Il mio capolavoro (Film, 2018)

I registi italiani devono andare a scuola da tutti, ormai. Persino dagli argentini, ché sanno fare la vera commedia, quella che ai nostri autori non riesce più, presi come sono dal loro piccolo mondo borghese – nel senso più deleterio – incapaci di raccontare la vita facendo ridere e piangere al tempo stesso. Era la ricetta della commedia all’italiana, quella scomparsa, quella che i nostri cineasti non sanno più fare.

Il mio capolavoro (titolo originale Mi obra maestra per la regia di Gaston Duprat) racconta con partecipe immedesimazione la parabola decadente di un artista e al tempo stesso traccia la storia di un’amicizia inossidabile, che resiste al tempo e alle sconfitte disseminate dalla vita, che diventa presenza insostituibile nel momento del bisogno. Il gallerista Arturo racconta la storia, dal suo punto di vista, come voce fuori campo e al tempo stesso protagonista della vicenda, narra il degrado fisico e morale in cui precipita il pittore Renzo, fino all’incidente che lo riduce in fin di vita e che – in definitiva – segna la rinascita a una nuova esistenza, foriera di successi e di vero amore per la vita stessa.

Un film di amicizia, di sentimenti, che a tratti commuove, dotato dello stesso ritmo di un thriller, scritto benissimo, impaginato secondo la lezione della suspense hitchcockiana, recitato in modo magistrale da due attori fantastici (Francella e Brandoni). Gaston Duprat ci aveva già deliziati con El ciudadano ilustre, altro film sulla vita che diventa arte e sull’arte che non riesce a conciliarsi con la vita, ma qui tocca punte di lirismo e di poesia inimmaginabili, senza mai cadere nella retorica e nel dramma, senza neppure sfiorare il rischio del sentimentalismo. Fotografia stupenda di una Buenos Aires notturna e decadente, immortalata nei volti dei suoi abitanti, che Arturo studia per passatempo, seduto sulle panchine del parco, immaginando i loro mestieri; non è da meno la fotografia montana, nei luoghi remoti dove l’artista si ritira a vivere come un eremita, insieme ai suoi animali, stanco della vita di città che reputa inutile e monotona. Film che inizia con un’opera d’arte mostrata ai visitatori di un museo e termina con un’opera d’arte naturale, una catena montuosa, il nuovo panorama che si staglia davanti agli occhi di un’artista che finalmente ha dato un senso alla sua vita e adesso non vorrebbe più morire.

Il mio capolavoro è un piccolo capolavoro, un film che fa bene al cuore, purtroppo semi invisibile, visto che è uscito in appena 13 sale sul territorio nazionale. Noi siamo stati fortunati, una di queste sale è il Piccolo Cineclub Tirreno di Follonica. Il cinema salvato dagli appassionati, un po’ come il mondo salvato dai ragazzini di pasoliniana memoria. Resta lo stupore di vedere caterve di immondizia proiettate nelle sale durante i fine settimana, mentre il vero cinema occorre andarselo a cercare con la pazienza certosina di uno speleologo.

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Regia, Soggetto, Sceneggiatura: Gaston Duprat. Fotografia: Rodrigo Pulpeiro. Montaggio: Anabella Lattanzio. Produttore: Mariano Cohn. Interpreti: Guillermo Francella (Arturo), Luis Brandoni (Renzo), Raul Arevalo (Alex), Monica Duprat (Visitatrice galleria), Andrea Frigerio (Dudù). Durata. 100’. Genere: Commedia. Paese di Origine: Argentina.

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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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