Da Mattarella al Medio Oriente

La settimana trascorsa ha visto tanti importanti eventi, interni ed esterni, che è difficile concentrarsi su uno solo di essi. Vediamo di esaminarli brevemente uno ad uno.

Innananzitutto, sul piano interno, l’insediamento di Sergio Mattarella al Quirinale. Un bel giorno per la democrazia, in cui la solennità di un cerimoniale patrio che va mantenuto e il comportamento civile del Parlamento hanno dato il senso tangibile della rinnovata solidità delle nostre istituzioni. Ce n’era bisogno, dopo tante sguaiatezze. Il discorso del neo-Presidente non è stato trascinante ma, com’è nello stile dell’Uomo, dignitoso, alieno da voli retorici, e del tutto condivisibile. Il segno della sua futura azione mi pare stia nella formula programmatica: “Sarò arbitro imparziale”. Così deve essere, per la Costituzione, il Capo dello Stato. Significativo anche l’accento messo sui temi sociali. Su di essi il Presidente della Repubblica poco può fare direttamente, ma può essere di vigilanza e stimolo a Governo e Parlamento. È bene dunque che vi abbia posto l’attenzione, smentendo l’immagine di una classe politica chiusa in sé stessa e nei suoi giochi e sorda alla società e ai suoi problemi. Va detto che questa attenzione s’inserisce in una lunga tradizione cattolica, che comincia con la Rerum Novarum e ha trovato nella sinistra DC le sue espressioni più attive. Nell’insieme, Mattarella mi è parso (persino nel portamento esterno, corretto, con le spalle un po’ cadenti e lo sguardo benevolo) un democristiano quintessenziale, che  di quella formazione e tradizione rappresenta la parte migliore.

Sempre sul piano interno, FI ha dichiarato morto e sepolto il “Patto del Nazareno”. È tornata così,  a poco più di un anno dalla rottura delle Larghe Intese, alla politica dei dispetti, che alla fine nuoce soprattutto a lei.  Io credo di sapere, per varie indicazioni di prima mano, che la scelta del successore di Napolitano non fosse parte del patto. Credo però anche che, a un certo punto, Berlusconi si sia autoconvinto che così fosse, da qui il suo dispetto. Comprensibile sul piano umano, assai meno sul piano politico. Perché delle due cose l’una: o le riforme sono utili al Paese e andavano in una direzione non sgradita a FI, oppure no. Se no, perché rimanervi associati per vari mesi? Se sì, perché abbandonare ora il tavolo? Insomma, malgrado gli sforzi e i temporanei soprassalti di responsabilità (Governo Monti, Governo Letta, rielezione di Napolitano, Patto con Renzi) Berlusconi non ce la fa a resistere troppo a lungo nei panni dello statista. In questa occasione, oltre a far valere la sua delusione personale, ha dovuto ricompattare il suo partito sulla linea di un ritrovato anti-renzismo. È ovviamente suo diritto, ma a mio avviso ripete l’ennesima volta l’errore politico di autoescludersi dai giochi importanti e lasciare il campo libero alla odiata sinistra. Nella circostanza, è persino argomentabile che denunciando il Patto abbia reso un favore a Renzi. Questi conosceva bene il costo politico dell’intesa con Berlusconi e sapeva quanto accidentato fosse ancora il percorso delle riforme decise insieme. Dovendo tenere unite con lo sputo le esigenze di Berlusconi e quelle della sinistra del PD. Ora, avendone, come pare, i numeri, avrà via libera per completarle senza tener più conto dei veti e degli interessi di FI. Come capolavoro berlusconiano, non c’è che dire!

Ora che Premier e PD non devono più tener conto dei desideri di Arcore, ci sarebbero da sperare alcune correzioni ai cambi istituzionali che li rendano più razionali, almeno per quanta riguarda il ruolo e la composizione del Senato. E quanto alla legge elettorale, non è proprio pensabile che alla Camera sia corretta la norma sui capi-lista bloccati? Tutti sanno che era una norma richiesta da Berlusconi (che in realtà voleva l’intera lista bloccata) e che una buona parte del PD e l’intero NCD chiedono il ritorno alle preferenze. Se FI si chiama fuori, perché farle concessioni inutili?

