La scena internazionale tra Francia e Crimea

Spostiamo l’attenzione dalle vicende, pur vivaci e interessanti, di casa nostra, per volgerla alla scena internazionale, dalla quale non ci è possibile astrarci. Il secondo turno  delle elezioni  francesi ha confermato le tendenze già emerse: alta astensione, affermazione della destra, sconfitta dei socialisti. Hollande aveva vinto due anni fa perché i francesi volevano castigare Sarkozy per le troppe promesse mancate e i tanti scandaletti del suo regno. Ora l’UMP gollista ha vinto perché gli elettori hanno voluto punire lui. È il gioco di alti e bassi ormai abituale nelle democrazie occidentali. Nessun governo risponde appieno alle aspettative generali, né compie le troppe promesse elettorali. Ognuno deve fare i conti con una realtà che spesso non permette i sogni generosi. Questa realtà si chiama, in Francia come da noi, debito pubblico elevatissimo, rigidità  burocratica (tanto più sentita in un Paese con forti tradizioni centralistiche), forza d’inerzia di abitudini al benessere e alla scarsa competitività, in parte dovuta a certe dissennatezze della sinistra (come la settimana di lavoro corta). In Francia si unisce il dramma, più acuto che da noi, di un’immigrazione che occupa interi grandi quartieri cittadini e zone periferiche, crea seri problemi  di ordine pubblico e fa sì che molti francesi non si sentano a casa propria.

Quest’ultimo fattore, molto più dell’eurofobia, è quello che motiva i successi del Fronte Nazionale. Ma attenti a parlare troppo facilmente di “trionfi”. I numeri sono quelli che contano, non i titoli dei giornali: a livello nazionale, l’UMP ha ottenuto il 45.91% dei voti; il PS il 40,57% (e ha conservato la guida di Parigi). Sono diminuiti i socialisti in Francia? No. Semplicemente, molti non sono andati a votare perché delusi da Hollande. Il FN è venuto terzo a grande distanza, con il 6,84%. La signora Le Pen può strillare quanto le pare ma oltre il 90% dei francesi le hanno detto di no. Si è detto che le percentuali del Fronte sono basse anche perché non si è presentato in molti comuni. Concediamogli qualche punto in più, mettiamo che arrivi al 15% che ebbe Le Pen nel 1995. Mettiamo che alle Europee, dove il fattore eurofobo potrà dispiegarsi meglio, superi anche quella percentuale. Resta il fatto che per la legge elettorale a doppio turno i frontisti sono e resteranno sempre il terzo partito, in Parlamento invieranno pochissimi deputati, e non avranno  nessuna possibilità di governare il Paese e neppure di essere accettati come alleati dai due grandi partiti (perché da noi non si sia adottato lo stesso sistema, limpido ed efficace, è un mistero della psiche berlusconiana).

Nel prevedibile futuro, gollisti e socialisti si alterneranno al potere secondo i mutevoli umori dell’elettorato. Il FN ne resterà fuori. Avrà un effetto politico il risultato elettorale? Sul piano interno Hollande dovrà modificare alcune cose, non solo cambiare il Primo Ministro  (tradizionale valvola di scappatoia). Per quanto riguarda l’Europa, non s’illudano i nostri untorelli: la linea della Francia non cambierà. Tanto per i gollisti quanto per i socialisti, l’intesa con la Germania e l’impegno tedesco in Europa, quindi l’integrazione europea, sono assolutamente vitali. Lo sapeva  Giscard, Mitterrand, Chirac, Sarkozy, lo sa ovviamente Hollande. Chi non lo capisce è un povero di spirito che non sa  nulla della politica vera. Può darsi naturalmente che, spinto dalle esigenze della crisi, Hollande accentui la pressione sulla Germania per una politica europea di crescita dell’economia e dell’occupazione. Se così sarà – come credo probabile – l’azione di Matteo Renzi ne sarà ovviamente rafforzata.

