Cronache dai Palazzi

Il presidente della Commissione europea Barroso approda in Italia per piangere i morti di Lampedusa, una “tragedia europea”, ha affermato Napolitano reduce dal summit di Cracovia “Uniti per l’Europa”. “Inutile girarci attorno – ha sottolineato il presidente della Repubblica – c’è assoluta necessità di azioni e decisioni da parte della comunità internazionale e in particolare di Bruxelles”. Napolitano ha sottolineato inoltre che nel vertice polacco anche “i presidenti dell’estremo Nord” hanno dimostrato un atteggiamento “significativo e importante”, manifestando la necessità di “un impegno comune” di fronte ai fenomeni migratori che si abbattono sulle coste italiane nella gronda sud del Mare Nostrum dove “guerre, conflitti interni e regimi oppressivi” non minacciano soltanto “il godimento dei diritti umani, ma addirittura il diritto alla vita”.

Nel contesto immigrazione l’abolizione del reato di clandestinità ha acceso invece la bagarre di politica interna inasprendo le tensioni di un Pdl ormai scissionista diviso in due cori, i lealisti e i governisti; risvegliando vecchie rivendicazioni leghiste; spaccando addirittura la roccaforte dei grillini. “Grillo non è il nostro capo”, gridano i grillini insorti. “Ci sono delle regole, ci diamo delle regole o ci danno delle regole?”, rimarca il tweet di Luis Orellana, una delle voci più critiche dei Cinque stelle. E la prossima settimana è atteso un vertice romano con il leader del movimento per chiarire eventuali disguidi a proposito di immigrazione clandestina.

Le inevitabili questioni legate alla legge Bossi-Fini, nello specifico al pacchetto Maroni, non si possono comunque tacere. “Ho provato un senso di vergogna – ha affermato il premier Letta – di fronte a tutto lo zelo con cui sono stati iscritti nel registro degli indagati i sopravvissuti al naufragio”. Una dichiarazione non lieve che smuove gli equilibri della politica nazionale dividendola, ulteriormente, in due fronti: immigrati si, immigrati no.

La strage di Lampedusa cela inoltre dei vecchi risentimenti contro la “politica romana”, come la definiscono gli abitanti dell’isola, che di fronte alle telecamere lamentano la mancanza di servizi, di scuole, di diritti. “Non ci sentiamo italiani” affermano.

L’ennesima tragedia di Lampedusa si è rivelata quasi la cartina al tornasole di un clima politico già duramente provato da tensioni non facili da gestire. Da una parte non si può non mettere mano ad un dramma umanitario che un mondo occidentalizzato fondato sui diritti dell’uomo non può far finta di non vedere; dall’altra le difficoltà legate alla quotidianità e alla crisi economica rappresentano una vera e propria bomba ad orologeria, pronta ad esplodere di fronte ai politici in visita nell’hangar della morte. Il ministero dell’Interno, intanto, ha preparato un decreto che prevede l’incremento, da 10 a 16, delle commissioni territoriali per i migranti che chiedono asilo, e il raddoppio dei posti disponibili per l’accoglienza provvisoria, che diventano così 16 mila. I fondi in arrivo dall’Europa dovranno essere impiegati per il reperimento di eventuali strutture idonee.

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha precisato che “eliminare il reato di immigrazione clandestina non serve”, conscio  che la maggioranza dei suoi colleghi di partito non digeriscono un simile epilogo, ma nello stesso tempo consapevole della distanza che lo separa da Enrico Letta su questo tema. In definitiva il Viminale consiglia di procedere studiando modifiche legislative che focalizzino l’attenzione sul diritto di asilo.

Guardando oltre i confini italiani, in Francia per l’immigrazione irregolare è prevista una sanzione penale: un anno di reclusione e un’ammenda per chi soggiorna nel paese straniero per più di tre mesi senza i documenti e i visti richiesti. In Germania una recente riforma ha favorito l’ingresso di lavoratori stranieri qualificati (riconoscimento dei titoli di studio, rilascio dei visti per lavoro, insegnamento della lingua). Nel Regno Unito nel giorno in cui in Italia si discuteva attorno all’abolizione del reato di clandestinità è stata presentata una nuova legge che prevede estradizioni “facili”, controlli fra i proprietari di casa, accesso ristretto a conti bancari e servizi sanitari.

