Antonio Mumolo, in difesa degli ultimi

Nato nel 1962 a Brindisi, presidente dell’associazione Avvocato di Strada (di cui è anche socio fondatore), Antonio Mumolo risiede a Bologna dal 1984 e qui esercita sia l’attività professionale di giuslavorista che l’attività politica e di volontariato. Segretario per tre anni della storica sezione “Bolognina”, consigliere comunale del PD a Bologna ed oggi consigliere regionale presso l’Assemblea Legislativa dell’Emilia-Romagna e vicepresidente dell’assemblea regionale del Partito Democratico. 

Buongiorno Antonio, piacere di conoscerci. Vuoi iniziare raccontandoci come ti sei avvicinato al volontariato?

Ho cominciato nella mia città natale, Brindisi, quando arrivavano gli albanesi, poi mi sono trasferito a Bologna per motivi di studio e qui mi proposero di collaborare a un giornale, “Le voci di dentro”. Si trattava di una testata che aveva al centro i temi del carcere, era composta da una redazione interna ed una esterna, io, per fortuna, facevo parte di quella esterna (risate). Comunque, assieme a un giornalista professionista si insegnò ai detenuti come costruire un giornale, e a chi volle partecipare, fu consentito dalla direzione del carcere. All’interno magari scrivevano delle proprie esperienze personali, mentre noi all’esterno dissertavamo sulle leggi, spiegavamo l’interpretazione delle norme.

Una bellissima esperienza davvero, nello spirito anche di una rieducazione e preparazione per l’uscita dal carcere.

Purtroppo, poi cambiò il direttore del carcere e divenne più difficile accedere all’interno, un vero peccato perché i detenuti stavano diventando dei bravi giornalisti. Ma, contemporaneamente, dei detenuti avevano finito di scontare la pena ed erano usciti dal carcere, divenendo, però, dei senza dimora, finendo a dormire nei ricoveri. Mettendo assieme i due discorsi, noi provammo a realizzare un giornale di strada, credo sia stato il primo in Europa, iniziando con un’assemblea dentro un dormitorio in via del Porto. Dalla discussione scaturì la decisione di creare questo giornale che parlasse delle persone che vivono in strada, con l’aggiunta di una novità: che chi si occupa di persone in difficoltà, chi fa volontariato, deve anche produrre progetti di auto-aiuto. Questo per non limitarsi ad aiutare una persona, ma per fare sì che la stessa si impegni in un percorso di uscita dalla strada, arrivando magari in futuro a rientrare nel mondo del lavoro e vivere normalmente. La differenza tra “girare” per strada e “vendere” un giornale per strada, è enorme. 

Ricordo di averlo comprato varie volte.

Certamente, noi lo davamo alle persone che andavano a venderlo nelle strade, a noi davano il costo puro della pubblicazione, tipo £ 500 e loro lo vendevano a £ 1.500; le £ 1.000 di differenza se le tenevano loro. Intorno a questo giornale fondiamo un’associazione, “Amici di Piazza Grande”, fatta per persone che si auto-aiutano, non chiedono l’elemosina, ma vendono il giornale, e crescendo è diventata una vera e propria attività. A Bologna esistevano già varie realtà che aiutavano i senza tetto, servendo pasti, vestiti, un letto dove dormire, dalla Caritas ai servizi sociali, mancava chi li aiutasse a uscire dalla strada. Da Piazza Grande sono nate tante realtà autonome, Fraternal Compagnia, una compagnia teatrale in cui anche il regista era un senza fissa dimora, oggi questa realtà mette in scena la sua stagione al Teatro Dehon e va anche in altre città. Poi è nata “Bici Centro”, per la riparazione delle biciclette e in seguito la vendita di quelle usate e rimesse a posto. Siamo partiti grazie ad un artigiano che si è messo a disposizione per insegnare a fare questo lavoro, la prima officina era sotto il ponte di via Libia in un posto decisamente spartano, ma ora fanno anche riparazioni d’emergenza andando con un Apecar a fare interventi urgenti su chiamata. È nata una sartoria dove si fanno riparazioni, Bologna è una città universitaria dove questo servizio è molto richiesto. E anche qui è poi nato un negozio dove si vendono le collezioni che molte aziende ci mettono a disposizione, capi d’abbigliamento che le aziende non vendono più, ma nel nostro negozio in via della Leonarda si vendono sia abiti usati, che nuovi, a prezzi stracciati. Potrei proseguire con tante altre attività collaterali nate da Piazza Grande, ma arriviamo al punto che anche io scendevo in strada una volta la settimana per parlare con le persone senza dimora e magati offrire un thè ma loro, inevitabilmente, alla fine mi chiedevano consigli di tipo giuridico. Trattandosi spesso di argomenti attinenti il diritto di famiglia, io, la mattina successiva, interpellavo un collega esperto della materia chiedendogli di occuparsi della cosa a titolo gratuito. Stesso percorso quando mi chiedevano in materia di penale, chiedevo favori agli amici, ma la cosa prendeva sempre più piede. Mi sono quindi chiesto se esistessero altri avvocati che, come me, volessero mettere a disposizione una piccola parte del loro tempo per una buona causa, ma nell’ambito delle proprie competenze. Telefonando ai miei conoscenti ho trovato una collega che si è data disponibile, a gennaio 2001 è nato il primo sportello di “Avvocati di Strada” ed eravamo solo io e lei, con l’obiettivo di tutelare i diritti dei senza dimora, non dei poveri in generale, che magari una casa ce l’hanno, ma specificatamente di chi vive in strada.

