Emergenza Covid 19, USA e Cina a confronto

Ci si chiede come sia possibile che la Cina, primo focolaio mondiale che con i suoi cluster di Coronavirus Covid-19 ha iniziato l’infezione che ha poi invaso il mondo, sia tornata a una situazione di ‘relativa’ normalità in breve tempo, mentre la prima potenza mondiale, gli Stati Uniti di The Donald, siano piombati in un incubo da film hollywoodiano, malgrado avessero il vantaggio, rispetto la Cina, di sapere con cosa avevano a che fare. Due esempi contrapposti possono essere presi come campioni per fare comprendere come un diverso approccio possa portare a risultati totalmente divergenti. Entrambi i paesi godono di un forte potere centrale e una catena di comando corta, ma il posizionamento dell’establishment rispetto l’emergenza è stato diametralmente opposto. Mentre Pechino, pur cercando inizialmente di nascondere l’infezione, ha poi agito con decisione e senza sottovalutare il pericolo, Washington ha teso a minimizzare la crisi con battute fuori luogo e lo sguardo puntato alle prossime elezioni presidenziali.

A Wuhan, primo focolaio del Coronvirus Covid-19, la vita nella città dell’Hubei ha ripreso dopo la fine del lockdown l’8 aprile, dopo 76 giorni di chiusura totale. Alla riapertura sono rimasti chiusi molti complessi, la ristorazione, chi è tornato al lavoro ha visto la ripresa in uno scenario distopico fatto di strade deserte e silenzio. I residenti sono stati invitati a non lasciare la provincia di Wuhan o Hubei, e anche il loro quartiere, se non in caso di assoluta necessità. I centri commerciali sono stati riaperti il ​​30 marzo, con rigorose distanze di un metro che hanno generato lunghe code all’entrata dei supermercati mentre alcuni residenti hanno approfittato del clima più caldo per riprendere i loro giochi e balli all’aperto. A quelli che sono tornati alla vita ‘normale’ è stato imposto un “codice di buona salute”, un’app quanto mai invasiva che viene integrata in app molto popolari come WeChat e Alipay di Alibaba. Ai tornelli per accedere alla metropolitana, treno o aereo, si entra con il codice QR generato. Se le autorità, che a questo punto sanno tutto di te e dei tuoi percorsi, ricevono l’allarme di un infetto, ad esempio in un vagone, il codice dei presenti diventa rosso e vanno immediatamente in quarantena per 14 giorni. In Cina è ammessa, e quasi incoraggiata, la delazione, se sospetti che qualcuno sia infetto lo puoi segnalare.

Data la dimensione del paese molte zone non sono state toccate e vivono normalmente, le grandi città non sono sottoposte a misure coercitive, ma la popolazione ha paura e vige una sorta di ‘coprifuoco’ volontario. D’altronde il pericolo non è ancora svanito, un nuovo focolaio è stato segnalato a Suifenhe, piccola cittadina del nord al confine con la Russia. Con la rilevazione di conta circa 400 positivi alla COVID-19, probabilmente dovuta all’importazione del virus dalle frontiere russe, è scattato il lockdown.

La portaerei americana USS Theodore Roosevelt, “The Big Stick” ossia “Il Grande Bastone”, da sempre estensione remota del potere americano nelle crisi mondiali, era in missione nelle acque del Pacifico. Dopo una sosta nella base di Danang in Vietnam, il Covid-19 ha cominciato la sua opera di contagio. Dal 24 marzo i malati sono aumentati rapidamente: prima tre, poi quindici. Il comandante Brett Cozier, ufficiale vecchia scuola che tiene alla salute dei suoi uomini tanto quanto alla sua nave, conscio dell’impossibilità di tenere distanze di sicurezza dovendo gestire 5.000 uomini nei 333 metri dello scafo, ha immediatamente allertato i vertici dell’US Navy, mentre faceva rotta verso la base navale di Guam: “A causa degli spazi limitati di una nave da guerra, non la stiamo facendo. La diffusione del male continua e sta accelerando. Togliere gran parte del personale da una portaerei in missione e isolarlo per due settimane può sembrare una misura straordinaria. Ma è un rischio che bisogna correre. Tenere più di 4mila giovani sulla Roosevelt li espone a un pericolo non necessario e distrugge la fiducia che hanno verso di noi. Serve una decisione politica ma è la cosa giusta da fare. Non siamo in guerra, non c’è bisogno di fare morire i marinai. Se non agiamo subito, falliremo nel prenderci cura del nostro bene più prezioso: l’equipaggio“.

Di fronte a una evidenza di questo tipo ci si potrebbe aspettare che la logica risposta sia l’immediata messa in sicurezza della nave e del suo equipaggio, ma il Pentagono ha pensato invece di rimuovere il comandante Cozier per procurato allarme. Con involontaria vena comica il sottosegretario alla Marina Thomas Modley ha dichiarato “Sono turbato dal fatto che un Capitano ritenga che la Us Navy non si prenda cura del suo personale. Non siamo in disaccordo con il comandante, ma stiamo agendo in maniera molto metodica perché non si tratta di una nave da crociera. Sulla Roosevelt ci sono armi ed aerei. L’evacuazione non è necessaria“. La situazione kafkiana è peggiorata quando, dopo che la notizia era trapelata sulla stampa venendo pubblicata dal San Francisco Chronicle, il ministro della Difesa Mark Esper ha dichiarato di non averla letta, ma di non condividere la linea del comandante. Invece di preoccuparsi che la situazione verificatasi sulla Roosevelt, con quasi 200 contagiati, potesse essere presente anche su molte altre navi della marina impegnate in estremo oriente, il sottosegretario Modley ha rilasciato una dichiarazione fra il penoso e il patetico, “Il capitano Cozier ha fatto suonare un campanello d’allarme che non era necessario. Ha permesso che la complessità dell’affrontare l’epidemia a bordo gli impedisse di agire con professionalità mentre agire con professionalità era la cosa più importante di tutte in questo momento“.

Il virus non si è ovviamente fermato con la delirante rimozione del capitano Cozier in ossequio ai desiderata del Pentagono e di Trump. Il 5 aprile il segretario Modly è costretto a volare a Guam per parlare all’equipaggio, e mai dichiarazione fu più improvvida, “Se il vostro comandante non pensava che quelle informazioni sarebbero diventate pubbliche allora è troppo ingenuo o troppo stupido per comandare una nave come questa, oppure lo ha fatto di proposito”. L’audio arriva ai media, la Marina si infuria e chiede la testa del politico, due giorni dopo Modly si dimette. Ma oramai il danno è fatto, il contagio è esploso arrivando a 585 malati, il 13 aprile è morto il primo marinaio della Roosevelt, altre tre portaerei americane risultano essere in situazione di contagio.

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