Legge elettorale tra debolezze e rimedi

La prossima settimana potrebbe  essere decisiva per il varo della legge elettorale. Quale sarà la sua veste definitiva è presto dirlo. Però i suoi lineamenti di base difficilmente potranno cambiare.

È bene che passi? Sì, perché la proporzionale è peggio. È una buona legge? No. Il mio amico Sartori l’ha definita, col solito acume, “bastardellum”. Con ragione, perché non è figlia di una volontà ragionata di fare il bene dell’Italia,  ma di una convergenza tra due pragmatismi, intesi ciascuno a portare a casa vantaggi: una maggioranza artificiale o, in mancanza, una sorta di monopolio dell’opposizione non grillina. Il punto forte è che dovrebbe garantire la governabilità (non è poco, ma anche il Porcellum aveva lo stesso obiettivo). Vediamo i punti deboli e i possibili rimedi.

Premio di maggioranza – La versione attuale, con una soglia minima, è meglio di quella bocciata dalla Consulta perché la soglia non l’aveva, ma resta di dubbia costituzionalità,.Dare a chi è minoranza nel Paese la maggioranza in Parlamento è, comunque lo si rivolti, una truffa. Negli anni Cinquanta, la DC e i suoi alleati proposero una legge per cui, chi avesse ottenuto il 50 più uno dei voti, avrebbe avuto quindici o venti parlamentari in più. La legge era intesa, non a trasformare una minoranza in maggioranza,  ma a mettere quest’ultima al coperto da assenze, franchi tiratori e  altri infortuni del genere.  Ma mezzo Paese (tutto il PC e il PSI di allora, per non parlare della destra missina) si mobilitò per denunciarla. Fu approvata lo stesso, ma alle elezioni il premio, per una manciata di voti, non scattò.

Proporzionale – Fu abolita dal referendum Segni del 1993, che tendeva a  instaurare anche in Italia l’uninominale a doppio turno (in Francia funzionava, perché da noi no?). E infatti venne la Legge Mattarella, che all’uninominale riservava due terzi dei seggi (un po’ in fretta fu demolita dal mio amico Sartori: rispetto a quello che è venuto dopo, pare un modello di saggio equilibrio). Ma Berlusconi, complice la Lega,  l’abolì, infischiandosene allegramente della volontà popolare e inventandosi un mostriciattolo come il Porcellum. Perché? Non aveva funzionato? In realtà sì, perché in tutte le elezioni, dal 1994 in poi, aveva portato a una maggioranza, ridotta magari, ma rappresentativa della realtà del Paese e comunque sufficiente. Ma col Mattarellum non si sapeva mai chi avrebbe vinto, mentre col Porcellum  (secondo calcoli poi risultati sbagliati) il centro-destra pensava di vincere sempre.  E in più il Cavaliere si sarebbe assicurato, con le liste bloccate, parlamentari scelti a dito e quindi servili. Di recente, il PD ha riproposto il doppio turno alla francese, senza  la parte proporzionale prevista dal Mattarellum.  Cos’è cambiato da allora? È cambiato che Berlusconi ha detto no  e Renzi, nella sua  voglia di portare a casa una legge che superi la proporzionale, ha abbozzato. C’è un rimedio? Si, c’è. Se, come probabile, nessuno arriverà al 37%, ci sarà il doppio turno nazionale e allora, finalmente, puntando la pistola alla nuca della gente e obbligandola a scegliere dei due mali il minore,  la maggioranza sarà davvero maggioranza. Non la figlia di un trucco delle tre carte. Ma non sarebbe stato più semplice e più onesto dire: se, al primo turno, nessuno ottiene il 50 più uno, si va al ballottaggio tra i primi due? Magari dando un piccolo premio di maggioranza a chi, al secondo turno, vince.

Soglie di sbarramento – A me sembra il punto più criticabile. Intendiamoci, che un limite minimo vada stabilito, è giusto (esiste in Germania e altrove). Per questo il 4, o il 5% sarebbero più che sufficienti.  Ma mettere la soglia del 12% per una coalizione (o l’8% per un partito singolo) è un puro e semplice scippo.  In Italia, significa tener fuori dal Parlamento, potenzialmente, 5 milioni di elettori  e, in pratica, abolire il Centro con un tratto di penna e prendere i moderati italiani nella tenaglia Forza Italia-PD.  Un rimedio ci sarebbe: unire tutte le formazioni di centro, da NCD all’UCD, da SC ai Popolari, in una sola coalizione o, meglio ancora, in un solo partito, e puntare a superare la soglia di sbarramento (stando ai sondaggi, parrebbe difficile ma non impossibile). Però quello che sta avvenendo è che Casini (non l’UDC, finora) torna alla cuccia berlusconiana, dentro Scelta Civica si ipotizza un accordo con il PD, Alfano mira probabilmente a farsi di nuovo benedire dal Cavaliere. Berlusconi e Renzi si fregano le mani perché sanno che, neutralizzato Grillo col premio di maggioranza (benedetto sia!) , la sola remora può venire loro da un Centro forte. Tutto questo, va da sé, con la favoletta del blocco al veto dei partitini. Dei partitini, va benissimo. Di cinque milioni di elettori, no.

Le preferenze – Toti, a Porta a Porta, ha difeso la posizione di FI dicendo, sostanzialmente: Berlusconi ha deciso così, e quindi va bene.  Poi, rispettosamente pregato di dare qualche maggiore spiegazione, ha sostenuto: A) Che le preferenze sono stata abolite dal referendum del 1991; B) che sono state fonte dei mali della Prima Repubblica e quindi reintrodurle sarebbe immorale. Frottole! Le preferenze non sono state abolite:  il referendum ha cancellato le preferenze plurime, ma ha lasciato la preferenza unica. Può darsi che il sistema induca a spese elettorali eccessive e all’influenza delle mafie o, comunque, degli interessi organizzati (io sono tra quelli che lo pensano, vista l’esperienza fatta nel voto all’estero, e l’ho anche scritto). Ma che Toti voglia far passare una qualsiasi posizione berlusconiana come battaglia etica mi sembra, francamente, comico. C’è un rimedio? Diciamo subito che le primarie ipotizzate da Renzi non lo sono. Nel migliore dei casi, ad esse partecipa qualche migliaio di persone e non si capisce perché introdurre un meccanismo così macchinoso e indiretto quando sarebbe così semplice lasciare la scelta agli elettori reali, non a quelli virtuali. Però tutti quelli che, al centro e a sinistra, sono davvero disposti a dare battaglia su quello che è, dopotutto, un principio elementare di democrazia, dovrebbero rendere la loro battaglia sostenibile con qualche condizione: la prima, che di preferenza se ne possa esprimere una sola (come da referendum), cosa anche logica in collegi piccoli con liste corte; e che sia imposto un ferreo limite alle spese dei candidati e poi lo si faccia rispettare. E sia assicurata parità d’accesso gratuito per tutti i candidati ai mezzi d’informazione, a cominciare da TV e Radio locali, che dopotutto sono gestori di servizi pubblici e usano un bene che appartiene a tutti. Altrimenti, l’idea che vinca il migliore, non chi ha più soldi da spendere o più appoggi organizzati, sarebbe, in molti i casi, un’illusione.

©Futuro Europa®

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