
USA vs UE, la guerra dei dazi
Dopo mesi di trattative e tensioni, Stati Uniti e Unione Europea hanno formalizzato un nuovo accordo commerciale che ridefinisce il regime dei dazi tra le due sponde dell’Atlantico. L’intesa, presentata con una dichiarazione congiunta a fine agosto 2025, segna un punto di svolta nelle relazioni economiche bilaterali, ma lascia aperti interrogativi e criticità per settori chiave del Made in Italy.
L’accordo sui dazi USA-UE è basato su una tregua fragile: accordo al 15% ma i mercati restano in allerta, perché molti punti restano tuttora in sospeso. La disputa commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea, esplosa con i dazi unilaterali introdotti dall’amministrazione Trump, resta al centro dell’attenzione di governi e imprese. L’accordo bilaterale del 27 luglio ha evitato un’escalation tariffaria senza precedenti, ma i segnali provenienti dal mercato lasciano intendere che la tensione sia tutt’altro che superata. L’accordo prevede l’imposizione di dazi fino al 15% su una vasta gamma di prodotti europei, tra cui automobili, vino, alcolici e farmaci. In cambio, Bruxelles ha accettato di azzerare i dazi su tutti i beni industriali statunitensi e di garantire accesso preferenziale per prodotti agroalimentari americani considerati “non sensibili”, come frutta secca, carne suina, latticini e semi. Il tetto del 15% rappresenta una soglia massima, inclusiva della clausola della “nazione più favorita” (MFN), ma non tutti i prodotti europei beneficeranno di esenzioni. I settori vitivinicolo e agroalimentare italiano, in particolare, restano esposti a tariffe significative
La disputa ha avuto inizio con l’ordine esecutivo del 2 aprile, attraverso il quale Trump ha imposto un dazio generalizzato del 10% sulle importazioni, invocando i poteri emergenziali dell’IEEPA. A luglio, un nuovo decreto ha rimodulato le tariffe, minacciando di portarle fino al 30% su alcune categorie merceologiche. La mossa ha spinto Bruxelles a predisporre una lista di ritorsioni da 93 miliardi di euro, colpendo beni agricoli e industriali americani. La minaccia di una guerra commerciale ha accelerato il negoziato, culminato nell’intesa con la presidente della Commissione Ursula von der Leyen: dazi massimi al 15% sulle esportazioni europee e un progressivo smantellamento delle tariffe industriali da parte dell’UE.
L’accordo, tuttavia, mostra già i primi limiti. In Italia, i dazi sul Parmigiano Reggiano e sul Grana Padano sono stati applicati erroneamente al 30%, generando un danno competitivo immediato per il comparto lattiero-caseario. Secondo il Centro Studi di Unimpresa, l’introduzione dei nuovi dazi potrebbe generare un impatto sull’export italiano compreso tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. I comparti più colpiti includono: Meccanica strumentale e macchinari industriali; Moda, pelletteria e beni di lusso; Agroalimentare (formaggi, vino, olio); Farmaceutica e chimica. La Farnesina ha attivato una task force per tutelare le eccellenze italiane e correggere le distorsioni interpretative. Sul fronte logistico, l’abolizione della “de minimis exemption” (che esentava i beni sotto gli 800 dollari) ha paralizzato il canale delle spedizioni postali: diversi operatori europei hanno sospeso i servizi verso gli Stati Uniti in attesa di adeguamenti doganali.
L’Unione Europea ha assunto l’impegno di convogliare circa 600 miliardi di dollari in investimenti diretti negli Stati Uniti entro il 2028. Sebbene il comunicato ufficiale non specifichi i settori destinatari, fonti diplomatiche indicano priorità in: Tecnologie avanzate quali semiconduttori, intelligenza artificiale, cloud computing; in campo energetico operando su infrastrutture per il GNL e il nucleare; nel settore della difesa mediante cooperazione industriale e interoperabilità NATO; sulla manifattura con rilocalizzazione di filiere strategiche. Ma si tratta di investimenti privati e non pubblici, per cui non vi possono essere impegni vincolanti, la Commissione Von der Leyen presuppone di ‘incentivare’ i privati a fare quanto promesso a Trump, ma basteranno le buone intenzioni? Questi investimenti mirano a rafforzare la resilienza delle catene di approvvigionamento e a consolidare la presenza europea nel mercato statunitense, in un contesto di crescente competizione globale.
