
Cronache dai Palazzi
Con 243 voti a favore e 109 contrari la riforma costituzionale della Giustizia incassa il terzo Sì da parte della Camera con “l’esultanza del governo” e nonostante la bagarre esplosa a Montecitorio. La prima approvazione lo scorso 16 gennaio e la seconda a Palazzo Madama il 22 luglio. Il ddl tornerà quindi in Senato per l’ultimo sì. Non essendo stata raggiunta la maggioranza dei due terzi si dovrà inoltre svolgere un referendum confermativo. Trattandosi della seconda lettura conforme, il testo non era emendabile. Quindi giovedì 18 settembre nell’Aula di Montecitorio si è svolta la discussione generale e in seguito il voto. “Non mi scandalizzo se l’opposizione cerca di annacquare una sconfitta con una diversione”, ha affermato il ministro della Giustizia Carlo Nordio, aggiungendo: “Riforma storica”.
La premier Giorgia Meloni rincara la dose sui social: “Portiamo avanti il percorso della riforma della giustizia. Continueremo a lavorare per dare all’Italia e agli italiani un sistema giudiziario sempre più efficiente e trasparente. In attesa dell’ultimo ok da parte del Senato, avanti con determinazione per consegnare alla Nazione una riforma storica e attesa da anni”, ribadisce la premier Giorgia Meloni.
Per l’Associazione nazionale magistrati (Anm) la riforma “mette a rischio l’equilibrio dei poteri”. Parole dure anche dal fronte delle opposizioni. La suddetta riforma “indebolisce le garanzie dei cittadini: è un attacco diretto all’indipendenza della magistratura”, ammonisce dai dem Debora Serracchiani e per i Cinquestelle si tratta di “una vendetta di un governo che dal primo giorno ostenta fastidio e intolleranza verso chiunque faccia da contrappeso democratico e legale alla sua azione”. Per Angelo Bonelli di Avs è uno “schiaffo all’Italia”. Il ministro della Giustizia, in ogni modo, allontanandosi dall’Aula di Montecitorio ha sottolineato che la riforma “non deve essere vissuta come una sconfitta o una forma di tentata umiliazione, della magistratura, alla quale mi sento ancora di appartenere”, ha aggiunto Nordio.
L’attuale articolo 104 della Costituzione sostiene che “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”, frase a cui la riforma aggiunge che essa “è composta dai magistrati della carriera giudicante e della carriera requirente”. Dopo il Sì definitivo del Senato, previsto entro ottobre, la riforma costituzionale della giustizia approvata in terza lettura alla Camera sarà sottoposta al Referendum popolare in primavera, nel 2026.
Con le nuove norme cambiano diverse carte in tavola. Tra le novità due Csm entrambi presieduti dal Capo dello Stato, con consiglieri estratti a sorte; inoltre ne fanno parte di diritto rispettivamente “il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione”. Il doppio Csm rappresenta una parte controversa oggetto di scontro fra maggioranza, Anm e opposizione. Il futuro ordinamento prevede quindi concorsi e carriere separate per giudici e pubblici ministeri, per cui ci saranno due organi di autogoverno distinti che non saranno elettivi. I componenti saranno infatti selezionati attraverso la tecnica del sorteggio ad eccezione di quelli di diritto. I due terzi, togati, apparterranno alla rispettiva carriera. Un terzo dei componenti sarà invece estratto a sorte da elenchi predisposti dal Parlamento, elenchi ai quali appartengono professori di diritto e avvocati. Tutti i componenti “durano in carica quattro anni e non possono partecipare alla procedura di sorteggio successiva”. In definitiva i due Csm avranno competenze per quanto riguarda “le assunzioni, le assegnazioni, i trasferimenti, le valutazioni di professionalità e i conferimenti di funzioni nei riguardi dei magistrati”.