Un aspetto fondamentale che ho scoperto, è che pare strano, ma un senza dimora non ha residenza anagrafica e quindi subisce tutta una serie di problemi quasi insolubili.

Questa tipologia è stata proprio la nostra prima causa, uno dei motivi per cui una persona che finisce in strada diventa invisibile, è proprio per via della residenza. Tecnicamente la residenza è l’iscrizione all’anagrafe del comune in cui una persona si trova, l’indirizzo viene riportato sui documenti, e siamo abituati a questa normalità, quello che non si conosce è ‘cosa succede quando si perde la residenza’. Accade che una persona diviene povera, non pagando l’affitto viene sfrattata, finisce in strada, altre persone occupano il suo vecchio appartamento vengono identificate dagli agenti della polizia locale come risiedenti e l’anagrafe aggiorna i dati inserendo i nuovi intestatari e cancellando la precedente. In altri paesi europei tutto questo non sarebbe un problema, essendo in possesso di un codice fiscale automaticamente la persona è visibile, ma in Italia la legge collega alla residenza tutta una serie di diritti fondamentali che si perdono in assenza del possesso della residenza. Il S.S.N. prevede il medico di base nel luogo di residenza, senza non puoi nemmeno scegliere il medico, devi recarti al pronto soccorso nei casi estremi. Se non hai residenza non riesci a lavorare perché non hai documenti e nessuno ti assume; non puoi prendere la patente; non riesci ad aprire un c/c bancario; non hai accesso ai sussidi previdenziali, nemmeno al reddito di cittadinanza. Si perde persino il diritto al voto che è garantito dall’art.48 della Costituzione.  

È veramente incredibile, ma la legge cosa prevede?

Gli uffici dell’anagrafe interpretano la norma in maniera molto restrittiva, tendono a non dare la residenza alle persone, è un tema che è al primo posto nelle nostre cause. La legge italiana è molto chiara su questo e stabilisce che la residenza è un diritto soggettivo di ogni cittadino italiano e straniero munito di permesso di soggiorno. In un volumetto che abbiamo pubblicato, “Senza tetto, non senza diritti”, abbiamo intervistato circa 300 uffici dell’anagrafe italiani, ricevendo le rispose più sconcertanti. Da chi ha risposto che non danno la residenza a chi non è nato nella città (io sono nato a Brindisi, ma vivo a Bologna), a quelli che non l’assegnano a chi è povero. I requisiti previsti dalla legge sono solo due, la presenza nella città e la volontà di chiedere la residenza. La norma prevede che l’ufficio anagrafe deve rispondere alla richiesta di residenza entro 48 ore, sia in caso affermativo, che negativo, in questo ultimo caso devono motivare il diniego. Pensa che il diritto alla residenza nasce nel 1954 per esigenze di controllo sociale da parte dello Stato nei confronti dei cittadini, tanto è vero che l’anagrafe è in capo al Ministero dell’Interno. Proprio per questo è obbligatorio dare la residenza, lo Stato deve sapere dove trovare i cittadini, sia per intervenire in caso di reati, che catastrofi naturali, per fare un esempio. Chi trova riparo in un dormitorio, dopo 20 giorni passati, il ricovero ha l’obbligo di comunicare le generalità della persona al Comune, che gli dà la residenza d’ufficio. Si è toccata l’assurdità del decreto Salvini, quando era Ministro degli Interni, che all’art.13 prevedeva che i richiedenti asilo non avrebbero più ottenuto la residenza; grossolano errore secondo la ratio della legge, lo Stato non vuole sapere dove si trova un ipotetico terrorista? Noi l’impugnammo presso tanti tribunali italiani, vincendo tutte le cause, e dopo due anni è intervenuta la Corte Costituzionale dichiarando incostituzionale quell’articolo proprio perché in contrasto con la ratio della legge sulla residenza.

Come è possibile che si sia creata questa situazione?

Il Ministero dell’Interno, che è titolare dell’anagrafe, delega il Sindaco del Comune, ma non potendo occuparsi di tutto, a sua volta il Primo Cittadino assegna l’incarico a un dipendente del Comune, che diventa Ufficiale dell’Anagrafe, ma spesso senza avere una preparazione e formazione in materia. Ora noi chiediamo una circolare interpretativa autentica che dirima la questione, ma loro ci rispondono che non è necessario in quanto la norma è chiarissima, ma se così fosse non faremmo centinaia di cause ogni anno.

