I camionisti bloccano il Brasile

Il paese tropicale ha assistito ad un fenomeno mai visto nella sua storia, il blocco quasi totale per mano dei camionisti. Il Brasile ha una situazione quasi paradossale, un paese che è quasi un continente con i suoi otto milioni e mezzo di chilometri quadrati di superficie, ha una rete ferroviaria di appena 30mila chilometri di estensione. Questo comporta che tutto il traffico si svolge su strade e si tratta di una rete stradale assolutamente inadeguata ad un paese che è diventato la settima o ottava potenza economica del mondo. Ecco perché il recente aumento del prezzo del gasolio ha scatenato le proteste dei camionisti che hanno bloccato le strade di più di metà degli Stati.

In un primo esame dei danni causati dai blocchi si parla di un miliardo di reais, ed è un calcolo fatto solo per i primi tre giorni, il blocco in alcuni stati dura da circa dieci giorni. Certamente il governo Federale è intervenuto, convocando la miriade delle rappresentanze sindacali. Dopo lunghe trattative, Governo e camionisti hanno raggiunto un accordo che, pur non prevedendo ribassi del costo del gasolio, ha concesso una serie di aiuti alla categoria. Purtroppo l’accordo non ha convinto tutti i camionisti, così sono  dovute intervenire la Polizia Federale e la Magistratura.

Decisamente, la settimana passata non è stata di quelle fortunate per il Brasile, infatti martedì 24 l’agenzia di rating Moody’s ha ribassato di due livelli la Petrobras, portando le sue azioni a livello speculativo. La Petrobras, un tempo gioiello e vanto dei brasiliani, è adesso al centro di uno scandalo che, non solo rischia di essere il più grande della sua storia, ma sta mettendo in difficoltà una ventina tra le più grandi imprese del paese e rischia di infliggere un colpo durissimo al sistema economico del paese. Le forze politiche di Governo cercano in ogni modo di difendere l’immagine e la credibilità di quella che è stata fino allo scoppio dello scandalo Lava-Jato il motore del recente boom economico del Brasile. Lo stesso Lula ha avuto la sfortuna di partecipare ad una manifestazione promossa dal sindacato a lui vicino, il CUT, proprio il giorno dopo la decisione della Moody’s. Mentre le azioni Petrobras perdevano l’8% alla borsa di San Paolo, Lula, con la sua abituale disinvoltura, denunciava con forti toni la volontà di certa stampa di criminalizzare e penalizzare la Petrobras. Nella lontana città del nord-est di Feira de Santana la Presidenta Dilma affermava con pari forza e convinzione che la crisi economica e i recenti tagli non colpiranno i programmi sociali, fiore all’occhiello delle tre presidenze della Repubblica a gestione di Lula e Dilma.

C’è invece chi incontra in sontuosi alberghi di lusso di San Paolo operatori economici e finanziari, è il ministro dell’economia Joaquim Levy. Con il suo tono tranquillo e pacato, Levy afferma che il paese si riprenderà, ma certamente sarà necessaria fantasia e tagli delle spese, occorre risanare il bilancio dello stato per ridare fiducia agli investitori interni ed esteri. Bomba finale di una settimana che il Brasile non scorderà facilmente, il Ministro della Previdenza Sociale, Carlos Vargas, annuncia cambiamenti nel sistema pensionistico. Per il Ministro non si può più andare in pensione a 54 anni, adesso l’aspettativa della vita media è arrivata ad 84 anni, secondo Vargas nessuno stato può mantenere una persona per 30 anni.

Tutto questo nell’attesa che il procuratore generale della Repubblica Janot faccia conoscere i nomi dei circa 40 uomini politici coinvolti nello scandalo Lava-Jato e Petrobras. Gli osservatori politici dicono che in Brasile regna la paura.

©Futuro Europa®

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