambini soldato: in Sud Sudan e non solo

L’espressione “bambini soldato” indica qualsiasi essere umano di meno di diciotto anni che fa parte di una forza o gruppo armato, regolare o irregolare che sia. Ma il termine non si applica unicamente a un bambino che imbraccia un fucile, include i cuochi, i portatori, i messaggeri, le bambine assoldate per fini sessuali.

Oggi più che mai, in un momento di conflitti sempre più violenti, intensi e frequenti, bambini sono sempre più inermi davanti al reclutamento da parte di gruppi armati. Lo scorso 12 Febbraio, in occasione della Giornata Internazionale contro l’uso di bambini soldato, Leila Zerrougui, Rappresentante speciale del Segretario generale per i bambini e i conflitti armati ha dichiarato che “se è vero che i Governi del Mondo hanno fatto progressi nel riconoscere che non c’è posto per i bambini nei loro eserciti, il reclutamento di bambini sodato rimane un problema enorme, in particolare in seno ai gruppi armati. Su 59 parti in causa coinvolte in conflitti identificati dal Segretario generale per aver violato gravemente i diritti dei bambini, 57 sono state poste sotto inchiesta perché reclutano ed utilizzano bambini soldato”. L’UNICEF e l’Ufficio del Rappresentante speciale chiedono che si intervenga con urgenza per mettere fine a queste violazioni gravi portate sui bambini, soprattutto il loro reclutamento e i loro utilizzo da parte di gruppi armati. Le parti in conflitto devono rispettare gli obblighi che derivano dal Diritto Internazionale. “La liberazione di tutti i bambini trattenuti dai gruppi armati deve avvenire senza ulteriori ritardi. Non possiamo aspettare la pace per aiutare i bambini intrappolati nella tormenta della guerra”, ha dichiarato la Direttrice generale aggiunta dell’UNICEF Yoka Brandt. “Investire nei mezzi per tenere lontani i bambini dalla linea del fronte, soprattutto attraverso l’istruzione e il sostegno all’economia, è cosa fondamentale per il loro futuro e per il futuro della società nella quale vivono” ha tenuto a precisare la Brandt. Decine di migliaia di bambini e bambine sono associati a gruppi armati parte di conflitti che dilaniano una ventina di Paesi attraverso il Mondo. Molti di loro sono stati testimoni di atti di una violenza indicibile o sono ancora costretti a parteciparvi.

In Afghanistan, malgrado i progressi realizzati per mettere fine al reclutamento e all’utilizzo di bambini nelle forze di sicurezza nazionali, continuano ad essere assoldati dalle parti in conflitto come la rete Haqqani e i talebani. Nei casi più estremi, bambini vengono utilizzati come kamikaze, costruire armi e trasportare esplosivi. Nella Repubblica Centrafricana, bambini e bambine, anche di appena 8 anni,vengono reclutate da tutti gli attori del conflitto affinché prendano parte direttamente alle violenze interetniche e religiose. Nella Repubblica Democratica del Congo, le Nazioni Unite hanno documentato nuovi casi di reclutamento di bambini da parte di numerosi gruppi armati che operano nella parte orientale del Paese. I maschi vengono coinvolti direttamente nei combattimenti, mentre le bambine vengono utilizzate come schiave sessuali o subiscono qualsiasi inimmaginabile forma di violenza sessuale. Un fenomeno simile lo ritroviamo in Uganda e in Mali, triste “new entry” nella classifica dell’UNICEF.  In Iraq e in Siria i successi ottenuti dal Califfato e il proliferare di gruppi armati hanno esposto in modo esponenziale i bambini al rischio di reclutamento. La televisione recentemente ha trasmesso le agghiaccianti immagini che documentano la determinazione jiadista ad indottrinare la nuova generazione. Chi ha dimenticato il bambino con i capelli a caschetto e i due prigionieri inermi inginocchiati davanti a lui? E i bambini kamikaze innocenti vittime di Boko Haram ?