Vi siete infilati in un bel ginepraio insomma. Ma da due siete poi cresciuti tanto.

Sul nostro sito Avvocato di strada si possono vedere tutte le tipologie di cause che portiamo avanti, divise per sezioni, dal penale al civile, e per casistica. Abbiamo iniziato in due e poi sono arrivati tanti altri volontari, avvocati e non, perché serve accogliere e accompagnare le persone, fare segreteria, curare il sito. Crescendo abbiamo pensato di non aspettare le persone presso la sede di Piazza Grande, ma di andare incontro a loro, andando quindi a ricevere anche nelle mense e nei dormitori pubblici. Eravamo arrivati a essere 50/60 persone attivi nell’associazione, ci siamo chiesti quindi se potessimo esportare il modello anche in altre città, perché malgrado coprissimo 4-5 giornate a settimana, l’impegno personale assommava a una giornata al mese ciascuno. Nel 2001 vinciamo il Premio Nazionale del Volontariato, sull’onda iniziamo a contattare avvocati di altre città e associazioni che si occupano esclusivamente di senza dimora. Dopo 21 anni, siamo presenti in 59 città italiane, siamo oltre 1.000 avvocati e abbiamo aperto più di 40.000 pratiche, come amiamo dire, “Siamo il più grande ufficio legale italiano, e quello che fattura di meno”.

E non siete solo avvocati adesso, giusto?

Ora sono presenti commercialisti, notai, medici, se in una causa legale per un incidente stradale ho bisogno di una perizia, mi serve un medico; in caso di diritto del lavoro, mi serve un commercialista o un consulente del lavoro; in caso di un’eredità serve un notaio. Non tutti questi professionisti sono soci di “Avvocato di Strada”, ma comunque mettono una parte del loro tempo a disposizione dell’associazione.

E veniamo a un altro importante riconoscimento, il Premio Cittadino dell’Anno assegnato dal Parlamento Europeo.

Ogni anno il Parlamento Europeo individua tre candidati che si sono particolarmente distinti per attività svolte nel sociale, nel 2013 venimmo selezionati e vincemmo come associazione; ci presentammo in 30 a Bruxelles a ritirare il premio dalle mani del Presidente Schulz. Fu un problema organizzativo trovare posto in alberghi e ristoranti per 30 persone assieme, ma fu davvero divertente. Ricordo anche, a proposito di riconoscimenti, che sono 12 anni che il Presidente della Repubblica (prima Napolitano e poi Mattarella) ci invita all’evento privato del 1° giugno al Quirinale. Per noi è un grandissimo onora ed un segnale di grande attenzione verso la nostra attività.

Progetti futuri?

Continueremo ad aprire uffici di “Avvocato di Strada” in tutte le città dove riusciremo, siamo già presenti in tutte le regioni italiane e nelle maggiori città, ma ci sono tanti altri centri dove necessita il nostro intervento. Tutte queste persone senza fissa dimora, se non hanno un avvocato che le segue, hanno veramente difficoltà a difendersi e fare valere i loro diritti. Soprattutto non hanno la possibilità di uscire dalla strada, mi collego nuovamente al discorso della residenza per fare un esempio, senza un avvocato non potrebbero risolvere il problema. Oltre questo organizziamo convegni e iniziative sui temi della povertà. Poi ci sono le nostre pubblicazioni. In questi giorni abbiamo pubblicato a Bologna il “Dove andare per…” un opuscolo tascabile in cui sono indicati i luoghi dove andare a dormire, dove lavarsi, dove mangiare, dove trovare un abito pulito, dove trovare un medico. E’ una sorta di rete di sostegno dal basso per chi si trova in strada ed ha bisogno di aiuto.

Come fonti di finanziamento, perché comunque ci sono spese per gli affitti e utente immagino, cosa usate?

Abbiamo fatto la scelta di non chiedere soldi al pubblico, non chiediamo finanziamenti a enti pubblici che potrebbero poi essere la nostra controparte in una causa, abbiamo il 5/1000, poi partecipiamo a bandi, sia pubblici che privati, che danno finanziamenti sulla base dei progetti presentati. Aggiungiamo una forma di autofinanziamento, il nostro lavoro è totalmente gratuito, tieni presente che in una Onlus un socio può anche essere retribuito o esserne dipendente, nelle Organizzazioni di Volontariato, che è il nostro caso, il socio non può percepire nulla. Ma quando vinciamo una causa, il soccombente viene condannato al pagamento delle spese legali, da statuto noi fatturiamo il dovuto, l’avvocato trattiene le spese vive, tasse, cassa professionale, imposte, il resto viene versato all’associazione, il legale non ci deve perdere niente, ma non guadagna nulla.

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