Il manifatturiero tedesco, fortemente dipendente dall’export negli USA, sollecita la Commissione europea a un approccio più incisivo. In Irlanda, il governo ha già varato strumenti di sostegno finanziario per le imprese più esposte nei settori alimentare e farmaceutico. Tira un sospiro di sollievo l’industria automobilistica, in particolare quella tedesca e italiana. La riduzione del dazio minacciato dal 27,5% al 15% ha evitato uno shock che avrebbe potuto avere conseguenze devastanti per un comparto chiave dell’export europeo. “Per la nostra industria è un sollievo e un impulso“, ha commentato il commissario europeo per il Commercio, Maroš Šefčovič. L’Italia, invece, rischia di pagare un conto particolarmente salato sul fronte agroalimentare, dove i margini di profitto sono più compressi e la capacità di diversificazione geografica risulta limitata. Ben più preoccupante è la situazione per il settore agroalimentare, e in particolare per le eccellenze del Made in Italy. Prodotti come vino, olio extravergine d’oliva e pasta, che rappresentano una fetta importante delle nostre esportazioni verso gli USA, si trovano ora a fronteggiare un aggravio dei costi che rischia di ridurne la competitività sul mercato americano. Le stime parlano di potenziali perdite per centinaia di milioni di euro, con il vino come uno dei prodotti più a rischio. Il governo italiano ha già espresso la propria preoccupazione e ha chiesto chiarimenti sia a Bruxelles sia a Washington, auspicando future esenzioni per un settore considerato strategico.
Oltre ai dazi, l’accordo include impegni strategici: l’UE si è obbligata ad acquistare 750 miliardi di dollari in energia dagli Stati Uniti entro il 2028, tra gas naturale liquefatto, petrolio e nucleare. Questo spostamento degli approvvigionamenti potrebbe avere ripercussioni sui costi energetici per famiglie e imprese europee, come denunciato da Assoutenti, oltretutto l’impegno europeo cozza con gli obiettivi climatici del Green Deal e con le direttive sulla riduzione delle emissioni. Analisi indipendenti sollevano dubbi sulla fattibilità dell’impegno. Nel 2024, gli USA hanno esportato solo 115 miliardi di dollari in petrolio, 69 in gas e 1,5 in uranio. Anche dirottando tutte le esportazioni verso l’Europa, non si raggiungerebbe la soglia promessa. Anche il settore dell’acciaio resta sotto pressione: l’industria siderurgica europea ha già perso circa un milione di tonnellate di export verso gli USA dal 2018, e le nuove tariffe al 25–50% rischiano di aggravare la situazione.
A complicare ulteriormente lo scenario c’è la dimensione giudiziaria interna agli Stati Uniti. Una Corte d’Appello ha stabilito che Trump avrebbe ecceduto i poteri dell’IEEPA nel decretare i dazi. La decisione è sospesa in attesa di un possibile pronunciamento della Corte Suprema, che potrebbe rimettere in discussione l’intera architettura tariffaria. Il pacchetto di misure concordato con Washington dovrà superare l’esame del Parlamento europeo, dove non mancano le resistenze e la gestione doganale dei dazi dovrà essere chiarita, per evitare nuove contestazioni da parte degli esportatori.
L’intesa Trump-von der Leyen ha evitato il peggio, ma non ha chiuso la partita. La relazione commerciale transatlantica rimane fragile, segnata da incertezze normative, pressioni settoriali e tensioni politiche. Per le imprese europee, la strategia più prudente resta la diversificazione dei mercati di sbocco, in attesa che il dialogo politico riporti stabilità in un quadro che resta altamente volatile. L’accordo USA-UE sui dazi rappresenta un compromesso tra apertura commerciale e protezione degli interessi nazionali. Se da un lato si evita una guerra commerciale, dall’altro si pongono nuove sfide per le imprese europee, chiamate a rivedere strategie di export, diversificazione e posizionamento competitivo. Per l’Italia, la partita è tutt’altro che chiusa. Servono misure di accompagnamento, sostegno pubblico mirato e una diplomazia economica attiva per garantire che il Made in Italy continui a brillare anche sotto il peso delle nuove barriere doganali.
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