Presidenti a vita, il caso Cina

Gli affamati e i disoccupati sono il materiale con il quale si edificano le dittature. E’ una frase di Sandro Pertini che spiega in maniera esaustiva una delle più probabili cause di una dittatura. Anche lo scrittore francese George Bernanos, autore di Diario di un curato di campagna, rilevò che la forza (ma anche la debolezza) dei dittatori è quella di aver fatto un patto con la disperazione della gente. In parole semplici, ma che spiegano anche l’origine del concetto, a fronte di situazioni estreme, gravi, il potere viene concentrato in una persona che prende in mano la situazione con l’impegno di risolvere il problema per cui viene a trovarsi in quella posizione. Non era del resto compito quello dei Tiranni nell’antica Grecia e dei dictator romani? Il termine, all’epoca, non aveva la connotazione negativa che ha oggi, derivante da vicende storiche in cui le dittature si sono fondate e identificate su violenza, soprusi e repressione. Il dictator si muoveva nelle linee del mandato conferitogli e, tra gli accorgimenti per evitare che la carica assumesse carattere di definitività, erano previsti stretti limiti temporali e l’incarico era assunto con senso di responsabilità e dello Stato. Chi non ricorda Cincinnato?

Oggi però sembra assistere a un fenomeno probabilmente inverso, ma con le stesse basi e presupposti, in cui un dittatore (o apparente tale) potrebbe giungere a fondare il proprio potere su fame e disoccupazione che sta facendo scomparire.

E’ stato recentemente abolito in Cina il limite costituzionale ai due mandati presidenziali a suo tempo voluto da Deng Xiao Ping e verosimilmente voluto per evitare il ripetersi di fenomeni di presenze a vita che, inevitabilmente, portavano al culto della personalità; culto inconciliabile e incompatibile con quello di una economia moderna e in evoluzione che, specialmente in Cina, stava rimuovendo una situazione ormai insostenibile.

Analisti e commentatori hanno avanzato le loro più disparate opinioni sulla possibilità oggi concessa a Xi Jinping di mantenere a vita una carica che, peraltro, ricordiamo, non può prescindere da quelle di Primo Segretario della Segreteria Centrale del Partito Comunista, nonché di Presidente delle commissioni militari centrali sempre del Partito Comunista, nonché della Repubblica Popolare Cinese. Una concentrazione di potere che difficilmente trova analogie se non in regimi realmente dittatoriali o nelle poche monarchie assolute che sopravvivono.

Quali possono essere le ragioni di una simile scelta che si pone in apparente contrasto con quelle che erano state le linee guida del partito negli ultimi trent’anni? Secondo il “Financial Times” si tratterebbe di un messaggio rivolto verso l’esterno, e in tal senso si pone l’altissimo numero di viaggi effettuati e di paesi visitati, in una prospettiva economica e commerciale che da sola giustificherebbe la conferma di chi ha portato la Cina agli attuali livelli di sviluppo. La Belt and Road, la nuova via della seta voluta proprio da Xi Jinping e che già lambisce il nostro paese, è una chiave di sviluppo economico dalle potenzialità illimitate. Ma anche all’interno della Cina la situazione sta cambiando in maniera costantemente positiva. Nuovi investimenti e la crescita di una imprenditoria medio piccola svincolata da vecchi schemi burocratici, costruzioni, infrastrutture, e progressi ottenuti, ben visibili non solo nei dati, paiono giustificare la scelta per il momento teorica, ma che potrebbe realizzarsi in concreto, di garantire una leadership anche se non a vita perlomeno a lungo termine, a chi è uno degli artifici principali dello sviluppo cinese.

In un recente viaggio di lavoro in Cina ho potuto toccare con mano questa nuova realtà. Troppo facile dichiarare che la Cina è un cantiere in costante evoluzione; ma è un dato di fatto. Di sicuro è difficile sostenere che si tratti di una nazione comunista nel senso tradizionale del termine; ma anche definirla socialista non sembra corretto. L’imprenditoria e il modo con cui, specialmente i giovani si affacciano a questa nuova realtà indica una ben più ampia apertura globale. Difficile avere opinioni e i cinesi non parlano volentieri dell’argomento; ma non sembrano lamentarsi.

Non possiamo che aspettare e valutare, una volta che abbia trovato attuazione, se la cosiddetta dottrina di Xi Jinping, che vorrebbe inserire anche nella Costituzione, porterà risultati ulteriori a quelli finora raggiunti.

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