Lo scontro bipartisan si estende al finanziamento pubblico ai partiti per il quale è stata raggiunta l’intesa Pd-Pdl sul tetto delle donazioni (300 milioni per le persone fisiche e 200 milioni per le imprese), fronteggiando le proteste dei grillini. Si tornerà comunque in aula la prossima settimana mentre il presidente del Consiglio Enrico Letta ha più volte minacciato di procedere con un decreto legge qualora non fosse chiaro l’esito dei giochi.

In panchina anche la riforma della legge elettorale, confinata ancora all’interno della relativa commissione e le varie riforme costituzionali messe in campo dall’attuale governo Letta-Alfano – la riforma della II, III, IV parte della Costituzione passando per l’articolo 138 – che hanno superato la “prima lettura” di Senato e Camera ed ora attendono, a distanza di tre mesi, la “seconda lettura” di entrambe le Camere. Mentre a Roma scendono in piazza (12 ottobre 2013) diverse associazioni e personalità “contro lo stravolgimento della Costituzione”.

Ma il vero “banco di prova della nuova maggioranza” – ha dichiarato il premier Letta – è comunque la legge di stabilità che il Consiglio dei ministri dovrebbe approvare all’inizio della prossima settimana; una manovra da circa 15 miliardi, un punto percentuale del Pil. Una sfida decisiva per il Paese stretto nella morsa della crisi e in balìa di maggioranze variabili. “Da qui vedremo e verificheremo se la stabilità politica è un valore acquisito”, ha dichiarato il premier italiano. Sulla legge di stabilità non sono ammessi gli “aut- aut” che hanno caratterizzato la vita dell’esecutivo fino ad oggi perché “con gli ultimatum non si governa”.

A proposito di Imu Letta sottolinea inoltre di non voler rompere l’asse con Alfano “impegnato” – come rileva Palazzo Chigi – “a giocare nel Pdl  la partita della vita contro l’ala sfascista. E riaprire adesso la questione dell’Imu vorrebbe dire alzare una palla d’oro ai falchi berlusconiani”. Tantoché a proposito di emendamenti “tutte le eventuali modifiche”, sottolineano fonti vicine al premier, “verranno esaminate quando verrà scritta la service-tax. Non certo adesso”.

In definitiva il dossier-Imu risulta archiviato rispetto a misure più urgenti che dovrebbero rappresentare il perno della legge di stabilità, in particolare la riduzione del costo del lavoro – una manovra da 4-5 miliardi anche se per Confindustria servirebbe una misura più forte mettendo sul tavolo almeno 10 miliardi – finalizzata a rendere più consistenti le buste paga dei lavoratori “in modo da permettere una ripresa dei consumi, maggiori margini di competitività per le imprese e incentivi alle aziende che assumono a tempo indeterminato”. Per ora risulta approvata la manovrina da 1,6 miliardi di euro necessaria per colmare lo sforamento dello 0,1% nel rapporto deficit- Pil: 500 milioni dovrebbero rientrare dalla vendita di immobili demaniali e 1,1 miliardi dai tagli alle spese ministeriali e dalla riduzione dei margini di spesa per gli enti locali. Sembrerebbe saltato l’aumento di Ires e Irap dal 101 al 103%, l’incremento delle accise sulla benzina di 6,5% centesimi al litro e i 330 milioni per finanziare la cassa integrazione.

I provvedimenti di clemenza, indulto ed amnistia, messi in campo dal Capo dello Stato, infine, hanno contribuito ad inasprire le tensioni bipartisan; contro i suddetti provvedimenti si sono scagliati i grillini – con la loro controproposta presentata direttamente al Quirinale – i leghisti, e non solo. Dalle sponde del Pd Epifani sottolinea che occorre escludere “i reati già esclusi in passato” e puntualizza: “La commistione con le vicende di Berlusconi non ha alcun senso”. La guardasigilli Cancellieri rassicura comunque che l’amnistia non riguarderà il Cavaliere. Alfano controbatte invitando i democratici “a non trasformare tutto in un referendum su Berlusconi” e auspica che il Pd “non traduca le parole di Napolitano in norme contro una persona”. Per il Pdl la riforma della giustizia rimane una priorità e il segretario annuncia che il suo partito ne sarà “il motore”. Un partito, il Pdl, che non è più granitico – bensì diviso tra il sostegno al governo delle larghe intese e l’appoggio indiscusso al presidente-monarca – che rischia di diventare più correntista del suo principale avversario politico. Tensioni represse, quindi, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra, pronte a riemergere di fronte ad ogni iniziativa dell’esecutivo compromettendo la reale tenuta del governo di larghe intese.

©Futuro Europa®

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