Renzi, l’Italia in Europa

Era ora che il responsabile del Governo dicesse chiaro e tondo che uscire dall’euro sarebbe una catastrofe. Nel suo discorso alla Direzione del PD, il Premier lo ha fatto in modo visivamente efficace parlando di “code ai bancomat e fallimenti di aziende”. Una lezione per quegli apprendisti stregoni che, a destra e a sinistra, giocano con un’idea tanto demenziale. Renzi ha finalmente detto sull’Europa le cose che da tempo mi aspettavo dicesse ma interessante e benvenuto è anche il ribadito proposito di non uscire dall’Europa ma starci con maggior convinzione e maggiore presenza. Una sfida politica e intellettuale ai tanti scettici, pavidi, o interessati cultori di un ritorno alla “piccola patria”, alla sovranità illimitata e all’autarchia disastrosa.

In una recente occasione, nell’intervista al Corriere della Sera, Renzi aveva detto anche che l’Italia ha i numeri per divenire “la guida dell’Europa”. C’è in questo un po’ di giovanile entusiasmo e magari di ingenuità. Non so se l’Italia possa essere la “guida”. A me, vecchio europeo (mi verrebbe da dire: vecchio guerriero della battaglia per l’integrazione) basterebbe vedere l’Italia parte permanente e indiscussa del ristretto gruppo di testa del Continente, autorevole e ascoltata. Mi  basterebbe che sapesse mettere sempre gente giusta al posto giusto (come nel caso di Mario Draghi). Mi basterebbe che utilizzasse i fondi europei. Mi basterebbe che continuasse a dare esempio di serietà e di coerenza, che si era perso in tempi berlusconiani e a fatica abbiamo recuperato grazie a Monti e a Letta. E con ragione Renzi ha ricordato che per pesare di più in Europa – io direi semplicemente per “esistere” – dobbiamo mandare a Strasburgo, per quanto possibile, gente seria, preparata e che nell’Europa crede sul serio.  Cioè il meno possibile di grillini e leghisti, il piú possibile di centristi e di democratici.

Poi, per fare buona misura, nella stessa intervista il Premier ha detto anche una mezza sciocchezza, cioè che l’Europa dovrebbe occuparsi più di scuola e meno di “salva-stati” (forse avrebbe voluto dire anche “salva-banche”?). Che l’Europa  debba occuparsi di più educazione, cultura, scienza, non è dubbio (ma Scuola? Non è questa una prioritaria competenza nazionale ed, anzi, locale?). Ma se smettesse di occuparsi di proteggere e, se del caso, salvare le finanze di alcuni Stati sarebbe un disastro. Sarebbero fallite come minimo Spagna e Grecia, le cui economie sono invece ora in netta ripresa grazie all’appoggio europeo e noi stessi avremmo maggiori difficoltà. Quanto alle banche, a me stupisce e indigna sempre il fatto che tutti i soloni che demonizzano chi interviene a “salvare le banche” (come se agisse a favore dei banchieri e delle loro tasche private) fingono superbamente di ignorare che salvare le banche significa salvare migliaia, milioni di correntisti e depositanti, difendere i loro risparmi ed evitare catastrofi in catena.

Con le sue parole,  comunque, il Premier ha tracciato con chiarezza i paletti di quel che dovrebbe essere la nostra partecipazione alla grande avventura continentale. E’ da sperare che anche il suo partito raccolga l’invito a mobilitarsi nelle settimane che ancora mancano al 25 maggio, andando nelle piazze, alla TV, dappertutto, a spiegare la necessità dell’Europa, la follia di chi vuole farcene uscire, come dovremmo starci e cosa ci aspettiamo da essa,  ripetendo sempre che l’Europa  non è la strega cattiva ma il nostro spazio naturale, fuori del quale saremmo isolati, fragili e assai più poveri.

In un recente fondo del Corriere, Galli della Loggia critica la mancanza nella campagna in corso per l’assenza di un  dibattito sulle forme del futuro europeo:  Federazione, Confederazione, Unione?  In sé non ha torto, ma la sua è la posizione di un intellettuale staccato dalla realtà quotidiana che, nel divenire europeo, è fatta di un misto in cui la necessaria dose di idealismo si è sempre dovuta accompagnare a un’alta dose di realismo pragmatico. Cosi si sono realizzati i grandi progressi degli anni Ottanta e Novanta. Ma ogni volta che si è centrato il dibattito sui grandi schemi astratti ci si è incagliati (come testimonia il fallimento della Costituzione Europea). Perché? Perché i tempi per il gran salto verso l’unità politica non sono maturi (e non so se e quando lo saranno) e ogni tentativo di forzare i tempi è destinato a fallire.

Guardiamo invece ai passi avanti concreti e possibili, in materia di unione bancaria, avvicinamento fiscale, solidarietà economica, politica estera, difesa comune. Lasciando il dibattito e l’azione su questi punti nei prossimi anni a chi ha la competenza e il mandato costituzionale per farlo: Governo e Parlamento. Sono temi troppo complessi e tecnici per essere  affrontati con qualche serietà nella cacofonia di una campagna elettorale. Concentriamoci sulle cose essenziali: sì all’euro, sì all’Unione. No all’isolazionismo. No al ritorno alle allegre pratiche del passato. No alla liretta. No ai pifferai. E, decisamente, no a quelli che Renzi ha definito come meritano: sciacalli.

©Futuro Europa®

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