Veniamo all’estero: Grecia, innanzitutto. Tsipras ha detto e ridetto di non volere l’uscita dall’euro o dall’Unione. Gli credo. Però poi subito ha lanciato salve di inutile demagogia, che possono piacere solo a Vendola. I proclami bellicosi quando si è indebitati fino al collo servono poco e portare  la folla in piazza Syntagma è liberatorio, agita le TV, ma dura poco e serve anche meno. La realtà finisce sempre con l’imporsi. Tsipras ha infatti avuto subito, dopo le generiche parole buone incassate a Roma e a Parigi, varie docce fredde: dalla Germania e da Mario Draghi. Dunque, o accetta un negoziato in buona fede rendendosi conto dei limiti della realtà e della pazienza altrui, o mira a rompere tutto e arrivare al default, sola via alternativa, anche se disastrosa. Verifichiamolo, con altrettanta buona fede, pazienza e spirito ragionevolmente aperto. Nel frattempo, una chiosa, per le anime belle che chiedono generosità verso la piccola ma tanto civile Ellade. L’Ellade in questione deve al mondo oltre 320 miliardi di euro, che si è spesa addosso, e di questi più di 40 all’Italia. Davvero siamo in grado di regalare soldi a fondo perduto?

In altra parte d’Europa, l’Ucraina. Su questo tema credo di aver detto e scritto anche troppo: il rigetto per il neo-imperialismo putiniano, il diritto dell’Ucraina a decidere il proprio destino e a difendere la propria integrità territoriale, ma anche l’esigenza che le Autorità di Kiev e i loro sostenitori in Occidente si comportino con senso della misura. Il rischio immediato è quello di ritornare alla Guerra Fredda, quello non impossibile di avere una vera guerra in Europa. Ho scritto e continuo a pensare che nessuno dei protagonisti, non escluso Putin, lo voglia realmente, ma si sa come vanno queste cose: le situazioni, innescati certi automatismi, possono sfuggire di mano.

Oggi, al centro delle speranze c’è l’iniziativa di Hollande e della Merkel, di cui capiremo presto le sorti. Può riuscire o no (non è facile) ma l’importante è che sia stata intrapresa e non va sabotata con mosse intempestive. La NATO fa semplicemente il suo dovere quando adotta misure a protezione dei suoi membri (se no, che ci sta a fare?) ma non è il momento di mandare armi all’Ucraina, perché tale mossa quasi legittimerebbe un’azione preventiva da parte russa. È dunque giusta la posizione contraria espressa dal Governo italiano (sulla linea, ne sono certo, delle posizioni francesi e tedesche). Se mai c’è stato un momento in cui fare orecchio da mercante al militante antirussismo di alcuni Paesi dell’Est, e anche dei falchi americani, è questo, e ovviamente la NATO è il luogo giusto per dibatterne e dire quello che si pensa.

Il Medio Oriente, infine. Bruciando il pilota giordano, l’IS ha disceso un gradino in più sulla scala dell’orrore senza nome. Un passo di troppo, però, a quanto si direbbe. L’evento ha sollevato per la prima volta un’ondata di sdegno in gran parte del mondo arabo e islamico, cui si sono associati anche molti esponenti religiosi che hanno motivato la loro condanna basandosi sulle regole “umanitarie” del Corano. Ma quel che è più importante è che la Giordania, ferita nella carne, ha reagito mettendo a morte due terroristi reclamati dalla jihad, bombardando i jihadisti e promettendo altre azioni anche più dure. Vendetta? Si, e al nostro palato occidentale può non piacere. Ma stiamo parlando di una filosofia e di un’etica diverse dalle nostre. Forse in quel mondo la legge del taglione è la sola compresa e rispettata, la sola che possa mettere un argine all’orrore. C’è solo da chiedersi; perché altre potenze regionali, come la Turchia, che pure condannano l’azione della jihad e avrebbero la forza per frenarla, ne lasciano la responsabilità e i rischi alla fiera, ma piccola Giordania?

©Futuro Europa®

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