Ancora orrore e barbarie

Un altro ostaggio occidentale decapitato dalla furia islamica, quattro sgozzati in Nigeria, tre in Egitto. Atti di barbarie orrenda e inutile, perché ormai i terroristi avrebbero dovuto capire che l’Occidente non si piega a ricatti del genere e ogni esecuzione aumenta solo la volontà di reagire e punire i responsabili, come hanno promesso solennemente sia Obama che il Primo Ministro Cameron.

Eppure, c’è chi pensa e scrive che esageriamo, che l’ISIS lo consideriamo nemico perché lo dice Obama, che comunque non è il solo e si chiede perché ci indigniamo “selettivamente” per le sua atrocità e lasciamo che Assad in Siria massacri donne e bambini. La risposta è ovvia:  il mondo ha rinunciato a bombardare Assad perché non avrebbe risolto nulla e avrebbe solo aggiunto tragedie alle tragedie. E poi diciamolo una volta per tutte e senza timore: Assad è un tiranno sanguinario, che usa il pugno duro per conservare il potere a casa sua ma non si propone di distruggere l’Occidente, di conquistare Roma, bruciare le nostre croci e stuprare le nostre donne. I massacri in Siria suscitano tutto il mio orrore, ma io ho due nipoti e la mia preoccupazione primaria, viscerale, è per loro, è che nessun fanatico faccia saltare con una bomba la scuola in cui studiano o li obblighi a vivere in un oscuro medioevo islamico. Che altri siano obbligati a viverci, mi indigna e mi rattrista, ma che si può fare in concreto per impedirlo (ci si è provato in Afghanistan, e che succederà ora che ce ne andiamo?). Poco o nulla, salvo, s’intende, una guerra globale e devastante. Ma la mia preoccupazione è che, se altrove questo succede, almeno qui da noi, a casa nostra, le nostre donne non siano costrette a portare il chador o il burka e nessuno sia obbligato a scegliere tra la conversione all’Islam o la morte. Se quella brava gente abituata ai sofismi pacifisti non vede la differenza tra le due situazioni, non so che farci. Ma poi, non capisco il loro ragionamento: visto che non bombardiamo Assad, dovremmo per coerenza rinunciare a combattere  l’ISIS? O dovremmo bombardare tutto e tutti? Una buona volta qualcuno me lo spieghi.

La mia impressione è, al contrario, che contro il terrorismo del c.d. Stato Islamico si faccia ancora poco. Nonostante la fiera resistenza dei peshmerga curdi, la jihad ha conquistato il grosso centro di Kobane, alla frontiera tra Siria e Turchia. Il sacrificio di quella combattente curda che si è fatta esplodere sarà rimasto inutile. Gli jihadisti occupano Qara, città cristiana dove già si contano a centinaia le esecuzioni di uomini, donne, bambini. Ricevo sulla rete pii e accorati messaggi che chiedono di pregare per loro. Pregare sì, certo, ma non credo proprio che basti. Alla barbarie va opposta la forza, non la preghiera o il dialogo. Quello che è avvenuto a Kobane conferma, tuttavia, una verità che qualsiasi esperto militare conosce: i raid aerei, da soli, non bastano. Possono fare grandi danni, al limite piegare un nemico molto esposto e concentrato (come accadde contro i serbi di Bosnia e poi contro Milosevic e poi in Libia, dove però c’era una guerra sul campo), non combattenti che occupano un territorio abbastanza grande e hanno per la vita umana, la propria e quella delle popolazioni civili, il massimo disprezzo.

I rappresentanti dei curdi lo vengono dicendo con forza e un ex-Capo di Stato Maggiore britannico, sir David Richards, lo ha detto con chiarezza: la strategia attuale è insufficiente e quindi alla lunga inutile. Dubito che si possa contenere e poi vincere la jihad terroristica senza una vasta operazione di terra. Se gli Occidentali non vogliono o non possono inviare truppe (lo capisco); se non si vuol poter contare sull’esercito di Assad (comprensibile), se non si vuole aprire la strada a un intervento di truppe iraniane (anche qui, comprensibile) qualcun altro deve combattere, se non per noi, per la propria sopravvivenza. Iracheni e curdi, si capisce, e sta bene armarli e dare loro il massimo appoggio aereo possibile. Ma non credo che  basteranno.

La Turchia è l’unica potenza regionale in grado di sfidare e vincere la ijhad che ora minaccia da vicino anche lei. Ha il secondo maggior esercito della NATO e spende per armarsi la stessa percentuale degli Stati Uniti. A parte fare paura ai greci, a che serve questa forza se non per garantire la sicurezza di quella parte del mondo? Ma a quanto pare Erdogan non si è ancora deciso. Fa capire di essere pronto a intervenire, schiera carri armati e divisioni alla frontiera con la Siria, ma fino a questo momento questi sono stati usati per frenare l’ingresso di curdi o tenere lontani i giornalisti. È certo che la Turchia  deve pesare i vari interessi in gioco: le future rivendicazioni curde, il possibile affermarsi di un forte potere sciita appoggiato dall’Iran. È certo che vorrà avere contropartite, specie dall’Europa. Ma se Ankara non capisse che vincere jihad e terrorismo è oggi una priorità assoluta davanti alla quale altre considerazioni sono secondarie, commetterebbe un imperdonabile errore.

Il nuovo Segretario Generale della NATO ha ha dichiarato – con tutte le ragioni – che l’Alleanza  ha il dovere di difendere la Turchia da attacchi o minacce e che per questo sono stati schierati missili Patriot alle sue frontiere. Ma in questa fase è più quello che i turchi possono fare per l’Alleanza che quello che l’Alleanza può fare per loro. E se non si muovessero, vorrebbe dire che più di mezzo secolo di appartenenza al corpus dell’Occidente non è servito a molto.

©Futuro Europa®

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