Ad una Alta Corte è affidata invece la funzione disciplinare oggi riservata ad una Sezione speciale del Csm. Tale Alta Corte si occuperà sia dei magistrati requirenti sia dei magistrati giudicanti e sarà composta da 15 membri, tra cui una parte nominata dal Presidente della Repubblica. Un’altra parte selezionata per sorteggio estraendo dal “cestello” di nomi (professori, avvocati, giuristi) predisposto dal Parlamento. Un’ultima parte sarà composta estraendo tra i magistrati. Il procuratore generale e il ministro della Giustizia conserveranno il potere di iniziativa ma le decisioni non saranno impugnabili come è previsto attualmente. Le decisioni saranno definitive ma la Corte costituzionale detiene il controllo per vizi di legittimità.
In sostanza le sentenze sono ricorribili solo davanti alla stessa Corte che giudicherà in secondo grado in una composizione diversa rispetto al primo. Le sentenze non sono impugnabili in Cassazione come prevede l’articolo 111 della Costituzione. Una legge ordinaria disciplinerà inoltre gli illeciti disciplinari, le sanzioni, la composizione dei collegi, il procedimento e il funzionamento dell’Alta Corte.
La quarta ed ultima lettura a Palazzo Madama è attesa entro l’autunno. In assenza di una maggioranza qualificata dei due terzi, la legge sarà sottoposta a referendum confermativo come stabilito dall’iter di modifica della Costituzione previsto nella stessa Carta, ossia nel caso in cui non si ottengano i due terzi dei voti in entrambi i rami del Parlamento. La consultazione popolare (per la quale non è richiesto il quorum trattandosi di un referendum costituzionale) potrebbe tenersi nella primavera dell’anno prossimo e sarà il quinto referendum costituzionale nella storia d’Italia.
In seguito alla pausa di tre mesi calcolata dal 22 luglio (data della seconda approvazione del ddl da parte del Senato), il 23 ottobre inizierà la fase finale sempre con il testo in versione non emendabile, dopodiché è previsto un ulteriore stop di tre mesi ed infine il referendum in primavera, da marzo in poi del prossimo anno. Le opposizioni hanno reso noto che sono pronte a richiedere il referendum confermativo della riforma costituzionale e non è escluso che sia lo stesso esecutivo a richiederlo.
Come stabilisce l’articolo 138 della Carta costituzionale, se in seconda lettura non vengono raggiunti i due terzi in entrambe le Camere, entro tre mesi possono richiedere il referendum un quinto dei membri di una Camera, 500mila elettori o 5 Consigli regionali. Considerando che l’ultima approvazione della riforma da parte del Senato è attesa entro l’autunno – molto probabilmente entro il mese di ottobre – il referendum dovrebbe svolgersi in primavera dopo un ulteriore pausa di tre mesi. Come accennato il referendum costituzionale non richiede un quorum quindi sarà valido qualsiasi risultato a prescindere dal livello di partecipazione raggiunto.
L’ultimo referendum costituzionale si è tenuto nel 2020 e riguardava la riduzione del numero dei parlamentari per cui ha vinto il “sì” con il 69 per cento e un’affluenza del 51 per cento. Nel 2016 invece, con un 59 per cento di “no”, non è passato il referendum a proposito del superamento del bicameralismo perfetto, parte della riforma Boschi-Renzi. Un altro fallimento di un referendum costituzionale nel 2006, durante il quarto governo Berlusconi, con il 61,29% di “no”; si trattava della riforma della seconda parte della Costituzione che prevedeva la trasformazione del Senato in un Senato federale e la riduzione del numero dei parlamentari in entrambe le Camere. Il primo referendum costituzionale nel 2001, quando la consultazione popolare riguardava la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione per cui ha vinto il “sì” con il 64 per cento, sancendo quindi il rafforzamento dell’autonomia delle Regioni ossia ampliandone le competenze legislative e amministrative.
Infine, l’ultimo articolo della riforma costituzionale della Giustizia stabilisce che “entro un anno” dall’entrata in vigore (quindi dopo il referendum) devono essere varate le leggi attuative. Nel frattempo, permangono le leggi vigenti.
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