Il “rieccolo”

In un tempo ormai remoto, il grande giornalista e scrittore Indro Montanelli definì Amintore Fanfani “il rieccolo”, perché, quando lo si credeva politicamente finito, trovava sempre il modo di riapparire sulla scena. Era un’amichevole cattiveria da un toscano all’altro. Erano tempi diversi, meno spietati, forse più ingenui. Erano migliori? Chi lo sa.

Certo Fanfani, che pure di statura era piccoletto, pare un gigante di fronte a certa gente di oggi. Ma a una certa età è facile confondere il passato con una specie di età dell’oro, solo perché a quell’epoca eravamo giovani, noi e il Paese, e ancora ricchi, se non di illusioni (personalmente non ne ho mai avute molte) almeno di belle speranze. Fanfani – ricordiamolo per i tanti a cui il suo nome non dice nulla – fu un politico democristiano detentore in certi momenti di molto potere. Il punto più alto della sua traiettoria fu alla fine degli anni Cinquanta, quando riunì le cariche di Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e Segretario Politico della DC. Aveva un programma di rafforzamento delle istituzioni. Per molti versi, incluso il carattere toscanamente scanzonato,  Matteo Renzi lo ricorda un po’. Gli si attribuiva l’intenzione di portare l’Italia a un regime di tipo gaullista (in quegli anni De Gaulle era tornato al potere a Parigi e aveva fatto votare la Costituzione tuttora in vigore, centrata sulla figura di un Presidente eletto dal popolo e dotato di grandi poteri). Durò poco. Contro di lui ci fu la ribellione di una parte della DC. Chissà, forse si perse l’occasione per dare alla Repubblica le istituzioni che hanno assicurato alla Francia stabilità e autorevolezza.  Da allora, pur tornando varie volte a Palazzo Chigi o alla Segreteria della DC, e accedendo infine alla Presidenza del Senato, Fanfani non riuscì più ad essere detentore stabile di quel potere che, nella Prima Repubblica, era per sua natura frammentato e transitorio.

La sua  parabola ricorda un po’ quella di Silvio Berlusconi. A differenza del toscano, questi è stato al potere per periodi lunghi, rimanendo comunque sempre capo indiscusso del partito creato a propria immagine e somiglianza. Li accomunano però la vocazione a un governo forte e la capacità di tornare al centro della scena quando li si dava per finiti.

Ora il “rieccolo” contemporaneo cerca di ripetersi, nella comprensibile euforia determinata dalla sentenza della Cassazione che ha confermato l’assoluzione nel caso Ruby. Questa sentenza ha dato luogo alle abituali dissennatezze: quelli che avevano respinto con indignazione la teoria del complotto giudiziario contro Berlusconi, ora immaginano dietrologie colpevoli. E, naturalmente, quelli che accusavano i giudici (Cassazione compresa) di tutte le perversioni, oggi li esaltano per la loro imparzialità. Nella grande fumata, si perde di vista una verità elementare: i giudici applicano la Legge, ciascuno col suo cervello e il suo intelletto, limitati come ogni cosa umana. La differenza di valutazione giuridica degli stessi fatti in gradi diversi di giudizio può dare l’impressione di una giustizia incerta o, peggio, soggetta a vedute ideologiche o convenienze contrastanti, ma è frutto della differenza di cervelli e sensibilità tra i giudici stessi. E la vera garanzia sta proprio in un sistema che permette di correggere, a un grado superiore di giurisdizione, eventuali errori commessi dai gradi iniziali. Altrimenti, se le sentenze dovessero sempre essere uniformi, sarebbero inutili i tre gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento.

La sentenza della Cassazione a me è parsa giusta, perché fondata su una valutazione serena del diritto (lo ha messo in rilievo con ragione il difensore di Berlusconi, quel grande avvocato che è Franco Coppi): per la corruzione di minorenne non era provata la conoscenza della minore età. Un dato soggettivo, per molti irrilevante, ma la Cassazione ha ritenuto altrimenti. E per la concussione, come ho scritto in molte occasioni, mancava l’elemento costitutivo della coercizione. Balle sì, indegne di un Capo di Governo, come quella di Mubarak, abuso di autorità, interferenza indebita nel lavoro della Polizia, certo (e in altri paesi basterebbero per obbligare alle dimissioni  chiunque). Minacce o promesse no.  Niente reato, dunque. Punto.

Questo non vuol dire che i fatti attribuiti all’ex-Cavaliere siano inesistenti.  Né la Corte di Appello né la Cassazione lo hanno messo in dubbio. E tutto quanto sta emergendo dalle telefonate di Berlusconi a Tarantini e dalle risultanze dell’inchiesta sul Ruby-ter lo conferma in modo inappellabile. Il giudizio morale su Berlusconi resta dunque immutato, come ci hanno ricordato autorevolmente i Vescovi italiani. Giubilare per l’assoluzione è umanamente comprensibile, ma trarne motivo per un ritorno trionfale sulla scena è dunque improcedente. E dichiarare di tornare “per un’Italia migliore”, in bocca a Berlusconi, è semplicemente indecoroso. No, l’Italia migliore non può essere quella in cui le “Olgettine”, ragazzotte di non impervia virtù, ricevono una ”pensione” di 9 o 10 mila euro al mese in media per aver partecipato alle allegre serate di Arcore  (o, peggio, per tacere su di esse, ma questo deve dimostrarlo la Giustizia). Tanto per fare i conti: è il doppio di quanto riceve un alto funzionario dello Stato dopo 40 anni di onorato servizio. E assai più di quanto ricevono centinaia di migliaia di altri pensionati italiani per il loro sudatissimo lavoro.

L’euforia dei berlusconiani,  inoltre, è piuttosto prematura, e ancor più prematuro è trarne conclusioni politiche affrettate. Pendono su Berlusconi due processi di notevole gravità. Prima di considerarlo “Mister Clean”, aspettiamo! Altra cosa: il dottor Giovanni Toti, che più che il fantoccio del ventriloquo non pare riesca ad essere, eviti di trarre da una sentenza (giusta) della Cassazione motivo per invocare chissà quale ordalia contro i giudici. A chiacchiere, poi, visto che FI non ne ha neppure lontanamente la forza. Meno male che il ventriloquo a quanto pare non intende avvalersi della legge sulla responsabilità civile dei giudici. Dalla farsa si cadrebbe nel grottesco! La possibilità di riproporre Berlusconi come leader e federatore del centro-destra si scontra, oltretutto con le lacerazioni interne in Forza Italia e le inestricabili difficoltà con gli alleati. Possono essere qua e là superate per convenienze elettorali locali, non quando si tratta del governo del Paese. Davvero quelli che si riconoscono nell’area popolare possono militare sotto le bandiere di una persona duramente condannata dai Vescovi? Che cerca l’alleanza con chi vuole fuori dell’Europa? Salvini ha del resto mostrato quello che pensa, dichiarando seccamente: “Berlusconi non è più il leader” (si capisce: il leader si crede ormai lui). Per ora, dunque, molto rumore per nulla. O per molto poco.

©Futuro Europa®

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