Kerry e Lavrov pontieri per la pace in Siria, forse

Il Segretario di Stato americano John Kerry nei giorni scorsi si è recato a Mosca  per trovare “un terreno di intesa” con la Russia. Kerry ha spiegato, in perfetto “diplomatichese”,  che gli Stati Uniti e la Russia sono “capaci di lavorare insieme efficacemente su problemi specifici”.  Ha incontrato il suo omologo Serghei Lavrov e ha avuto un colloquio con Putin, riuscendo ad ottenere il via libera definitivo per un’importante conferenza a New York, conferenza che si è tenuta venerdì 18 Dicembre alle Nazioni Uniti e che ha visto l’approvazione all’unanimità di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. La risoluzione prevede il cessate il fuoco e la nascita di un Governo di transizione in Siria. Si va verso la pace? Sarebbe bello poterci credere fino in fondo.

Kerry era arrivato a Mosca in piena notte, dopo aver partecipato a Parigi a una riunione presenziata da una decina di Paesi arabi e occidentali, i cui capi della diplomazia erano ospiti del Ministro francese Laurent Fabius. Kerry si è intrattenuto con i suoi omologhi quatarino e giordano. La Giordania ha l’incarico di redigere la lista dei “gruppi terroristi” che dovrebbero essere esclusi dai negoziati, compito alquanto delicato tenuto conto delle molteplici sfaccettature che danno gli attori del dossier siriano alla natura di “terrorista” o meno dei diversi gruppi che combattono in Siria. Il Consiglio di Sicurezza ha adottato dunque, all’unanimità, una risoluzione che prevede per la Siria il cessate il fuoco e la formazione di un Governo di transizione. La pace finalmente, dopo una guerra civile che, in quattro anni, ha causato la morte di 250.000 persone, chi non potrebbe rallegrarsi di ciò? Ma i dubbi sulla sua realizzazione sono però molteplici.

Per prima cosa non si tratta di mettere fine alla guerra contro l’isis, ma unicamente la ricerca di una soluzione negoziata al conflitto tra il Governo di Bachar al-Assad e i tanti gruppi di opposizione che invece vogliono la sua caduta. Se non ci fossero interventi esterni, intenzioni recondite, secondi fini e interpretazioni variegate, forse la pace sarebbe possibile. Ma i 17 Paesi che si sono riuniti a New York hanno molti obbiettivi differenti. Intanto c’è la volontà delle potenze sunnite, soprattutto Arabia Saudita e Qatar, che vogliono creare uno Stato Islamico dopo l’uscita di scena di Assad, e questo in totale opposizione con l’Iran sciita che non accetterà mai la creazione di un potere sunnita. Ricordiamo che parallelamente alle discussioni che si tenevano alle Nazioni Unite, i Paesi del Gruppo di sostegno Internazionale alla Siria (ISSG) discutevano sullo stesso dossier per la terza volta dalla nascita, lo scorso Ottobre, di questa iniziativa diplomatica che integra per la prima volta l’Iran  dall’inizio del conflitto siriano. Oggi l’Iran è parte del gioco come gli altri.

Non possiamo sottovalutare poi l’opposizione di molte minoranze siriane che non voglio un potere islamico: alawiti, cristiani di diverse confessioni, i Curdi, gli Yazidi, i Drusi che, in molti casi appoggiano il Governo. E ci sono i conflitti tra i tanti movimenti di opposizione all’attuale Governo, tra i quali troviamo movimenti terroristici spesso appoggiati dall’Arabia Saudita, il Quatar, la Turchia,  vedi qualche Paese occidentale come la Francia il cui obbiettivo principale è stato per molto tempo l’allontanamento di Bachar al-Assad (Al Nosra, ramo di Al Qaeda per esempio faceva per Fabius “un buon lavoro”). Chi verrà ammesso ai negoziati per iniziare il cammino politico che porterà a una decisione sul futuro della Siria e chi verrà classificato come terrorista e affrontato? L’Arabia Saudita ha organizzato una Conferenza alla quale hanno partecipato molti movimenti di opposizione, ottenendo  la creazione di un comitato politico composto da 34 membri con l’obbiettivo di combattere, anche lei, “i terroristi”. Ma quali, visto che alcuni movimenti che vi fanno parte vengono già definiti terroristi dalla Russia e dall’Iran? Inoltre è probabile che l’opposizione esterna che rappresenta gran parte dell’”opposizione moderata” non vi prenderà parte. Non ci dimentichiamo dei Turchi, il cui ruolo è come minimo indefinito. I Turchi, per i quali il nemico principale sono i Curdi, che appoggiano anche i turkmeni del Nord della Siria, contrari al Governo di Assad e di cui si sospetta comprino petrolio dallo Stato Islamico. Ci sono i Curdi che vogliono un Kurdistan transfrontaliero autonomo.

