Dall’Indice dei libri proibiti ad Internet

Che cosa hanno in comune Galileo Galilei, Simone de Bauvoir, i Dumas padre e figlio, Jean-Jacques Rousseau, Alberto Moravia e Erasmo da Rotterdam? Insieme a molti altri, nel corso di quattro secoli, hanno visto il loro nome inserito nello Index Librorum Prohibitorum. Nato ufficialmente nel 1559 con Papa Paolo IV, in piena Controriforma, l’Indice era un sistema che venne utilizzato per mantenere il pensiero cattolico in una rigida ortodossia e per non farlo contaminare da letture e interpretazioni sgradite. Ecco quindi che, accanto alle opere di Giordano Bruno, decisamente eretiche, e a quelle di Boccaccio, troppo lascive, troviamo il De Monarchia di Dante, che “osava” sostenere la separazione dei poteri tra Stato e Chiesa. Stessa sorte per L’esprit des lois di Montesquieu, ma anche l’opera di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, del tutto inadatta in un periodo in cui la cattolicizzazione dell’insegnamento scolastico era in linea con il regime che aveva portato ai Patti lateranensi.

L’indice era un sistema per tarpare le ali alla conoscenza, alla cultura, all’insegnamento. Biblioteche saccheggiate e caccia alle streghe. Ricordiamo anche che la messa veniva detta in latino e non erano ben viste forme di insegnamento non ortodosse; il processo a Galileo che dovette abiurare per evitare la condanna, quasi sicuramente a morte, per eresia è del 1633, quasi due secoli dopo quel periodo a torto considerato buio che era stato il Medioevo. Si era in pieno rinascimento, ma la cultura era ancora dominata da un forte dogmatismo cattolico integralista, indispensabile allo Stato Pontificio per mantenere il proprio potere temporale ed evitare quell’unità d’Italia cui si è sempre opposto.

Saper leggere, in primis, e poi poter leggere, erano privilegi riservati a pochissimi. Questi pochissimi ben possiamo immaginarli come terroristi della cultura e della scienza, impegnati nelle loro biblioteche private a formari una conoscenza su libri che correvano il rischio di essere distrutti. Probabilmente dobbiamo a questi uomini l’Illuminismo e i movimenti che ne sono scaturiti ed hanno portato all’affermazione dei diritti degli uomini.

Leggere, sapere, conoscere, erano privilegi che sono stati poi elevati al rango di diritti, tanto quanto ai sensi del XIV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, quanto agli articoli 33 e 34 di quella nostra repubblicana del 1948. Diritto allo studio, accesso alle scuole, istruzione, sarebbero capisaldi della società civile e fondamenta della democrazia. Purtroppo sembra di assistere ad una involuzione sul punto, in cui dal sapere sembra che i più rifuggano. Se prima le persone non potevano leggere, oggi non vogliono leggere, e quasi sbeffeggiano la conoscenza, agevolati da un sistema scolastico che non prevede più sbarramenti, esami, verifiche, ed il diritto allo studio è ormai identificato nel diritto ad avere un pezzo di carta: con qualsiasi mezzo.

Oggi, nell’era di Internet, quello della conoscenza, o perlomeno di potervi accedere, non è più quel privilegio cui in passato potevano accedere solo i figli di quelle poche famiglie che se lo potevano permettere. Nel 1861, anno dell’unità d’Italia, il 78% della popolazione era analfabeta. Oggi in teoria questa piaga dovrebbe essere estirpata, ma è stata malamente sostituita dall’analfabetismo funzionale, vale a dire l’incapacità di usare adeguatamente le capacità di lettura, scrittura e di calcolo che un insegnamento almeno fino alle scuole medie avrebbe dovuto garantire. Sembra che il nostro paese sia tra i leader in questa poco edificante statistica.

Secondo un’inchiesta del 2017, il 57,6 percento della popolazione italiana sopra i sei anni ha dichiarato di non leggere neppure un libro di carta all’anno. Cala di poco la percentuale di quelli che leggono libri in formato digitale. E’ un dato di fatto che deve essere affrontato, anche a fronte del pericolo di coloro che “si informano su internet.” L’Homo Googlis che si ferma alla prima risposta che più lo convince, magari la più semplice.

In un suo libro, il critico e scrittore Romano Luperini fa risalire le origini di questo problema proprio all’epoca della Controriforma, periodo in cui si è iniziato a disimparare a leggere ed in cui si deputava la chiesa a detta attività quale intermediario. Giordano Bruno Guerri attribuisce non poca colpa ancora una volta alla chiesa di tutto ciò. Ma oggi le cause del perché non si legge più sono anche altre.

Ovviamente possiamo iniziare dalla scuola, in cui si rileva poca educazione alla lettura, sostituita dall’attività visiva molto più usufruibile e comprensibile, specialmente su piattaforme on line, al punto che il tempo dedicato alla lettura viene considerato perso e tolto ad altre attività. La vita frenetica di oggi non aiuta di certo, ma anche le famiglie hanno un loro ruolo: quanti genitori conosciamo che regalano libri ai figli e quanti che scelgono un nuovo videogioco o un cellulare ultima generazione?

Su quel cellulare, però, chiunque può oggi trovare ogni giorno, tanto sapere, conoscenza e informazioni che, in passato, non potevano essere raccolte neppure in una enorme biblioteca. E non ne viene fatto uso. Sembra quasi che Internet abbia sostituito l’Indice dei libri proibiti quale ostacolo e limite alla lettura. Con la grave differenza che questa scelta non è imposta da nessuno, ma voluta da chi decide di subirla. A danno, prima di tutto, di noi stessi.

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