La crisi ucraina è tutt’altro che risolta. Non sarà la Russia a rinunciare a quanto ha già incamerato e non sarà l’Ucraina – o i suoi amici e protettori occidentali – ad inginocchiarsi ai piedi di Mosca. Ma la telefonata di Putin a Obama, la ventilata disponibilità a una soluzione negoziale, l’offerta-garanzia di non voler invadere il territorio ucraino, sono segni che fanno sperare che lo zar moscovita abbia compreso che vi sono limiti da non superare.

Su quali linee potrebbe svilupparsi una soluzione accettabile? Da una parte, la Russia deve rinunciare a rivendicare il territorio ucraino (a parte la Crimea) e a pretendere di condizionare le scelte europee di Kiev. Dall’altra, l’Ucraina non può che dare per persa la Crimea, garantire protezione alle restanti minoranze russofone e concedere loro una effettiva  autonomia regionale  (che però non conduca automaticamente ad una futura scissione) e dare certezza alla Russia per il normale funzionamento dei suoi gasdotti in territorio ucraino. Dalle due parti, si deve ritrovare la strada di rapporti amichevoli e di cooperazione, che sono una via obbligata tra due Paesi vicini e storicamente legati. Sarà difficile, ma non dovrebbe essere impossibile.

Due questioni mi paiono più delicate: l’ingresso dell’Ucraina all’UE e l’adesione alla NATO. Quanto all’UE, un veto russo sarebbe inaccettabile. Ma i tempi per una eventuale adesione sarebbero comunque abbastanza lunghi, e le procedure molto complesse, tanto da lasciare un buon margine di adattamento. Tecnicamente più semplice, ma politicamente più spinosa, l’adesione alla NATO. La Russia ha subito, in tempi di debolezza, l’ampliamento dell’Alleanza dapprima ai suoi ex-satelliti poi ad alcuni ex-membri dell’URSS. L’Ucraina nella NATO sarebbe più difficile da digerire. Ci sono alternative? Sulla carta, sì: la NATO potrebbe estendere la garanzia dell’art.5 anche a un’Ucraina che non ne fosse membro (ma politicamente e tecnicamente è una possibilità abbastanza dubbia). Oppure, l’adesione di Kiev potrebbe avvenire in condizioni da rispettare i requisiti minimi di sicurezza  della Russia. Al tempo dell’adesione di Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca, e poi successivamente per i Paesi baltici, ci fu l’impegno della NATO a non dispiegare armi nucleari o truppe nel territorio dei nuovi membri, e si stipulò inoltre un accordo di cooperazione NATO-Russia. Nel mio libro “Servizio di Stato“ ho avuto occasione di raccontare come si giunse alla svolta in una riunione presso la delegazione italiana alla NATO tra gli Ambasciatori di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia, Russia e io stesso. A renderla possibile concorsero vari fattori: la saggezza del Presidente Clinton, la flessibilità di Boris Eltsin, il talento del Segretario Generale della NATO, Javier Solana. Esistono adesso  queste condizioni? Da parte americana direi di sì. Da parte russa, non lo so, lo spero. Ma a un risultato si dovrà pure arrivare se non si vuol ricadere nell’inverno della Guerra Fredda che non conviene né a noi né ai russi. Intanto, è importante che Stati Uniti e UE mantengano ferme le loro posizioni: aiuto e protezione all’Ucraina e sanzioni politiche alla Russia se varca i limiti. E lasciamo pure cianciare quelli che dicono che le misure fin qui adottate sono “antistoriche e avventate”.

©Futuro Europa®

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1 Commento per "La scena internazionale tra Francia e Crimea"

  1. Fernando Taboada | 2 Aprile 2014 a 17:32:47 | Rispondi

    Excelente análisis y muy comprensible posibilidad, si bien remota, de adhesión de Ucrania a la NATO.
    Es preferible no provocar una gran potencia en el 2014, ya que Rusia en esta época no es la debilitada de Yeltsin.
    No creo que se acepte por Moscú la progresión de la NATO a sus propias fronteras pues la anexión de Crimea es una muestra que Rusia impone nuevas líneas rojas a no atravesar. Una de ellas es la peligrosidad de la NATO si ésta amplía sus fronteras hacia el Este.

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