In ogni caso il cessate il fuoco non coinvolgerà che la guerra civile e non la guerra contro l’Isis e i movimenti terroristi. Bisognerà definire le zone dove non si potrà più intervenire, quelle occupate dai terroristi dove invece si potrà combattere,  chi affiancherà i Curdi nei combattimenti, chi appoggerà invece l’esercito siriano, l’Iran e le milizie già ingaggiate, vedi gli oppositori del regime. Ma come scindere le due cose che oggi appaiono come ormai un unicum?  Un argomento non è stato affrontato, ed è l’allontanamento di Assad la cui sorte fa parte del processo di costituzione di un Governo di transizione. La Russia forse non farà una questione di principio sul suo allontanamento eventuale, ma dovrà per questo convincere l’Iran. La cosa più interessante di questo accordo è che riunisce americani e russi, che vorrebbero entrambi vedere finire questa guerra, i Russi perché si sentono direttamente coinvolti, gli americani perché sperano in un accordo di pace entro la fine del mandato di Obama. Per la prima volta si è percepita la voglia di uno sforzo comune per arrivare a qualcosa di concreto, un precedente che potrebbe forse coinvolgere altri dossier caldi come l’Ucraina, una volta riconosciuta la restituzione della Crimea alla Russia.

Il fatto che Obama non sia un guerrafondaio è noto. La sua prudenza lo ha convinto a continuare a bombardare le basi jihadiste  in Siria e Irak, e contemporaneamente a contare su di una troppo lenta ripresa dell’esercito iracheno e dei combattenti dell’opposizione moderata, armati e addestrati dalla coalizione anti-Isis . Ma il Presidente degli Stati Uniti ha anche ammesso che questa strategia è deludente. Prova ne è aver accettato che a Mosca John Kerry riconoscesse- contro il parere di molti dei suoi alleati – che per vincere l’Isis, bisognasse appoggiarsi anche all’esercito regolare siriano. Ancora una volta risuta difficile separare le due guerre…  Quello di Bachar al-Assad, un dittatore con il quale bisogna ancora fare i conti e la cui sorte sembra essere ormai relegata alle calende  greche. Su questo punto il “Center on Religion and Geopolitics”, collegato alla Faith Foundation  dell’ex Primo Ministro Blair, in un rapporto appena pubblicato lancia un monito: fino a che Assad non deciderà volontariamente di andar via o verrà rimosso dal suo posto, la guerra nel Paese si diffonderà ulteriormente. La Siria ospita oggi il numero più grande di gruppi jihadisti mai registrato nella storia. Il rapporto afferma che il pericolo più grande per la Comunità Internazionale sono i gruppi che condividono l’ideologia dell’isis, ma che sono stati finora ignorati. Sarebbero 100.000 e tutti profondamente contaminati ideologicamente.

La strada tracciata da Mosca e Washington è tutta in salita. La risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza un compito arduo da portare a termine, ma non possiamo che sperare ancora che gli uomini di buona volontà che finora hanno pazientemente portato avanti un complicato intreccio diplomatico riescano, nonostante l’emergenza sempre più grave, riescano nel loro intento.

©Futuro Europa®

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