Recentemente è cominciata, grazie alla mediazione dell’UNICEF, la liberazione progressiva di 3000 bambini in mano alla fazione Cobra dell’Esercito democratico del Sud Sudan (SSDA). Più di 500 bambini sono stati liberati nelle prime due settimane di Febbraio e hanno cominciato a ricevere aiuti per i loro reinserimento nella vita civile. Altre liberazioni erano attese ma un fatto nuovo ha fatto fare un enorme passo in dietro a quelli che sembravano essere progressi importanti. I combattenti sud-sudanesi continuano, malgrado le promesse, a reclutare bambini per utilizzarli come soldati nella guerra civile che insanguina il Sud Sudan dal Dicembre del 2013. L’UNICEF ha denunciato che almeno 89 adolescenti sono stati rapiti da un gruppo armato sabato 14 Febbraio a Wau Shilluk, cittadina dove vivono 100mila rifugiati, un numero altissimo per un rapimento di questo genere che mostra l’impunità totale che vige intorno a questa questione. Il rapimento ha suscitato anche la rabbia dell’Human Rights Watch che ha manifestato la sua profonda indignazione nei confronti delle autorità sudanesi che non prendono misure sufficientemente draconiane e definitive sulla questione. L’Organizzazione per la difesa dei Diritti Umani accusa in modo particolare una milizia pro-governativa che continua ad assoldare adolescenti di appena 13 anni, soprattutto nella città di Malakal, controllata da forze governative. Le accuse provengono da un’inchiesta portata avanti  nella capitale dellp Stato petrolifero dell’Alto Nilo (nord-est). “A Malakal le forze governative vanno a prendersi i bambini davanti al complesso delle Nazioni Unite, qualcuno va via spontaneamente, altri vengono prelevati con la forza”, ha dichiarato Daniel Bekele, Direttore per l’Africa del HMW. Molti bambini hanno raggiunto volontariamente i ranghi della milizia locale di Johnson Olony , un capo militare alleato del Presidente Salva Kiir. Il Ministro per l’Informazione ha smentito il Rapporto dell’HMW .”Perché reclutare bambini soldato quando i nostri effettivi sono sufficienti? Non abbiamo bambini soldato nei nostri ranghi”, avrebbe dichiarato ad un agenzia di stampa francese. Malakal, in rovina, è passata di mano in mano dall’inizio del conflitto e più di 21mila civili hanno trovato rifugio nella sede locale delle Nazioni Unite.

Secondo l’UNICEF, 12mila bambini, soprattutto maschi, sono stati reclutati lo scorso anno come soldati sia dall’esercito sud sudanese che dalle forze ribelli e tra le milizie alleate. Abbiamo visto che l’UNICEF ha recentemente negoziato la liberazione di 3000 bambini tra i ranghi della milizia della regione di Pibor (Stato di Jonglei, Est) comandata dal capo ribelle David Yau Yau. Quest’ultimo,che combatte i Governo di Juba dal 2010, ha raggiunto le forze che appoggiano l’ex vice-Presidente Riek Machar che ha preso le armi contro Salva Kiir. Numerosi bambini hanno combattuto nei ranghi della ribellione sudista della SPLA (Sudan People Liberation Army), durante il lungo conflitto (1983-2005) che l’ha vista opporsi alle forze di Kartum e ha portato all’indipendenza del Sud Sudan nel Luglio del 2011. Sotto la pressione internazionale, il Sud Sudan, con all’epoca a capo Kiir e Machar, ha fatto grandi sforzi per riportare i bambini fuori dalla vita di combattente e vietare il reclutamento di minori in seno alla SPLA, diventata poi l’esercito nazionale del Sud Sudan. Ma l’arruolamento dei bambini è ripreso appena è ripreso il conflitto, nel Dicembre del 2013, quando si è scatenata la guerra tra il Presidente Kiir eil suo ex braccio destro Machar per la guida del Paese.

La legislazione locale in materia di protezione dei bambini è ancora debole e soprattutto poco applicata. C’è innanzitutto il difficile rapporto con le Nazioni Unite che tentano di imporre norme sul Diritto dei bambini. Ma anche con le ONG che producono regolarmente rapporti-denuncia sul fenomeno. Sul terreno, qualcuna di queste organizzazioni  tenta di “recuperare” questi bambini e accompagnarli in un percorso di reinserimento nella società, ma i rapporti delle ONG sono ancora negativi nonostante qualche progresso avvenuto negli ultimi anni, soprattutto in campo giudiziario dove qualche ex capo militare è stato perseguito dalla giustizia internazionale. L’UNICEF porta avanti continuamente programmi di formazione e sostegno psicologico per aiutare gli ex bambini sodato, a ritrovare una vita “normale”. Ma la povertà endemica rende difficile la socializzazione sul lungo termine di questi bambini che tornano spesso ad un “lavoro” che conoscono fin troppo bene: la guerra.

©Futuro Europa®

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